FiloSophia

Non può non essere subito rilevato un singolare contrasto tra il mondo dell’azione e l’intellettualismo, connesso ad una capacità dei cosiddetti uomini di lettere, artisti e ideologi ad essere gli strumenti dello spirito che illumina, rettifica e ricrea. Si può peraltro notare che, sia da un punto di vista tradizionale che da un punto di vista antitradizionale, si equivoca concretamente circa il senso di tradizione, ma che, per una “necessità” dell’arte, allorché si parla di innovazione di “rinascenza”, di “umanesimo” e di possibilità attuali di uno stile nuovo si incorre generalmente nell’equivoco per cui si scambia una posizione artistico-filosofica con lo spirito animatore di una civiltà, ossia l’esteriore con l’interiore. In sostanza, arte e civiltà sono due termini di cui il primo è da considerare secondario rispetto all’altro, giacché, mentre una civiltà può fare a meno dell’esperienza estetica, questa non può aver vita che come conseguenza o parte di un ciclo interiormente organizzato di civiltà. In ogni modo non si possono identificare l’essenza di civiltà e il motivo ispiratore della sua storia, col limitarsi alla esegesi erudita, alla indagine dei fatti, alla ricostruzione dialettica della sua vita politica artistica ed economica; ma da questi è necessario risalire ad un principio piú intimamente reale che è il centro determinante, animatore, rispetto al quale, politica, cultura, arte, si trovano alla periferia, come manifestazione di un unico principio spirituale. Un tale presupposto deve aver valore soprattutto per coloro che danno al termine “tradizione” il senso piú ristretto, illudendosi pertanto che la meccanica ripetizione o l’efficacia delle ricostruzioni culturali siano condizioni necessarie e sufficienti alla restaurazione dello stile spirituale di una civiltà.
Non sarà mai abbastanza ricordata, a questo proposito, la necessità di un’attitudine interiore corrispondente in dignità e in elevazione al punto di penetrazione nell’autentico mondo dello spirito. Non si può intraprendere la ricerca di una continuità spirituale nel ciclo di una cultura, se non si sia realizzato un contatto cosciente e diretto con la stessa esperienza che fu motivo basilare della sua tradizione. Non si può dal di fuori penetrare l’essenza di un ciclo di cultura: occorre, all’attuazione di un tale compito, sapersi prima trasferire da un piano ad un altro, da un punto di vista esteriore a un punto di vista interiore, ovvero prendere contatto non semplicemente attraverso il freddo raziocinio e la logica “umana”, ma con l’anima, attraverso una sorta di chiarificata capacità di visione di tutto l’essere. Allora il ghiaccio si spezza, una sorta di calore nasce e stabilisce rapporti reali, vivi, tra l’uomo che indaga e il mondo storico: l’opacità si scioglie e si chiarisce, la realtà della cultura si fa trasparente, si afferra il significato di uno stile di vita, che sta prima di ogni stile dialettico, e al quale occorre volgersi per attingere insegnamento, forza, nuova lucidità. Ora, l’Umanesimo non ridestò il fuoco avvivatore, centrale, della civiltà classica, ma ne rivalutò, imitandole, quelle manifestazioni dialettiche ed estetiche che possono peraltro considerarsi come una retorizzazione dello spirito classico. La cosiddetta humanitas e la passione classicistica che motivarono il periodo della Rinascenza, non furono che una fioritura retorica di tipo alessandrinico, filologicamente perfetta, ma che non finí col purificarsi, come quella di Alessandria, con un immane incendio di carte e libri.
Cosí il ritorno dell’umano che caratterizza in generale la cultura contemporanea, essendo pertinente a ciò che nell’uomo è semplicemente fisico, riguardando l’uomo, sia sotto l’aspetto scientifico che filosofico e artistico, soltanto per quel che si riferisce alla sua vita contingente e terrestre, genera il potenziamento dei suoi valori inferiori, rendendo definitiva la perdita dei contatti con l’alto, con il mondo “sacro” e “sovrammateriale”, che solo può dare significato eterno alle cose. Nascono cosí, in filosofia, il razionalismo, il positivismo e lo sterile idealismo: in arte, il dominio retorico dello spirito scientifico e della meccanizzazione della vita; nella morale, il basso individualismo: si tratta infine di una valorizzazione scientifica ed artistica di ciò che nell’uomo è caduco, in quanto soggetto a incessante corruzione. L’attuale cultura “umanistica” è dunque una cultura dell’impotenza, una cultura della vanità, una cultura dell’esteriorità: tanto piú grave, per quanto piú organizzata con buona fede e convinzione. Da una parte essa costituisce l’opaca sfera delle costruzioni intellettualistiche, eruditiche, critiche, la sfera che rappresenta la degna controparte “letteraria” delle varie scienze profane: dall’altra essa costituisce la torbida sfera dell’uomo tragico o romantico, del complesso egoistico della ossessione umanitaria e, sopra ogni altra cosa, il mondo dell’eros, la psicosi sensualistico-amorosa narrata, drammatizzata, dipinta, cantata in indefinite varietà e sempre aureolata di “spirito”. Alla sommità di un simile mondo, stanno il pathos democratico e il culto romantico della pseudo-libertà democratica: con questo culto, con questa superstizione dello scatenamento delle istintività, il culmine della cultura “umanistica” è raggiunto.
Sembra che l’esperienza intellettuale, letteraria, artistica vada precipitando in una sorta di caotica disgregazione, contrassegnata particolarmente da un eccesso di criticismo, non perché siano per cessare le diverse attività letterarie e vadano riducendosi le varie forme della esperienza intellettuale, ma perché queste risultano come l’indice grafico, l’espressione discorsiva, di una interna dissoluzione. Asservite a preoccupazioni materialistiche e adattandosi al giuoco di rivestire di falsa idealità tutto ciò che è originariamente determinato dal dominio dei sensi, epperciò prive assolutamente di un contenuto etico, quasi tutte le produzioni letterarie non sono che retorica e servono a dar veste di potenza all’impotenza dell’uomo a creare effettivamente e coscientemente. La decadenza letteraria, in questo senso, è segno di decadenza spirituale.
Alla stessa maniera che la ragione e la scienza costruiscono una realtà fuori della realtà, ossia non hanno il dominio diretto della natura ma il dominio di una morta, meccanica esteriorità, cosí l’arte creando una realtà tutta sua, fuori dell’ambito obiettivo e reale, non comporta nessun possesso del mondo e nessuna affermazione in esso. Nell’arte come nella scienza, non si ha nessuna vera modificazione, né alcuna conquista metafisica da parte dell’uomo: rispetto ad esse, ciò che è rimane realmente come è, permane irremovibile quel non io indipendente che nessuna escogitazione idealistica può rimuovere o improntare di sé. Quando anche si ritrovasse in esse traccia di attività di un io piú o meno cosciente o pensante, non sarebbe per questo dimostrato un qualsiasi potere sulla realtà: sarebbe sempre un io discorsivo.
In tale senso, l’arte è divenuta illusione di creazione, creazione nell’immaginario, ossia una forma di conquista squisitamente “idealistica”, che non ha nessuna rispondenza di attuazione e di
affermazione nella vita. Essa finge, sí, di essere un’aspirazione alla vita, ma non è quella conquista della vita, che soprattutto importa. Anziché aspirare alla bellezza e alla forza, l’arte dell’uomo dovrebbe essere vita, ossia conquista reale di bellezza e di forza: ma l’arte come arte non può questo: il suo compito è di rendere obiettivo, in creazione plastica o dialettica, il sogno, non realizzarlo.
È evidente che la decadenza del periodo attuale è conseguenza di un’attenzione che l’uomo ha rivolto ad un altro mondo, a una irrealtà “oggettiva”, a un’altra costruzione fuori della realtà, che è il mondo meccanico. L’avversione alla dialettica e allo “spirito contaminatore” non rappresenta dunque una reazione positiva ai vecchi romanticismi e accademismi, ma un’altra via nello stesso senso dissolutivo. Alla irrealtà del mondo artistico letterario, l’uomo attuale va sostituendo l’irrealtà non meno retorica, anzi piú pericolosa per le sue seduzioni, della vita meccanica.
Se sia progresso o regresso, è lungamente discutibile, ma rimane indiscutibile il carattere dell’irrealtà che, trasfondendosi in creazioni sempre piú esteriori e materialistiche, si serve della veste discorsiva soltanto per mascherare certa irrazionale istintività e glorificare esteticamente le esalazioni di una informe palude interiore. Ciò, come abbiamo accennato, non esclude che, giunti a tal punto, piú che un’anima letteraria, occorre ai nuovi tempi un’anima eroica, ossia un impulso ad agire e a rinnovarsi che, in sede intellettuale, se mai, può esigere soltanto la secca enunciazione di princípi, di norme, di sintesi di un’etica nuova. Sotto questo aspetto, la desolazione dell’ultimo mondo “umanistico” con i suoi ultimi impotenti parossismi, stanno ancora a significare che il centro della vita sta spostandosi altrove. Agli occhi dei migliori l’esperienza letteraria palesa già il suo carattere di disgregazione e di decadenza di fronte a un mondo che insorge, il mondo in cui sembra tornare qualcosa di barbarico nella sua elementarità, nella sua trascendenza rispetto a tutto ciò che è sentimentalistico, soggettivistico, astratto. Il secolo della massa onnipotente, il secolo del corrusco, arido tumulto meccanico, il secolo dell’algebra, che creano forme di nuove oggettività, di nuove impersonalità, di assoluto egoismo, non è che virtuale distruzione dell’epoca letteraria, travolgimento del mondo astrattistico-filosofico: esso annuncia inequivocabilmente la fine di tutta la retorica che i non pochi intellettualisti tentano ancora alimentare con ibride creazioni.
Il mondo dell’azione scatenata va dunque distruggendo il mondo della falsa cultura da cui è stato generato: un errore ne divora un altro, ma esso stesso ne genererà un’altra serie. È questa l’alterna vicenda di Arimane e di Lucifero nella sfera terrestre. Di contro a questa mondiale falsa messa a punto delle energie interiori dell’uomo, ciò che rimane come valore è l’uomo stesso con la sua capacità di risolvere la contraddizione divenuta sistema, metodo, organizzazione, costume, mentalità, meccanismo, scienza, potenza dogmatica. Questa capacità è sempre possibile, piú che mai oggi nell’epoca della macchina e dei grandi automatismi, in quanto un simile mondo ha origine proprio nell’anima umana: essa può rendersi libera in sé e divenire effettivamente dominatrice delle forze che urgono dalla sua profondità, cosí che non precipitino nella meccanizzazione esteriore, nello scatenamento incontrollato, nelle false costruzioni intellettualistiche e artistiche. Questa è la rivoluzione da compiere: una rivoluzione nell’anima dell’uomo, secondo una scienza dello spirito. A questa noi aspiriamo, come al principio di una resurrezione di quel che nell’uomo è veramente eterno e creativo.

Massimo Scaligero (2. Fine)

Da «Architrave», I, N. 2, Marzo 1948.

Immagine: Virgilio Marchi «Edificio visto da un aeroplano virante», 1919-1920