- La prima forma del vuoto, detta
“prova dell’acqua” nella tradizione ermetico-alchemica
occidentale(1), è quella
onde si ha la possibilità di sorreggersi quando viene meno
l’appoggio della terra: possibilità di cui si può avere
un simbolo nella imagine del pesce, che si sorregge senza
appoggiarsi, è silenzioso, ha gli occhi sempre aperti, il
sangue freddo e la possibilità di attraversare le acque
guizzandovi. Si può confrontare tale imagine con quella del
“salto del carpione” nella letteratura Zen. È la fase
in cui il discepolo trae dalla propria attività interiore,
ossia dalla “coscienza”, i motivi per l’agire, che non
gli viene piú stimolato da motivi terrestri. È perciò l’azione
pura, vuota di ego.
- L’ulteriore forma del vuoto è
la “prova dell’aria”, connessa con la possibilità di
indipendenza del respiro fisico sino all’estinzione di
esso: evento che non può verificarsi attraverso l’organismo
corporeo, anche se lo abbia come conclusivo supporto. Per la
“prova dell’aria”, l’essenza adamantina è desta
nell’anima che tende a farsi sua trasparenza. L’indipendenza
dal terrestre è ora la possibilità di percezione del senso
interiore degli eventi e della loro soluzione, nella forma
che, per altra via, è attuabile solo attraverso la intensa
esperienza del dolore, resa luminosa e mutata in forza d’amore.
La prova dell’aria in sostanza è possibile al livello al
quale risponde la trasmutazione dell’oscuro mondo del
dolore umano, in capacità radiante d’amore. Ora l’essenza-pensiero
non è sostegno, ma oggetto di contemplazione per l’Io,
che non ha bisogno di supporti: ora esso è a sé il suo
fondamento.
- L’esperienza del
“pensiero puro” è preparatrice della conoscenza del “vuoto”(2);
infatti, la prima forma di vuoto si attua in quanto si
possegga talmente questo pensare vivente, che possa venir
estinto. Quanto consegue a una simile possibilità è via
verso il vuoto. Tuttavia, preparatrice di tale esperienza,
è la meditazione sul vuoto: la possibilità di viverne
cosí intensamente l’idea, da poterne avere un senso
attivo nella contemplazione del mondo e del suo divenire.
Che non è un eliminarne la realtà ma un coglierla nel suo
principio e perciò nel suo farsi: d’onde un rapporto di
libertà con essa.
- Vuotare il mondo dell’inessenza
è ritrovare l’essenza, ma anche la manifestazione in
quanto veste dell’essenza, che non è piú l’apparire.
È ritrovare il vero mondo: quello che è simultaneamente
nell’individuo e oltre i suoi limiti; ma è lo stesso che
dire: liberare il mondo dall’ego. Nel vuoto che si può
cogliere, si attinge il Divino, ché le Gerarchie operano
direttamente nei “vuoti” dell’essere, ossia alle
radici dell’esistere, ogni “vuoto” essendo un “pieno”
spirituale. In se medesimi si attinge un “vuoto”
allorché la meditazione si concentra in un punto o quando
un centro sottile (cakra) si avviva di interiore luce
o quando nell’anima un intenso dolore è reso puro sino
alla trasparenza: si ha un’estinzione dell’elemento
egoico-vitale e là dove per qualche momento viene suscitato
un processo di morte dell’ego, in realtà si accende una
superiore forma di vita(3).
- In definitiva, la
logica dell’essere può condurre l’occidentale ad una
esperienza superiore del pensiero e da questa appunto può
sorgere l’idea pura del vuoto. Se si pensa che tutto il
mondo appare in quanto ha forma e che la forma di ogni cosa
o essere è idea, e che il percepire sensibile stesso è in
realtà un congiungersi non-sensibile con il mondo, e infine
che lo spazio stesso è un’idea (si percepiscono infatti i
punti fisici dello spazio, ma ogni relazione tra un punto ed
un altro è già concettuale e il rapporto tra relazioni del
genere è ideale, in quanto astrae ormai da ogni riferimento
fisico, ed in sostanza è la terza dimensione, essendo la
prima quella fisica e la seconda quella concettuale): allora
a un dato momento, può essere inteso il “vuoto”, come
realtà essenziale del tutto(4).
- Dietro ogni esistere, anzi al
luogo di ogni esistere, al luogo di ogni valore formale, la
realtà è il “vuoto”. E dovrebbe non potersi temere, da
chi abbia seguito queste osservazioni, che si voglia
suggerire la concezione di una irrealtà o inesistenza del
mondo che appare: che sono esperienze sovrasensibili di chi
percepisce la base metafisica del mondo, prima delle quali l’apparire
ha indubbiamente il suo valore e la sua verità. Proprio
attraverso l’apparire, infatti, si può risalire, dal
contingente piano umano, a quello causale e metafisico: anzi
l’esperienza che abbiamo già proposto(5)
è il poter andare incontro alle percezioni dei sensi con i
contenuti sovrasensibili fatti risorgere mediante attività
concettuale pura dal mondo dei sensi. A un dato momento,
proprio la coscienza vuota può avere la reale esperienza
del mondo: risultando irreale il mondo appunto allorché
viene arrestato al suo apparire e come tale assunto,
bramato, organizzato e trasformato in cultura. Dalla potenza
del vuoto si può sentir nascere il mondo che, come sistema
di parvenze, comincia a perdere la sua fittizia consistenza:
estinguendosi nella imagine del vuoto, risorge come valore.
Il vero “Io”, quello che tanto si cerca in sé, si
affaccia attraverso gli altri in innumerevoli e avvincenti
modi di essere, ciascuno in sé vero, perché ciascuno lo si
vede connesso con il suo fondamento: identico a quello onde
noi stessi ora siamo. Presentendo il nostro, si scorge negli
altri. E si dà, con gli altri, non cercata, una
correlazione che non può corrompersi. Chi altri mi tolga il
“mantello” è illusorio: gli lascerò sottrarmi anche la
“tunica”: importante è che io senta che ciò, come fatto,
è vuoto, ma come atto interiore è la relazione vera con l’altro,
che in definitiva è il portatore dell’“Io”. La
relazione è quella che, cosí suscitata, può operare su
lui dal suo fondamento e trasformarne la coscienza.
- Si va verso lo zero, perché tutte
le cariche degli impulsi e dei sentimenti connessi con ciò
che appariva, man mano si placano e tendono a svanire. In
effetto non svaniscono; questa è una possibilità ancora
lontana, pertinente non all’idea del vuoto, alla
quale sin qui si è accennato, ma a qualcosa di piú, ossia
all’attuazione del vuoto come stato di coscienza,
risolutiva della costituzione interiore del discepolo: la
cui possibilità di conoscere parte ormai da una base
radicalmente diversa da quella ordinaria, onde egli è in
realtà dvija, “due volte nato”. Ma l’idea
vivente del “vuoto” è già una forza operante nel senso
di una penetrazione della essenza, ossia del vuoto, delle
cose e di una estinzione delle parvenze(6).
- All’animazione di tale idea il
discepolo può operare meditativamente, ricavandone un
potere di incessante liberazione dall’inganno dei “fatti”
quotidiani e dall’assedio degli stati d’animo altrui,
tanto piú stringente quanto piú il suo lavoro interiore
possa essere per gli altri di aiuto effettivo.
- Un simile liberarsi dai “fatti”
non è rinunciare alla oggettiva percezione del sensibile,
ma integrarne il processo nella coscienza, sia con motivi
interiori già suscitati nella meditazione, sia con una
visione vuota dell’essere: che risponde al suo valore negativo,
ossia al valore che è positivo dal punto di vista della
realtà sovrasensibile. Come si vede, ritorna il tema del
rovesciamento o inversione della visione che non è, ben
inteso, un capovolgimento di tipo realistico, o retorica
imagine del rovesciamento relativa alla nota fenomenologia
degli opposti, o “coppie dei contrari”, ma assunzione a
ritroso della “noesi” extro-versa nella ordinaria
visione ontologica. Allora si può comprendere l’agire
come non-agire, il movimento come immobilità e la
inesistenza del movimento nello spazio: si vede infatti ciò
che è mosso nello spazio, non ciò che lo muove, che non è
mai legato allo spazio: per cui si comprende che il vero
movimento è l’atto interiore, che pertanto è il potere
attivo di una intima immobilità, sorgente di ogni
movimento.
- E questa può essere la premessa a
una psicologia del futuro, a cui non sia estranea la psiche.
La potenza del “vuoto” è presente nell’idea del “vuoto”,
ove mediante puro pensiero possa aversi: per sua virtú si
può guardare lo scenario dell’essere, intuendone l’interno
valore, indipendente da quello per cui si destano le
velleità, le inclinazioni e le valutazioni umane. Ogni
cosa, ogni ente, ogni evento, è in sé vuoto: il suo
apparire è il limite che è limite ideale oltre il quale va
ritrovato il vuoto, in cui il vero essere della cosa affiora
per celarsi in ogni istante della manifestazione.
- La verità è dunque il vuoto,
onde la parvenza dà adito ad una essenzialità profonda,
annientatrice di quanto è impulso dell’ego ad alimentare
la sua necessità di fittizio. Il mondo delle vanità e
delle tensioni retoriche proprie all’idea umana di
conquista sul piano fisico – carriera, gloria,
arricchimento – non desta reazioni critiche o repulsioni,
ma viene penetrato da un potere di intellezione che ne
coglie la insostanzialità, ossia il valore, che è il senso
della falsa messa a punto della forza nel processo della
extraversione: cosí come ogni aspetto della presunzione
pragmatistica. Ogni imagine dello scenario terrestre si
estingue dinnanzi alla potenza ideativa del vuoto: il vuoto
si fa pensiero. Ma la realtà del pensiero è il vuoto: le
vie del puro pensiero, infatti, sono vie di annientamento di
processi della natura.
Massimo Scaligero (4. Fine)
da: «East and West» anno
1960 pp. 249-257, in inglese; e da «Vie della
Tradizione», anno III, Vol. III, N. 11, in italiano. |
(1) J. Evola, La Tradizione
Ermetica, Bari, Ed. Laterza, 1931,
pp. 124-5.
(2) cfr. E. Uehli, La nascita dell’individualità dal
mito,
trad. it., Milano, Ed. Bocca, 1939, p. 70 e segg.
(3) Ivi, p. 65 e segg.
(4) A riguardo del valore ideale dello spazio e del tempo e della
loro funzione edificatrice nell’universo e nell’umana “corporeità”,
cfr. G. Wachsmuth, Le forze plasmatrici eteriche, nel cosmo nella
terra e nell’uomo, trad. it. Atanor, 1929, p. 290 e segg.
(5) M. Scaligero, Avvento dell’Uomo interiore, “L’osservazione
pura”, Ed. Firenze, Sansoni, 1960, p. 93.
(6) Cfr. l’introduzione di E. Conze a Selected Sayings from
Perfection of Wisdom, London, The Buddhist Society, 1955, pp.
21-22. |
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