Ciò che si attende dall’uomo è qualcosa che deve essere
portato a un alto grado di dedizione e di chiarezza devota, a un trasumanamento
che risponda alla penetrazione del Christo nell’Io dell’uomo, perché
l’anima ritorni veicolo della Luce. A ciò è necessario un
amore terrestre che in sé faccia schiudere il nòcciolo celeste.
Occorre conoscere il segreto della ricostituzione del “binomio” sacro,
secondo la regola del Graal, il massimo mistero umano. Esso deve essere
compreso nella sua mirabile e prodigiosa ineffabilità attraverso
uno stato di purità assoluta e di autonomia trascendente, sentendo
la forza dell’individualità esprimersi sino al primo accordo con
il mondo. E il primo accordo, l’essenziale, l’originario, il sostanziato
di libertà, è l’essere dell’altro.
Questo si incontra nel primo moto cosmico dell’Io, là dove è
possibile liberarsi nel proprio essere superindividuale, in un essere che
è il fondamento dell’umano – al quale perciò ogni uomo dovrebbe
riferirsi per avere il senso della vita – e dove la realtà del divenire
quotidiano ha il suo vero compimento, sino alla beatitudine.
V’è un punto in cui l’uomo può ritrovare la propria eternità,
ossia la propria verità: là dove è soggetto del suo
esistere e del suo essere, sospendere l’adesione all’esistere e all’essere,
per congiungersi con la propria natura cosmica. Questa gli viene portata
incontro dal Christo: l’uomo può ritrovare la propria sorgente cosmica,
uscire fuori dall’inganno terrestre. Poi, può ritornare nel dominio
di questo inganno senza esserne preso.
Questo punto è raggiungibile dal sacro amore, perché
dall’amore cosmico esso trae il suo essere, la sua forza. La sua forza
è cosmica, perciò è piú forte di ogni limite
umano.
Guardare con l’occhio celeste, udire con l’udito degli Dei, riconoscere
il fiorire della primavera dal ritmo stellare, è il senso di ritrovare
l’altro oltre nascita e morte. E il Divino giunge attraverso l’altro, perché
nell’incontro debbono agire le radicali forze dell’anima legate all’antica,
all’originaria forma androginica, che il sesso come brama incantò
in uno schema al quale non sfugge uomo vivente: a meno che non sia di coloro
che debbono nascere una seconda volta, dwija, e che debbono “manifestarsi
come figlioli di Dio”.
(M. Scaligero, Manoscritti inediti, Quaderno
IX, Aprile1969)
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