- La
concentrazione del pensiero dell’asceta dell’attuale
tempo, contiene una possibilità di liberazione dell’anima
dalla natura fisiopsichica, che nessuna ascesi trascorsa
ha potuto conoscere, proprio per il fatto che mai il
pensiero si è legato alla natura inferiore come in questo
tempo. In effetto l’indagine esclusivamente fisica del
reale si compie a spese di un pensiero che entra nel
sensibile, a condizione di ignorare il proprio autonomo
movimento: non riconosce il proprio spirituale intuire le
verità fisico-matematiche, che crede perciò gli giungano
da fuori, dai fenomeni e dai calcoli. Continuamente l’elemento
interiore del pensiero, irriconosciuto, viene annientato.
- Ove questo
pensiero, mediante retta ed energica concentrazione,
realizzi il proprio autonomo movimento, conquista se
stesso in una profondità del sensibile, al cui livello,
come uno stato di sonno catalettico, questa costituisce
per esso la piú profonda degradazione. Non è la Scienza
della quantità la degradazione, ma il pensiero che si
vincola ad essa. Il Materialismo in realtà è una simile
degradazione. L’ekâgrata dell’asceta di questo
tempo perciò non può non essere una disciplina
ardimentosa. Non v’è altra via per debellare il
Materialismo. Il Materialismo non si vince con persuasioni
spiritualistiche o dialettiche, ma con un’azione
interiore rigorosa, precisa come una operazione
matematica. Ma occorre conoscere tale tipo di azione,
occorre conoscere che cosa è realmente il canone della
retta concentrazione, oggi.
- Si tratta di
una liberazione del pensiero dal vincolo piú sottile, il
meno consapevole, che non viene risolto dall’essere
cultori dell’idea tradizionale, ma soltanto dalla
realizzazione della indipendenza del principio pensante da
qualsiasi condizione, anche da quella tradizionale. L’essere
assolutamente liberi da qualsiasi dogma, da qualsiasi
mito, da qualsiasi principio, che non sia l’assoluto a
priori della coscienza, è il presupposto vero.
Qualsiasi nobile nome assuma un altro presupposto, è un
inganno.
- Il pensiero
piú degradato oggi è quello stesso che, mediante
concentrazione di profondità, può diventare il pensiero
piú potente, sintesi delle forze dell’anima, in quanto
il piú coincidente con la tenebra della materia. Oggi, la
possibilità del samadhi, della “visione
penetrante” e dell’azione sovrasensibile è insita nel
tipico pensiero razionale rivolto al sensibile.
- L’esperienza
sensibile-razionale è il grado iniziale, epperò il piú
basso, di un’esperienza cosciente del Sovrasensibile. Lo
stato di sogno e di sonno profondo del pensiero che s’immerge
nel sensibile risponde ai gradi superiori della coscienza,
cui l’asceta antico si elevava evadendo dal sensibile.
Questi gradi di coscienza, rispondenti allo stato di sogno
e di sonno al livello sensibile, il pensiero cosciente li
contiene in sé e solo penetrando in sé può
sperimentarli: nell’Autocoscienza esso ha l’inizio di
tale possibilità. È la realizzazione della coscienza di
sé indipendente, che esso ha preparato come senso ultimo
del proprio movimento: l’identità assoluta e
impersonale con un contenuto che non è valido in sé, ma
come segno di una operazione di profondità: il sentiero
nuovo dell’anima, volta in forma cosciente al
ritrovamento del Logos.
- Il moto non
cosciente del pensiero che s’immerge nell’oggetto
sensibile, è in sé la forza di superamento della
soggettività e della psichicità: il discepolo moderno ha
la possibilità di realizzare coscientemente tale forza.
Suo còmpito è sperimentare obiettivamente il pensiero
mediante cui sperimenta il sensibile, per entrare
veramente in un superiore segreto di sé e del mondo.
- Sembra che
il pensiero riflesso sia tale in quanto aderisce al
sensibile: in realtà il pensiero riflette il sensibile
grazie alla coincidenza di profondità con il sensibile
della sua parte non cosciente. Il pensiero tuttavia è
uno. Il pensiero riflesso è soltanto l’apparire del
pensiero. Da questo apparire occorrerebbe non trarre la
cultura, ma far sorgere il reale pensiero.
- Ove il
profondo potere d’identità del pensiero non venga
attuato da un minimo numero di indagatori coscienti, né
venga vissuto in sé come il senso reale dell’esperienza
sensibile, tale potere viene perduto per la collettività
umana: esso scende nella corporeità, divenendo vita
istintiva: di un tipo che degrada ulteriormente l’umano.
- Lo
sperimentatore opera in modo che l’incorporeità del
riflesso divenga veicolo dell’incorporeità del potere
di profondità del pensiero. L’incorporeità dominatrice
della corporeità è originaria al pensiero, come potere
di identità. Lo sperimentatore non deve fare nulla che
non sia già compiuto nel moto immediato del pensiero
rivolto all’oggetto sensibile: deve realizzare
volitivamente quel potere d’identità. Deve realizzare
questo medesimo immediato moto riguardo al pensiero
riflesso, allorché giunge ad averlo obiettivamente
dinanzi a sé. Cosí contemplato, con la stessa
determinazione sollecitata dall’oggetto sensibile,
grazie alla piú semplice dedizione ad esso, il pensiero,
come contenuto non sensibile, fa appello all’immediata
Vita della Luce.
- Tale
immediatezza, come potere del pensiero originario, afferra
ora l’oggetto non sensibile: non avendo di contro a sé
un oggetto sensibile, non ha bisogno di dar luogo a un
riflesso, ma estrinseca indipendentemente dalla forma
riflessa la propria forza. Risolve la forma riflessa nel
potere della sua Luce.
- Nel pensiero
riflesso è presente ma sconosciuto l’Io: se si penetra
il riflesso, si trova l’Io. Come intentamente si guarda
un oggetto sensibile, occorre giungere a guardare
intentamente il pensiero. Si tratta di un’operazione
piú radicale che la semplice obiettivazione del pensiero
nella concentrazione, essendo il suo senso ultimo la
penetrazione del mistero del mondo minerale. La
mineralità terrestre cela il segreto dell’originaria
struttura saturnia e solare della Terra. In ordine alla
metafisica della Terra “solare”, la contemplazione
ascende per diversi gradi a sempre piú pure essenze di
liberazione nella misura in cui il pensiero piú
profondamente realizzi la penetrazione della terrestrità.
- In ogni
forma dell’essere, la corrente radicale del pensiero
muove attuando la sintesi correlativa alla particolare
determinazione onde distingue ogni oggetto dagli altri. La
particolarità appartiene alla percezione, il superamento
di essa al pensiero. L’essere sorge da questa sintesi,
che è còmpito del discepolo possedere via via conoscendo
il proprio conoscere. Questa sintesi, allorché egli l’attua
direttamente in sé secondo l’ascesi solare, assumendo
il pensiero come oggetto, epperò come essenza della
oggettività, gli dà modo di incontrare l’essenza nel
pensiero. Il pensiero, immergendosi nel proprio momento
noetico, opera in sé con sé la sintesi, ma in realtà
unisce le due correnti dell’essere, la interiore
(metafisica) giungente attraverso il pensiero, e la
esteriore (cosmica) giungente attraverso la percezione
liberata dal dato sensibile.
- L’uomo
vive in idee, ma lo ignora: procede con il potere dell’idea,
estinguendo di continuo in essa la fattualità sensibile,
ma lo ignora. L’istanza ultima dell’esperienza
sensibile è per l’uomo afferrare la volontà con cui
muove nell’idea, là dove comincia a esaurire il peso
della materia fisica: là dove l’essere sorge come
pensiero, come sintesi iniziale, che esige essere
conosciuta per essere proseguita. La disciplina gli deve
dare modo di cogliere la volontà presente, ma non
cosciente nel pensiero: l’identica volontà che mediante
la percezione incontra radicalmente la mineralità. L’arte
è l’entelécheia di tale sua volontà una con il
pensiero, che gli consente di sperimentare l’essere come
pensiero: la realtà iniziale del mondo, in cui egli è
creatore non in quanto pensa, ma in quanto realizza il
potere dell’essere nel pensiero. Giova osservare che l’esperienza
di tale essere originario dell’intima anima e del mondo
risponde a un momento superiore di annientamento del
pensiero dialettico. La vera Magia è l’attuarsi del
pensiero come essere, onde l’essere scompare come
alterità: il pensiero ritorna a essere, sia pure per
attimi, il lampo primordiale che attraversa la
mineralità.
- L’essere
del mondo che sorge come pensiero, in quanto pensare che
sorge come essere, non è quello dell’idealismo, bensí
l’essere del pensiero solare, sintesi della corrente
originaria del pensare nella coscienza umana con la
potenza pensante del Cosmo. Ciò che appare come essere
del mondo non è alterità, oggetto estraneo e conoscibile
al pensiero, che se lo trova dinanzi come opposto, ma
iniziale sintesi del pensiero penetrante in esso con il
suo primo moto. Tale sintesi non è cosciente al pensiero
riflesso: al cui meccanismo occorre l’alterità del
mondo, per sentirsi fondato sul concreto.
- Il vero
concreto è l’assoluto fondamento che il pensiero della
concentrazione ritrova in sé: ma non è piú pensiero,
bensí un originario volere magico. Questo volere magico
viene ritrovato nella segreta Operatio Solis del
pensiero. Qui avviene la connessione essenziale con ciò
che fu smarrito: qui la Tradizione riprende come
operazione volitiva di profondità, indipendente dalla mâyâ
delle mediazioni di qualsiasi tipo, culturale, filologico,
rituale ecc. L’equivoco della Tradizione soggettivamente
assunta, senza coscienza del limite noetico della
soggettività, cessa: essa non è un’integrazione,
bensí una ulteriore forma dell’interruzione. Sinora è
stato inevitabile che, rispetto all’assunto metafisico
dell’Io, il cosiddetto “organismo” indicato come
mediatore della Tradizione risultasse conforme a
condizioni e modalità pragmatiche, in realtà
contraddicenti il carattere metafisico di essa, ossia la
sua possibilità di valere indipendentemente dal binario
rituale o cerimoniale.
- La
conoscenza tradizionale, efficacemente ripresentata nella
forma critica “moderna”, può essere utile come
oggetto di meditazione e stimolo al “ricordo”, ma l’accettarla
come direzione metafisica non dovrebbe impedire di sapere
che cosa si vuole veramente da essa: occorrerebbe non
ignorare l’Io da cui si muove per la ricerca e che, se
si osserva, inizialmente ha a che vedere con tale ricerca,
allo stesso titolo che con qualsiasi altra ricerca. La
relazione con essa, infatti, inizialmente riguarda l’astrale,
non l’Io non ancora realizzato e che, per realizzare se
stesso, tende a essere presente a tale relazione come a
qualsiasi altro processo di conoscenza. Riguardo a ogni
processo di conoscenza, l’intento metafisico dell’Io
è sperimentare le forze del corpo astrale in atto come
relazione di questo con il mondo: in realtà, nel vedere,
nell’udire, nel pensare, nell’imaginare, è l’Io che
sperimenta. La relazione deve passare dall’astrale all’Io,
il cui còmpito è solo percepire mediante l’anima, al
livello sensibile, contenuti che esso già possiede al
proprio livello sovrasensibile. Senza la presenza dell’Io,
il percepire, il pensare, il conoscere, permarrebbero allo
stato di relazione sonnambolica dell’anima con il mondo.
Nel pensiero cosciente l’Io ha l’iniziale incontro
puro con l’astrale, con l’anima: l’ordine interiore
viene, sia pure per breve momento, restituito.
- Il Divino
contemplato nei dominii della Tradizione, è vivente nelle
normali attività della coscienza. L’uomo è invero il
“tempio del Divino”, ma non può scoprire le forze
superiori attive nei processi del percepire e del
conoscere, finché è immedesimato in essi, riguardino
essi il mondo fisico o il metafisico, e finché mediante
essi cerca tali forze fuori di sé: nei segni del passato,
negli impulsi esauriti dell’anima. Il primo atto di
resurrezione dell’Io si realizza nel pensare che si
liberi dalla soggezione al corpo astrale ed esprima l’autonomia
del suo principio sovrarazionale.
- La
Tradizione vera è la trasmissione imprevedibile: l’accensione
non imposta allo Spirituale da alcuna regola o formula, o
rito, o appartenenza a un determinato organismo
tradizionale. Lo Spirito oggi può realizzarsi nell’anima
cosciente come ciò che non ha bisogno di alcun appoggio
in altri enti, per operare al centro dell’umano, in
quanto ha in sé l’assoluto fondamento. È importante
scoprire quanto l’impedimento allo Spirituale dipenda
dal non attingere ad esso la pura autonomia che è
possibile già sperimentare, sia pure al livello piú
basso, nel pensiero cosciente. Là dove non è piú
necessario pensare per conoscere, perché il pensiero
diviene puro volere dell’Io possessore di ciò che prima
doveva conoscere, comincia l’identità con l’elemento
perenne ritrovato della Tradizione: anche se non si è mai
neppure conosciuto il nome di Tradizione. Il nominalismo
di questo nome può essere il grande impedimento, malgrado
l’imponente apparato filologico-storico, anzi mediante
questo.