Equilibrismi

Straordinarie acrobazie di un pensiero sovrasensibile dinamico, capace di frugare con dolcezza nelle pieghe inconsapevoli dell’anima scoprendo, con amore, debolezze e artificiose spiritualità. Al sogghigno irridente di Arimane, pieno di velenosa ironia, Massimo Scaligero oppone il sorriso sacrale di chi, consapevole della potenza del pensiero vivente, vuol far compiere agli uomini, con gioia, un percorso di luce verso il Cristo. È il sorridere di un Maestro, che dona levità al nostro cuore e ali d’angelo ai nostri pensieri. È in sintesi umorismo delicato, sublimato in poesia: uno degli infiniti aspetti dello Spirito.

Lucio Sommaruga

La mostra di scultura del piú deciso degli astrattisti, Marsopilèo Ganghella, in una strana penombratile galleria trasteverina, si può considerare un momento decisivo di svolta dell’arte informale.
Ganghella si è reso conto che, ossessionati dalla necessità della fuga dalla forma, senza avvedersene si è andati a cadere in un altro contenuto: ma nessuno se ne è accorto. La forma, cacciata dalla porta come rappresentazione e figurazione, si è riaffacciata dalla finestra come forma rifatta. Certe volte si dice rifatto del pane stantío: che tuttavia, abbrustolito, perde alquanto quel sapore di muffa invero poco gradevole. In sostanza l’astrattismo ad un dato momento si è presentato come un’allergia da formalismo: un malanno guaribile, se fosse stato ravvisato per quello che era in origine. Ma l’allergia, non riconosciuta in quanto allergia, ha continuato il suo processo, per cui il formalismo o figurativismo, svuotato di ciò per cui si esprimeva come forma e figurazione, è divenuto astratto ed ha creduto veramente di essere altro da quello che era. E ciò spiega alcune situazioni strane di questo tempo.
Un giorno Marsopilèo Ganghella, dopo aver fatto colazione da Gigetto alla Fonteiana – quello dei “polli alla diavola”, tanto per intenderci – si sentí d’un tratto talmente folgorato dal credo astratto che pensò : «Se io fossi concreta figura, concreta formazione di ciccia, muscoli e volto, non potrei essere reale, perché reale è soltanto ciò che precede e condiziona l’apparire della forma: perciò il pollo non l’ho mangiato io ma un altro. Quindi i casi sono due: o io sono un altro, oppure un altro, legato a forma e figura, ha mangiato me. Nell’uno o nell’altro caso non pago». E fece per uscire. Ma Gigetto, rapido, lo afferrò per il collo concreto e lo invitò a pagare. Qui la folgorazione di Ganghella, forse stimolata dal brusco ma bonario strattone di Gigetto, continuò: dato che il pollo era in definitiva astratto, egli poteva logicamente corrispondere per esso quella tipica astrattezza che è il denaro.
La possibilità di una tale illimitata estensione dell’astratto lo illuminò ancora. Astratto era tutto: il pollo, Gigetto, il danaro, il tram, le ragazze, l’aspirina, i capelli che cadevano, i torsi di broccolo accumulati all’angolo della strada. Ma se tutto era astratto, allora l’astratto era il vero concetto e il figurato è un astratto di cui s’ignora l’astrattezza, per il fatto che non si è abbastanza indipendenti dalle vecchie estetiche e dai vecchi modi di vedere per riconoscerla. Quindi il contenuto è la figurazione di un astratto che non si è capaci di afferrare, perché è il piú astratto degli enti. Anzi, il contenuto è il vero astratto: il contenuto cosí calunniato e temuto, è l’assoluto astratto. Si batté sulla fronte con moto realistico-simbolico nel medesimo momento in cui il portiere gli consegnava la cartella delle tasse: concreta o astratta? Astratta, esigente l’astratto pagamento.
Dopodiché si accorse che quelle sculture che egli si affaticava tanto a scolpire combattendo intimamente ogni tentazione figurativa, erano già fatte: non c’era bisogno di farle, perché già presso le cave di marmo o di travertino, o presso il letto pietroso di certi torrenti, si trovano bell’e pronte. Non si trattava che di trasportarle presso la galleria trasteverina e di trovare i titoli per ciascuna di esse: nottetempo organizzò il trasporto di macigni e pietre modellate dallo scorrere secolare delle acque e allestí la mostra di cui facciamo cenno nelle prime righe.
Ora si tratta di vedere quali reazioni susciterà la Mostra e quali possibilità, in seguito a essa, si daranno che sorga, almeno in pochi astrattisti, la coscienza della produzione astratta in quanto allergia ad andamento infiammatorio, inizialmente fungiforme e subito frantumante la forma fungica, per tecnica necessità antiformale; allergia che abbiamo visto, sia pure brevemente, derivare da saturazione contenutistica subconsciamente volta a trovar nuove vie al contenuto non interiorizzato, ossia non compreso. Perciò tradotto in un incomprensibile che vuole valere appunto come incomprensibile, non essendo altro che la forma riaffacciantesi come caotizzazione di se stessa, come forma astratta.
E questa è la scoperta ultima: che l’arte informale non è vera, perché in effetti è formale, anzi piú tenacemente formale del solito, in quanto è forma che ritiene di uscire fuori di se stessa sforzandosi, ossia ancor piú insistendo sul suo limite. È questo limite, infatti, che viene comunque drammatizzato e sentito ossessivamente, cosí che si crede di mutare contenuto solo perché si cambia la forma del limite: come se il formaggio, frantumato, grattato e chiamato cacio, cessasse di essere formaggio: valido, comunque per i maccheroni: ove, beninteso, non si tratti di formaggio astratto.

Massimo Scaligero

da: «Ars-uomo» N. 7, IV, 1978 e da: M. Scaligero, Il sorriso degli Dèi, Tilopa, Roma 1987