Chi marcia
per la pace, chi partecipa minaccioso ad adunate per la “giustizia sociale”,
difficilmente sospetta di essere portatore dell'impulso opposto a quello
che presume affermare: egli si fa una forza della sua incapacità
di riconoscere in sé il principio dell'ingiustizia e della guerra.
In tale atteggiamento è in atto la sottile volontà dell'ingiustizia
e della guerra. La povertà di idee di simile marcia o adunata, è
il credere che qualcuno individualmente identificabile abbia il potere
di instaurare o togliere pace e giustizia: che esistano individui dotati
del potere di promuovere la pace o la guerra, come la giustizia o l’ingiustizia
sociale. A parte il significato tattico di simili manifestazioni, si tratta
ancora una volta dell'accusa verso l'altro, dell'attribuire ad altri, fuori
di sé, la responsabilità di quello che avviene: del principio
della condanna dell'altro: il principio vero dell'ingiustizia e della guerra.
Il pacifista è colui che meno di tutti può sentire la corresponsabilità
della situazione cui sia corollario ultimo la guerra: è il più
lontano dal supporre di portare in sé le cause della guerra, e dall'idea
di un'azione interiore che possa essere inizio di pace. Tale azione dovrebbe
essere il portar la guerra a se stessi, al proprio istinto di avversione
e alla dialettica che immediatamente la riveste. Fino a che questa identità
della dialettica con l'istinto d'avversione non venga avvertita, epperò
superata, il conflitto è inevitabile, il dissidio insanabile. La
guerra combattuta con le sue inumane stragi e le sue distruzioni, sta lí
come ultima conseguenza di un processo interiore che sfugge alla coscienza
umana: processo che sarebbe saggio penetrare là dove sorge, piuttosto
che credere di afferrare nelle sue finali manifestazioni. La guerra è
l'espressione visibile di uno stato di fatto invisibilmente compiuto.
Un'analisi
metafisica delle ragioni della inevitabilità della guerra potrebbe
scoprire la connessione karmica, epperò la corresponsabilità
spirituale del tipo umano sociopolitico uso a rivendicare a sé l'estraneità
alle cause della guerra. La guerra non viene scatenata da un uomo o da
un gruppo di uomini individualmente identificabili in base a inchieste
indiziarie: gli “evidenti” responsabili, invero, sono soltanto gli inconsci
strumenti di un meccanismo già in moto prima che essi l'avvertano
e di cui nessun essere consapevole, a un simile livello di coscienza, si
può dire che possegga il comando. Se si potesse avere la visione
obiettiva di tale impercepibile processo si vedrebbe il meccanismo servito
inconsciamente proprio da coloro che deprecano il suo prodotto finale.
Chi coltiva la guerra nella propria anima, chi marcia per la pace, chi
accusa gli altri di ingiustizia sociale e non trova modo di accusare se
stesso, chi crede alla colpa degli altri e non alla propria, e perciò
crede legittimo eliminare il ritenuto colpevole, prepara la guerra, rende
inevitabile l'ingiustizia sociale. La dialettica della lotta sociale è
il veicolo di una inconciliabilità che non può non esigere
come conseguenza ultima la guerra. Guerra, guerriglia, lotta di classe,
manifestazione di popolo, sono espressioni di un medesimo contenuto.
Il karma
è l'urgere nella presente forma fattuale, delle cause poste
dall'uomo nel passato. Questa corrente del passato manifesta la sua forza
comunque positiva, mediante la forma dell'evento fausto come dell'infausto,
se trova nella coscienza di lui il rapporto con la direzione dell'avvenire,
che è in sé la direzione della libertà, o dell'indipendenza
dal karma: questa sola ha il potere di dare forma al manifestarsi
delle cause. Quando la libertà umana viene impedita – e non viene
mai impedita da un regime, bensí da un modo di pensare o di conoscere
– il passato come impulso presente viene contraddetto dalla posizione dialettica
presente: la corrente del passato, non incontrando la libertà umana,
è portata ad imporsi come forza del presente. Impulsi regressivi
operanti nella corrente della libertà, deviante perché inconscia,
afferrano l'uomo: che spesso è portato a considerare l'espressione
di ciò “rivoluzione”. Egli inconsciamente regredisce, per poter
giungere, mediante fatti esteriori, a un accordo con le cause del passato,
con cui non riesce a congiungersi mediante libera meditazione. Perciò
dottrine che sembrano annunciatrici del progresso sociale, sono espressioni
di impulsi trascorsi della specie: impulsi che un tempo mossero l'uomo,
oggi sono l'impedimento alla sua evoluzione, alla nascita dell'autocoscienza.
La lotta è appunto contro l'autocoscienza, la quale soltanto è
capace di responsabilità e di relazione sociale, o di amore per
il prossimo e perciò di pace. A questa autocoscienza si fa opposizione.
Diciamo «si fa opposizione»: non potremmo indicare nessun reale
autore. Non c'è autore, infatti. Un medium non è autore.
La regressione
dell’umano avviene mediante l’ethos dominante, la cultura dominante,
la dialettica, la logica analitica, i miti politici, il culto psicologico
degli istinti, il meccanicismo assoluto: tale situazione lascia intravvedere
un solo potere in marcia in tutto il mondo.
…Coloro che
sceglieranno la via cosciente, agiranno come esseri liberi, perché
conosceranno la legge del karma e il mistero della libertà,
connesso con quello della fraternità: fraternità che non
elimina anzi rende creative le distinzioni. Movendo secondo percezione
interiore, o secondo Scienza dello Spirito, essi vedranno in coloro che
tendono a eliminarli i propri fratelli umani inconsciamente assumenti su
sé il male della Terra, per realizzarlo: costoro invero incarnano
l’odio, perché l’odio si manifesti e una forza piú alta sia
sollecitata a risolverlo, mediante la conoscenza.
M.
Scaligero, Lotta di classe e karma,
Perseo, Roma 1970, p. 179-182, 184.
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