Gentile Amico,
lei dice che i fatti hanno smentito
la mia idea circa l’impossibilità dell’uomo di accedere alla Luna.
In verità non sono i fatti che possono smentire un’idea, bensí
idee di piú elevato rango. La mia idea circa l’impossibilità
dell’uomo corporeo-razionale di accedere alla Luna, permane intatta.
L’uomo-macchina non può
accedere alla Luna, ma solo a quello che il suo occhio riesce a vedere
della Luna. L’occhio terrestre dell’uomo non sa scorgere sulla Terra quella
forza vitale della pianta, che la sua mente invece pensa come esistente.
Questa impossibilità del moderno scienziato dinanzi a una forza
che concepisce, ma non sa che sia né d’onde venga, è il limite
presente oggi in tutta la sua indagine: limite del mondo inorganico, alla
cui pesabilità e misurabilità lo scienziato commette l’errore
di ridurre tutto, anche il non misurabile: errore che ogni giorno in ogni
campo si sta scontando. È il limite che andrebbe superato per il
fatto che venga esteso al mondo extraterrestre.
Dal terrestre l’uomo non può
uscire, se non esce da ciò che lo vincola alla Terra meramente misurabile,
a lui sconosciuta come ente permeato di vita. Fuori dal terrestre, l’uomo
vede ciò che gli è consentito da un limite, che per il sano
pensiero, ossia per il reale pensiero scientifico, è assurdo: il
limite dell’apparire minerale di ogni ente, di cui rimane impercepibile
la vita. È invero assurdo che l’uomo, pur avendo l’extraterrestre
dinanzi a sé, qui sulla Terra, nel vivente della natura, dell’animale,
di se medesimo, eviti di conoscerlo e codifichi tale non conoscenza, sino
a fingere mediante essa un superamento “spaziale” del limite. Tale farsa
lo scienziato comincia col recitare nei suoi rapporti con il vivente: da
anni specialisti russi e americani compiono il tentativo, ogni volta fallito,
di riprodurre per via chimica il vivente, ossia qualcosa che esiste, ma
che essi possono assumere unicamente come idea, dato che non dispongono
di mezzi interiori per percepirlo. Nessuno di essi infatti vede il vivente:
tuttavia trattano tale forza come se la vedessero e potessero muoverla,
confondendo le manifestazioni sensibili della forza con la forza medesima,
che essi hanno semplicemente come concetto, senza avvertirlo. Riguardo
a un corpo celeste come la Luna, l’ottusità che conduce al tentativo
di operare chimicamente su un concetto, è aggravata dal fatto che
riguardo alla percezione sensoria del corpo lunare non si ha nemmeno il
contenuto concettuale che invece si è capaci di avere riguardo alla
cellula vivente.
Non è facile peraltro comprendere
la provvisorietà del limite alla percezione del vivente, ossia comprendere
che tale limite è superabile mediante un atto metadialettico della
coscienza, dinanzi a cui il moderno indagatore si arresta pavido, non ammettendo
che possa esistere una scienza del sovrasensibile a ugual titolo che una
scienza sensibile, preferendo consacrare come assoluto ciò che è
concluso ed esanime entro il limite, e perciò estrinsecandosi nel
meccanicismo assoluto, nella tecnologia integrale.
L’impresa lunare, di cui si deve
riconoscere l’eccezionale valore sportivo, è in sostanza un’impresa
tecnologica: non è un’impresa della scienza, se si tiene a mantenere
a questa l’antico rango noetico, ma finisce col diventare antiscientifica
allorché presume inglobare l’extraterrestre in quella desolata visione
del pesabile e del misurabile, che riguarda unicamente l’insufficienza
mentale dell’uomo rispetto al proprio percepire sensorio, sulla Terra.
Se esistessero esseri non terrestri capaci di percepire del mondo terrestre
soltanto il cuoio e ad un certo momento ad essi fosse dato avere di fronte
un uomo, essi non vedrebbero di lui che le scarpe e sarebbero autorizzati
a dire: l’uomo è un paio di oggetti di cuoio, un paio di scarpe.
Potrebbero cosí esultare di aver infine incontrato l’uomo, allo
stesso modo che si esulta sulla Terra nel credere di aver infine incontrato
la Luna.
Lei dice che io sono stato smentito
dai fatti. La cosa mi preoccupa, perché di solito il fallimento
di un’impresa errata è un aiuto del “destino”, che mediante l’insuccesso
dà modo all’uomo di rivedere le proprie posizioni. Quando la possessione
del mentale da parte dell’errore è tale che l’uomo lo scambia per
conquista della verità e lo eleva a mito, allora egli non è
piú in condizione di ricevere aiuto: la tecnica del sopramondo in
tal caso è lasciar realizzare in pieno l’errore, cosí che
solo le conseguenze obiettive di questo possono correggere l’uomo. In effetto
è piú temibile la riuscita dell’impresa che non il suo fallimento.
L’uomo non ha meritato che l’impresa
non riuscisse. Occorre però dire che se i qualificati alla conoscenza
del sovrasensibile, che è il vero extraterrestre, avessero mantenuto
fede al loro impegno di dedizione al compito cui erano chiamati, l’uomo
avrebbe meritato l’ammonimento della erroneità dell’impresa. La
Luna e ogni altro corpo celeste, non sono che supporti-simbolo di forme
di vita extrasensibile, a cui l’uomo può accedere superando il limite
sensibile là dove se lo trova di fronte sulla Terra. Finché
non supera un tale limite, l’uomo non esce dalla Terra, non può
penetrare in altri mondi.
Questo discorso non viene da uno
spirito di rinuncia all’impresa extraterrestre, ma da una vocazione all’extraterrestre,
che esige l’ardimento reale, l’ardimento della coscienza: non scaturisce
dalla concezione di una impossibilità, al contrario, dalla persuasione
della necessità della esplorazione di altri mondi e perciò
del cosmo. Ma una simile esplorazione non può non avere inizio come
atto della coscienza, col superamento del limite terrestre là dove
impedisce la percezione del vivente nella natura, nella storia, nella struttura
dell’uomo, nella sua attività pensante: l’assenza di questo vivente,
oggi, falsa ogni disciplina e degrada al livello materialistico tutta la
cultura umana.
È il discorso che sarebbe
dovuto venire dalla religione o dalla filosofia, se nei tempi moderni esse
avessero mantenuto la loro missione al livello di interiore dignità
richiesto dalla fedeltà alla realtà dello spirito.
da una lettera inviata a persona di Trieste il 24 luglio
1969
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