- Non è una drammatica e sterile
contrapposizione ai propri istinti quella che può condurre
al dominio di sé. La via ascetica o mistica, d’altro
canto, salvo rare eccezioni, non fa che sospendere le
tensioni e rimandar indefinitivamente il problema, quando
non giunga a potenziare sotterraneamente, ossia sotto la
serie dei pretesti moralistici, quanto v’è di meno
regolare nella coscienza.
- La via che si può additare come
la più adatta agli uomini di questa epoca, è una “via
della conoscenza”: si tratterebbe di realizzare oggi il
contenuto del responso di un antico oracolo: «Conosci te
stesso».
- Occorrerebbe conoscere,
oggettivandolo innanzi a sé, il proprio mondo istintivo,
sino a scoprire in se stessi un secondo individuo, tessuto
di istinti, che tende continuamente a sostituirsi all’io,
ossia a prendere il posto dell’essere spirituale vero.
Tale individuo istintivo non vive soltanto nella sfera della
volontà inferiore, ma anche nei sentimenti incontrollati e
nelle abitudinarie cerebrazioni, in tutte quelle attività
mentali ordinarie che si svolgono sotto il segno dell’automatismo.
- Un suo modo di essere dominante è
la paura, anzi si può dire che la paura è quella forza
sottratta alla volontà cosciente, di cui esso si alimenta
di continuo, per rimanere identico a sé: esso è infatti un
possente conservatore di sé, non ha altro fine che
vivere, ripetendo i medesimi movimenti.
- Ma occorre notare che il fenomeno
della paura non è quello in cui simile modo di essere si
esaurisce, ossia la paura non si presenta soltanto come
tale, ma normalmente si mimetizza in tutta la coscienza
ordinaria, passando per la sfera del sentire nella quale si
presenta come apprensione, sentimentalismo, antipatia,
avversione, sino a giungere nella sfera mentale in cui
assume la veste di critica negatrice, di dubbio, pigrizia
intellettuale, pensiero materialistico.
- La paura è la forza con cui l’individuo
istintivo difende se stesso in noi. Ciò spiega perché
la contrapposizione ai propri istinti è una infeconda
lotta, impostata su una inconsapevole finzione: è infatti
una parte dell’anima compenetrata dalla paura che si
contrappone all’altra parte in cui la paura e gli istinti
congeniali direttamente si manifestano.
- Occorre destare in sé le forze di
una conoscenza che sollevi l’io all’altezza del
suo vero dominio: una conoscenza che evochi nell’anima il
terzo splendore dello spirito. Questo conoscere, esigendo un
soggetto del suo compiersi, un soggetto realmente autonomo,
in quanto conforme alle leggi del puro pensare e perciò
connesso con le stesse forze regolatrici del mondo, un
simile conoscere, potenziandosi, è in grado di riassorbire
in sé le energie che originariamente gli appartengono,
ossia redimere il mondo degli istinti, riesprimendoli come
veicoli della sua centralità e della sua libertà.
- È chiaro che un simile conoscere
è qualcosa di ben diverso da ciò che normalmente si
intende con tale termine: esso fa appello a quel “pensare
indipendente dai sensi”, a quel pensare vivente, a cui si
è accennato in qualche articolo precedente. È soltanto un’attività
cosciente e affermativa del pensare che può isolare la
coscienza centrale dalla invadenza degli istinti e da tutte
le loro secondarie espressioni, da tutti i loro interni
travestimenti. Si tratta di opporre alle diverse forme
ossessive assunte in noi dagli istinti una ossessione
cosciente, ossia un monoideismo voluto.
- Una conoscenza che sia meditata
dal limitato pensare razionalistico, porta inevitabilmente a
cercare gli impulsi della volontà non nel mondo spirituale
da cui essi veramente traggono origine, ma nella sfera degli
istinti. Questa è la tragedia dell’uomo attuale. Il
cosiddetto “uomo volitivo” dei tempi moderni è in
sostanza soltanto un istintivo: la sua ostentata dinamicità
è soltanto un’apparenza di forza, che del resto risponde
a un modello concepito secondo un’anima e una cultura
prodotta dalla coscienza riflessa. Ma questa nella sua
sostanza è una coscienza istintiva.
- L’educazione del pensiero, la
meditazione, coltivata secondo il metodo cui si è accennato
altra volta, danno il modo di affermare la coscienza
centrale, quella in cui si può vivere effettivamente lo
spirito, e di distinguerla dalla coscienza riflessa,
intellettualistica in superficie, ma nella sua interna
realtà tessuta di forze istintive.
- Non v’è altra via per cessare
di essere lo zimbello del giuoco degli istinti, per divenire
effettivamente individui, per non cadere nell’autorecitazione
moralistica e in tutte le analoghe ipocrisie. L’uomo deve
finalmente volere, non più scambiare per sua
volontà ciò che gli viene sotto varie forme dal mondo
istintivo: deve poter percepire la sua volontà prima che
divenga istinto, sino a creare istinti che gli obbediscano,
in quanto obbediscono allo spirito in lui.
- È evidente che questa stessa è
la via della libertà, per l’uomo.