- Per l’uomo
intellettuale moderno che si è formata una sua coscienza
attraverso l’esclusiva mediazione dell’esperienza
sensibile, la realtà del mondo non è piú vivente come era
per i Greci sul piano esteriore, né come era per gli
scolastici, nel cosmo concettuale dell’individuo, ma essa
esiste soltanto nell’aspetto inanimato. La realtà del
mondo per lui è soltanto “riflessa”.
- L’intellettuale
vive di una funzione interiore appartenente per cosí dire
al passato, quella dell’“anima razionale”, la cui
logica tradizionale, da Aristotele in poi, era qualcosa di
vero, in quanto era la veste di un’intima rivelazione.
Essendo questa gradualmente cessata, l’anima razionale
rivela ormai la sua insufficienza, vista con luminosa
chiarezza da un Gentile, romanticamente da un Jaspers, in
ordine a un principio piú alto della coscienza da un J.
Evola: ciò proprio nel momento in cui l’uomo vive nel
pieno di una “civiltà” che ha basi razionalistiche.
- Svuotata
dall’intimo suggerimento dello spirituale, l’anima
razionale diviene ormai partecipe unicamente dell’esperienza
del mondo esteriore. L’intelletto non afferra piú ciò
che è evidente, né il Logos ellenico né quello
giovannèo, ma soltanto la legge astratta, l’immagine
senza vita. La coscienza dell’uomo moderno, allorché è
attiva intellettualmente, offre l’immagine di una umanità
che muore col mondo diveniente, modellandosi all’interno
secondo una fenomenologia che riguarda la “materia”,
ossia il mondo apparente, qualcosa che è in stato di morte.
- Cosí la
ragione, sorretta unicamente dalla esistenza fisica, sino ad
essere a questa subordinata, non può piú trovare l’uomo.
Se guarda nello spazio, concepisce la fine dell’esistenza
con il disgregarsi della forma materiale, se guarda nel
tempo, proiettandovi la materialità dello spazio, crede di
vedere al principio della vita la discendenza dell’uomo
dall’animale. Per l’uomo attuale sparisce ciò che è
veramente umano. E quando egli tenta di guardare nella
propria interiorità, perde coscienza di sé come quando si
addormenta.
- La
sicurezza che un tempo veniva dall’attività dell’elemento
eterno in lui, ormai svanisce: le magiche figurazioni dei
miti che una volta lo animavano o la protezione degli Dei
nella quale egli si rifugiava, vengono paralizzate dall’Intelletto.
Per lui inoltre è pacifico perdere coscienza durante il
sonno: egli si consegna ogni notte a uno stato che la sua
ragione dovrebbe considerare follia. E in effetti egli deve
sempre sostenersi con una coscienza pensante per non
divenire un folle come nel sogno.
- Per
altro quella energia di fede in una realtà piú alta, che
ancora soccorreva nel medio Evo, col sopravvento del
razionalismo, perdendo di intensità, è divenuta un moto
sentimentale con le inevitabili colorazioni dell’egoismo e
della recitazione.
- I
risultati della indagine fisica agnostica, che non può piú
trovare l’uomo all’apice della natura, esercitano il
loro influsso nel processo formativo delle comunità umane,
religiose, sociali, politiche, e operano già su tutta la
terra. Dell’ipotesi della discendenza dell’uomo dall’animale
si sono già avute le conseguenze sotto la forma della
storia che stiamo vivendo. E ciò che sorge dai piú bassi
strati della coscienza – specialmente dal punto di vista
della psicanalisi – viene ritenuto piú importante di ciò
che può essere acquisito da una coscienza piú chiara e
piú libera.
- Tutto
ciò può servire a conservare la specie, ma sopprime l’individualità:
l’umanità nel senso reale del termine viene perduta. L’Io
cade nella sfera degli istinti collettivi, ossia agisce
non secondo il suo principio, ma secondo gli impulsi della
specie: le pratiche che ne derivano vengono poi in ogni
senso glorificate dalla ragione.
- L’uomo
in quanto tale non può piú difendersi, le sue obiezioni a
ogni possibilità di ripresa di sé sono piú ragionevoli
che mai. Egli potrebbe salvarsi soltanto se dal suo intelligere,
che è oggi legato all’esperienza sensibile, potesse
elevarsi a quel “conoscere” che gli Scolastici
attribuivano agli Angeli. Il conoscere dovrebbe
diventare una facoltà umana: se ciò non avverrà, sin d’ora
l’uomo si può considerare perduto.
- Secondo
la dottrina scolastica, per gli Angeli il conoscere è un
comunicare, ossia un entrare in stato di comunione:
gli Angeli vivono nella coscienza di Dio e la recano, in
quanto messaggeri del Cielo, agli uomini. Essi sono
portatori della sapienza e strumenti della onnipotenza. L’uomo
si distingue da tali esseri per mezzo di ciò che egli
stesso, in libertà – ossia mediante il suo vero “Io”,
l’Atman-Purusha indoario – può riconoscere e
decidere in conformità di ciò che ha riconosciuto. Questo
egli può fare solo allorquando si libera da un lato dalla
costrizione della natura che lo lega con i sensi alle leggi
della materia e quando dall’altro lato riesce ad
emanciparsi dalle stesse leggi che il mondo mentale gli
prescrive.
- L’esperienza
dell’uomo è l’esperienza della libertà: l’esilio nel
mondo sensibile, l’oblio della sua patria spirituale,
hanno la funzione di forze stimolatrici della sua libertà:
la caduta nella materia è il principio di una nuova
grandezza dell’uomo. Ma tale grandezza non gli può essere
donata: solo da lui ne dipende la conquista. Non può farlo
altri per lui, né un individuo per un altro. Tale è il
principio della libertà.
- L’uomo
può avviarsi a questa nuova esperienza, se nella sua
interiorità sappia risalire alla fonte dei pensieri e
questa egli riesca a far fluire incontro alle percezioni
sensibili, cosí che sia restituita ad esse l’anima di cui
sono state private. Se l’uomo non riesce a comprendere che
il significato finale di tutta la sua attuale esperienza,
con le sue miserie e le sue glorie, è l’esigenza di un
nuovo tipo di conoscenza, riguardo alla quale ogni
individuo, purché capace di pensare, oggi è virtualmente
pronto, egli rischia di perdere anche questa capacità di
pensare e con essa la sua residua umanità.