- Si
possono praticare gli yoga piú rigorosi, possedere le
tecniche segrete del Tantrismo, essere partecipi di catene
occidentali operanti secondo canoni ritualmente ineccepibili,
conoscere le piú sottili distinzioni del “tradizionale”
dal non-tradizionale: tutto ciò serve ben poco allo
sperimentatore di questo tempo, se egli non avverte che il
pensiero da cui muove e mediante il quale comunque regola se
stesso e fa le sue scelte interiori, non è il vero pensiero,
ma il riflesso di una luce originaria che non gli è
cosciente, e che tale riflesso, come processo dialettico,
dipende in gran parte dall’organo cerebrale, che
normalmente, come uno specchio deformante, lo altera,
asservendolo ad influssi ascendenti dalla natura corporea. Un
tale pensiero riflesso gli può concedere tutte le
soddisfazioni dialettiche e persino esoteriche, ma non lo
lascia uscire dal limite umano, soggettivo, luciferico, in
realtà materialistico.
- Un tale pensiero
riflesso può anche apparire sagace e sottilmente filologico
nella identificazione del “tradizionale”, severo nella sua
tensione critica, fedelmente echeggiante lo stile dei maestri
della Tradizione: può mettere a posto tutti, dando a ciascuno
la lezione che merita riguardo al suo tipo di allineamento, e
tuttavia non afferrare la benché minima particella del mondo
sovrasensibile in nome del quale parla. Il riflesso, in
realtà, non è la luce.
- L’arte del
cercatore di questo tempo è risalire dal riflesso alla luce,
dal pensiero morto al vivente. Morto è invero il normale
pensiero intellettuale, o razionale: effettivamente gli è
vietata la connessione con il Logos, con il Mistero perenne
della Iniziazione, cioè “secondo Melchisedech”. Non sarà
mai abbastanza sottolineata l’importanza che ha per lo
sperimentatore l’ascesi del pensiero, ai fini di un accesso
non erroneo al dominio del Logos. Tale ascesi ha come oggetto
lo svincolamento del mentale, e perciò di tutta la vita
interiore, dalla mediazione cerebrale, per il fatto che questa
mediazione, attraverso la quale l’uomo è normalmente
manovrato dalla natura inferiore, sia posseduta, non tanto in
quanto sia posseduto il cosciente pensiero logico, quanto per
il fatto che eccezionalmente si realizzi l’indipendenza del
pensiero logico dalla mediazione, sino alla percezione
di qualcosa che cessa di essere pensiero: è piuttosto
forza-pensiero.
- Si tratta della
prima percezione interiore autentica, cioè lucida come una
normale percezione sensoria. Nell’adepto moderno, infatti,
il lucido stato di veglia della normale esperienza
autocosciente, logica o matematica, è la misura della
regolarità della percezione sovrasensibile. Ogni forma di
sperimentazione che dia luogo a sonno, o sonnolenza, o
condizione sognante, non è spirituale, ma medianica, anche se
il suo contenuto presenti caratteri di grandiosità. Una
condizione sognante poteva legittimamente accompagnare
determinate esperienze magiche, o mistico-estatiche, ancora
sino alla fine del secolo scorso, attingendo esse ai
sopravviventi residui di una connessione del corpo vitale
superiore con le forze creatrici pre-dialettiche del pensiero:
non piú oggi, date le operazioni compiute dai Maestri
iniziatori – secondo l’Ordine dell’Iniziatore perenne
– nell’aura della Terra, in rapporto all’inevitabile
stato di ottusità di coscienza della generalità umana,
determinatosi con la ulteriore caduta nel materialismo, cioè
con la definitiva discesa della coscienza al livello del
pensiero riflesso, la cui regolarità è esclusivamente
logico-matematica.
- È il livello
all’altezza del quale è inevitabile il materialismo, ma è
parimenti il primo livello in cui l’uomo può accogliere l’Io
allo stato di veglia. Ma occorre che questo stato di veglia
sia reale. La coscienza dialettica è già semisognante. È
importante rendersi conto che si tratta della forma piú bassa
della manifestazione dell’Io, inizialmente incapace di
distinzione di sé dalla sfera degli istinti, ma proprio
perciò capace di potere individuale. È inevitabile che l’autocoscienza
nasca dapprima come inferiore individualismo. Tuttavia, non si
tratta di evirarsi, rinunciando al potere dell’individualità,
bensí di liberare questa dall’inconscia identità con gli
istinti. La forza degli istinti appartiene all’Io: deve
essere recuperata da questo. Grazie alle giuste discipline,
che occorre
riconoscere, riconoscendo il Maestro dei Nuovi Tempi, gli
istinti, purificati, risorgono come poteri dell’Io. L’operazione
è simboleggiata dal fiorire delle “rose rosse” dalla “croce
nera”: segno, questo, dell’ordine originario dei quattro
elementi riaffermantesi sul caos, presente appunto nell’uomo
come dominio degli istinti sottraentisi all’Io. L’Io è in
sé l’Io superiore.
- Il cercatore di
questo tempo deve rendersi conto che sperimentare lo
Spirituale significa non avere sensazioni eccentriche o
evocare simboli pre-interpretati, bensí percepire concretezze
assolutamente sovrasensibili, altrettanto obiettive quanto
quelle sensibili, anzi assai piú reali di queste. È proprio
tale realtà che contrassegna l’obiettività dell’esperienza
e del suo potere solare. Se vuole sperimentare il
Sovrasensibile, il pensiero deve afferrare se stesso non in un’ipotetica
sua determinazione, bensí là dove il momento della
indeterminazione è quello della sua attività piú lucida e
originaria, in quanto processo produttivo di concetti e idee:
qui la coscienza può attuare una sua realtà che normalmente
le sfugge, pur presupponendola di continuo.
- Lo strumento
interiore che consente all’indagatore di concepire il
Sovrasensibile è il pensiero. Quale che sia l’esperienza
della coscienza a cui possa accedere e che giunga a formulare,
non essendogli possibile dapprima se non mediata, da pensiero
a pensiero, da idea a idea, cosí da essere in verità
sostanziata di pensiero, esige che egli ponga l’esperienza
predialettica del pensiero alla base della ricerca. Egli può
dapprima avere il Sovrasensibile come contenuto noetico “tradizionale”,
praticamente come contenuto di pensiero: il passo ulteriore è
la percezione di tale contenuto, mediante un’attività
interiore talmente intensificata da potersi attuare essa
stessa come contenuto. L’indagatore apprende che non si
tratta di elaborazione razionale di un contenuto
estrarazionale, bensí di penetrazione interiore del moto puro
della razionalità. Il pensiero è lo strumento della
coscienza e della coscienza di sé. La coscienza si manifesta
bensí mediante il supporto dei centri corticali, del tronco
encefalico e l’incontro degli organi sensori con il mondo
sensibile, ma essa può sapere di tale mediazione grazie a un
atto di pensiero, indipendente dalla mediazione stessa. Nel
momento in cui la coscienza di tale atto sorge, l’uomo ha il
reale rapporto con il mondo e con se medesimo.
- È legittimo
parlare: a) di una forza-pensiero esistente prima della
mediazione cerebrale; b) del suo farsi cosciente grazie a tale
mediazione; c) della sua possibilità di attuarsi cosciente
fuori della mediazione, in quanto la conosca e la superi. Si
può dire che il pensiero moderno si è inceppato nella
seconda fase, che ha senso unicamente in ordine alla prima e
alla terza. Coloro che oggi contestano la civiltà
tecnologica, inconsapevolmente tendono alla terza fase, ma
permangono prigionieri nella seconda, perché non dispongono
di sufficienti forze di coscienza per intenderla: cadono nell’equivoco
di un’azione volta contro strutture economico-tecnologiche
il cui esistere è in sé un valore neutro: è illegittimo
soltanto in relazione alla posizione del pensiero, soggiacente
senza saperlo alla mediazione cerebrale e perciò incapace di
quella identità con sé che sola può decidere del giusto uso
della tecnologia.
- Chi osservi il
processo razionale, in effetto constata come ordinariamente il
pensiero divenga cosciente di sé nel momento del suo
determinarsi dialettico, che è il momento della mediazione
cerebrale. Come antecedente di tale momento, mediante la
concentrazione, può intuire il puro moto del pensiero: che
può dirsi metadialettico. Questo moto è tanto piú
sollecitato a divenire cosciente, quanto piú il pensiero è
capace di volgere non alla propria dialettica, ma a se
medesimo: che è dire, non alla comprensione del proprio
essere, ma al proprio essere medesimo: che non ha bisogno di
essere compreso, per essere.
- Da una simile
osservazione si ricava in primo luogo che il pensiero ogni
volta diviene cosciente, in quanto determina se stesso da un prius
indeterminabile, che è il suo essere. Di continuo si pensano
pensieri di cui non si ha preventiva coscienza e di cui non si
presuppone il contenuto. Non c’è nessun nume che
predisponga i pensieri che l’uomo pensa: ogni pensiero ha in
sé la propria essenza. Lo sperimentatore in tale direzione
può riconoscere il punto in cui sorge il suo essere libero,
come pensiero. Tale libertà egli può attuare come percezione
del momento originario del pensiero, o come visione interiore
del suo determinarsi. È la via cosciente al Logos.
- Quando
volitivamente si rivolge al pensiero l’attenzione cosciente,
come nella concentrazione, si constata che esso scaturisce da
una “zona” di cui inizialmente non si deve avere
coscienza, se si vuole trarre da essa tale attenzione, che è
una con il momento originario del pensiero. Risulta qui una
direzione verso la quale occorre dirigere la ricerca, se si
vuole incontrare la soglia della coscienza e sperimentare ciò
che significa il mondo intuibile oltre essa. Si è sulla
Soglia mentale del Sovrasensibile, ossia là dove si ha la
possibilità di percepire dinamicamente la diversità profonda
dello Spirituale dallo psichico.
- Il problema del
Sovrasensibile postula il metodo della penetrazione della
struttura del pensiero. Occorre che il pensiero realizzi il
proprio essere metadialettico, perché possa attuare in sé le
funzioni estracoscienti o supercoscienti dell’Io, grazie
alle quali dominare la subcoscienza, o l’inconscio
emozionale-istintivo. Tra il super cosciente dell’Io e l’inconscio
fisiopsichico deve essere sperimentata dall’indagatore una
distinzione essenziale, se egli non vuole essere tratto su un
sentiero illusorio, e perciò patologico, dalla mistione
ordinaria delle forze psichiche: in quanto non sappia
distinguere la cosa dal concetto della cosa, l’inconscio dal
concetto di inconscio; concetto in cui già l’inconscio
comincia a essere dominato.
- Quanto poco una
simile distinzione sia speculazione filosofica o introspezione
psicologica, si può ricavare dal fatto che l’operare
mediante il concetto implica non la comprensione o l’elaborazione
di un determinato significato, bensí la percezione della sua
dinamica: come di un contenuto che non ha bisogno di venir
capito, per essere nostro. Il capire infatti è già un uso
determinato del concetto, in relazione a qualcosa di cui si
vuole il significato. La filosofia può dare la dialettica del
concetto, ma in quanto filosofia cosciente dovrebbe indicare,
come sua ultima istanza, la osservazione del pensiero, fuori
del suo significare qualcosa. Tale osservazione, o
contemplazione, conduce a percepire in un primo momento l’identità
con sé del pensiero e, in un secondo momento, l’unità
originaria del pensare con il sentire e il volere, connessa
con le Gerarchie del Cosmo. Si tratta della sfera
supercosciente dell’Io.
- L’esperienza
del concetto è un’operazione pre-iniziatica. È importante
rendersi conto che il concetto in realtà non è una sintesi
di rappresentazioni, ma anzitutto un quid adamantino
che si serve di tale sintesi. L’esperienza del concetto dà
modo all’indagatore di enucleare un puro potere di pensiero
capace d’identità con le forze profonde del sentire e del
volere. Egli ha a che fare con qualcosa di piú che il
pensiero dialettico: con la forza-pensiero che sempre lo
produce in relazione a un dato. Il dato viene tolto alla sua
immediatezza dal pensiero in movimento: questo pensiero può
essere ravvisato come un dato esso stesso e come tale
percepito. In tale direzione è possibile incontrare le forze
da cui normalmente scaturisce la vita dell’anima. Potendo
avere obiettiva innanzi a sé la corrente del pensare nella
quale normalmente è immedesimato, l’indagatore riesce a
percepire le forze cosmiche interne al pensare: il puro
sentire, il puro volere. Le sente fluire dall’Universo,
animare la natura e in lui farsi veicoli dell’Io Superiore.
- Se può
sperimentare il pensiero non come pensiero di qualcosa, ossia
non come forma di un qualsiasi contenuto sensibile o
interiore, ma come forza formatrice non vincolata ad oggetto,
egli si trova dinanzi a un contenuto in sé, fatto di puro
pensiero e dotato di interna vita. Se giunge a contemplare
tale contenuto, lo sperimenta come affiorare di una corrente
di vita indipendente dal sentire e dal volere ordinari, ma in
sé recante le forze originarie di questi, il Logos fluente
dal Cosmo. Interiormente egli può sperimentare una
distinzione decisiva, tra il sentire-volere personale
necessitante la coscienza mediante la forma richiesta dalla
natura soggettiva, e le forze originarie del sentire e del
volere, che egli percepisce grazie all’esperienza
liberatrice del pensiero. Può scoprire che a questo livello
si svolge la vera relazione del pensiero con il sentimento e
la volontà, in quanto il pensiero muove secondo il suo
immediato potere di estrasoggettività, o di universalità. A
un tale grado, il discepolo si trova alla Soglia del Mondo
Spirituale. Comprende infine il vero senso della Via del
Pensiero. Il pensiero deve essere posseduto, sino a che dalla
sua estinzione nasca la forza di luce di cui esso è
alienazione: ma a questo punto egli sa che la Luce viene dal
perenne Iniziatore degli Iniziati.
- Nell’epoca
dell’autocoscienza, una guida spirituale può aiutare il
discepolo soltanto se gli dà modo di attingere in sé le
forze per l’accesso al Sovrasensibile, che è dire per l’incontro
con il proprio Maestro iniziatore. Non lo abbaglia con
dottrine presupponenti una specifica visione del mondo o con
interpretazioni già fatte di simboli e miti, bensí lo aiuta
a essere egli stesso il liberatore del pensiero dalla maya
dialettica e l’interprete diretto dei simboli. Un simbolo
già interpretato può divenire un ostacolo alla
identificazione del suo contenuto trascendente, salvo che l’operatore
abbia già realizzato la indipendenza del pensiero da
qualsiasi dialettica, sia pure formalmente esoterica. L’attuale
periodo è reso ancora piú saturo d’insidie dal fatto che
la dialettica di taluni “maestri” può essere formalmente
esoterica, grazie
a un padroneggiamento del pensiero, che non è tuttavia
superamento del limite dialettico: perché tale superamento
può avvenire solo grazie a un ben determinato metodo, all’interno
del pensiero stesso, come atto non dialettico, che congiunge
il puro mentale individuale con l’intelligenza cosmica. In
verità chi trova Melchisedech, trova il Logos. Se non trova
il Logos, è perché non ha potuto ancora incontrare
Melchisedech. Occorre meritare di conoscere, o riconoscere, il
metodo giusto.