- Tra gli errori ideologici
scaturiti da quella mentalità illuministica e naturalistica
che ha raggiunto le sue culminanti espressioni verso la fine
del secolo scorso [sec. XIX, n.d.r.] è il “senso della
storia”. Come retorica, esso sarebbe rimasto infecondo, se
non fosse assurto a dignità di mito sociale, al quale un
appoggio sul piano della realtà fu dato dal positivismo
scientifico, dallo sviluppo della tecnica ed essenzialmente
dalla suggestione del “progresso”.
- Essendo perduta per l’uomo la
capacità di percepire una “direzione olimpica”, o
metafisica, fu comodo dare un apparente ordine o spiegazione
agli avvenimenti escogitando il senso della storia, che per
alcuni sostituí completamente il destino, o la provvidenza,
e per altri coesisté in una strana artificiosa
contraddizione con un atteggiamento religioso già
sufficientemente laicizzato.
- Ma per quanto l’uomo si immagini
una sua direzione conforme alla mentalità
materialistica e profana, incapace di sensibilità
interiore, e le dia tutti i fondamenti della realtà, non
per questo la “direzione metafisica”, quella che emana
da una Legge divina sorreggente l’armonia del tutto, cessa
di agire nel mondo e attraverso gli umani. Essa, in quanto
è anche Intelligenza suprema, deve trovare come obbediente
strumento l’intelligenza terrena la quale, sul piano dell’ignoranza
che le è propria, anche se crede di poter tutto risolvere e
spiegare entro i limiti della sua capacità di comprensione,
non cessa perciò di essere subordinata al principio di cui
non è che un fioco riflesso del riflesso. L’intelligenza
umana dovrebbe creare come piú nobile e vera espressione di
sé una coscienza di dipendenza e di obbedienza, capace di
stabilire realmente il rapporto dignificante tra se stessa e
il Divino, sino a quella “identità” che è integrazione
e liberazione: invece essa rimane soddisfatta di una
pseudo-coscienza a cui dà i gravi nomi di individualità,
di coscienza, di libertà, credendo di poter creare
immanentemente un suo mondo, una sua sfera d’azione, un
suo ciclo duraturo: cosí, perde il contatto diretto e
cosciente con ciò che solo può essere condizione di una
creazione duratura, di un mondo di verità, di una sfera di
certezza, rinunciando a conoscere, sia pure inizialmente
entro i limiti della sua comprensione, ciò che solo può
dare un fondamento alla organizzazione sociale e può
consacrare con il suggello della aeternitas ogni
organismo gerarchico necessario alla coordinazione dei
valori umani.
- Per chi sia capace di sollevare il
velame della conoscenza contenuta nelle antiche e perenni
tradizioni, non può essere un mistero il fatto che l’Assoluto,
sul piano della manifestazione senza forma, o
sovrasensibile, si presenta come una Potenza che, ove non
trovi le volontà individuali, di cui è origine e sostegno,
lungo la sua direzione, essa le costringe (e il termine è
alquanto impreciso, poiché in sostanza è lo stesso spirito
dell’uomo che si fa interprete di questa direzione divina)
a riaccostarvisi dal punto in cui esse ritengono di aver
creato una loro legge e una loro vita. Questa azione segreta
del Divino nell’umano, trovando resistenza nell’elemento
di inerzia che caratterizza l’organicità fisio-psichica
dell’uomo, si verifica sotto le apparenze di crisi, di
urti e di tragiche sofferenze, cui l’Io dell’uomo,
nella sua forma pseudo-cosciente, è incapace di dare il
vero significato.
- La regola è valida per i singoli
come per le razze, le quali, rispetto a questo principio
trascendente, rappresentano valori omogenei gerarchicamente
differenziati secondo il loro grado di adesione alla sua
legge e perciò meglio qualificati che entità come i popoli
e le nazioni, per la realizzazione ritmica e sincronica di
tale legge. È bene dunque aggiungere che qui il
riconoscimento di una direzione divina e l’azione conforme
a tale riconoscimento non potrebbero essere attuati che da
una “razza spirituale”.
- La “razza dello spirito” è
quella che, per aver realizzato in sé la coscienza del
principio metafisico, epperò possedendo la capacità
continua della comunione con il Divino, potrebbe meglio
conoscere la direzione che esso imprime all’umanità e
tradurre tale conoscenza in termini umani accessibili
rispettivamente alla razza dell’anima e a quella del
corpo; ma soprattutto essa ha la possibilità di formare
quegli elementi capaci di convertire in realtà esistenziale
l’ordine gerarchico cui dovrebbe venir affidata l’organizzazione
sociale. Ciò è effettuabile quando una razza spirituale
può affermare il suo dominio non soltanto in una forma
culturale e sapienziale, ma anche sul piano della
manifestazione, assumendo giustamente la direzione degli
eventi.
- Ma come oggi è possibile in
termini precisi il riconoscimento di questa azione del
Divino nell’umano? Essenzialmente viene postulata la
Tradizione; ma attorno ad essa molti equivoci sussistono e
si moltiplicano, soprattutto perché la “lettera”
supervalutata ha velato lo “spirito”. Ogni corpo
dottrinario sacrale comprende necessariamente due motivi:
uno temporaneo e contingente, l’altro perenne e
trascendente. Il primo, essendo relativo allo spazio e al
tempo, presenta una forma concettuale il cui valore è
connesso alla adattazione contingente: il concetto in
questione non ha un significato definito in quanto tale, ma
come tramite per il contatto dell’interiorità umana con
un valore che è veramente assoluto. Onde Tommaso chiarisce:
«La cosa conosciuta è nel conoscitore in modo conforme
alla natura di quest’ultimo», e ancora: «Il nostro
intelletto considera Dio secondo il modo derivato che parte
dalle creature».
- Ma il motivo “essenziale” è l’altro:
quello che rappresenta intimamente, nella sua perennità, la
Tradizione. Essa è un aspetto di quel vero eterno che non
saprebbe essere rinchiuso esclusivamente in una cultura o in
dottrina. Il termine “cattolico”, in tale senso, dà il
piú ampio respiro alla sua significazione, in quanto reca
nella sua universalità quella vastità comprensiva che è
propria dell’Assoluto. Non si è certamente inteso questo
Assoluto, se la concezione che se ne ha comporta la
esclusione di quegli aspetti sia pure “minori” che Esso
assume alla base di altri sistemi e di altre religioni. La
forza essenziale di una religione consiste appunto in questa
possibilità di comprendere universalmente; per cui non
sapremmo giustificare taluni che, ritenendosi cattolici, in
buona fede, giungono a un vero e proprio esclusivismo, non
per quanto riguarda l’osservanza del rito (che in questo
caso essi sarebbero nel vero) ma per quanto riguarda la
realtà metafisica della religione, dimenticando che proprio
Tommaso in tal senso ebbe cosí ad esprimersi nella Summa:
“Noi non diciamo il Dio unico, perché la Divinità è
comune a molti”.
- Ritornare alla tradizione viva,
liberarsi dalle espressioni morte, ossia da quelle che
permangono come meccanizzazioni dialettiche di originari
princípi di Spirito: è questo il compito iniziale.
Ritrovare i princípi è necessario, ritrovare lo spirito
attraverso la lettera, riconquistare la purità originaria:
solo a questa condizione può essere ritrovato un punto
unico ed assoluto di riferimento per ogni creativa attività
dell’intelletto e per ogni affermazione della volontà. Ma
ciascuno non può tornare nella “via regale” della
Tradizione se non attraverso il sentiero della propria
tradizione, riconquistata nella propria interiorità.
Occorre nuovamente all’uomo la possibilità di rivolgere
dall’esterno all’interno lo sguardo consuetamente
affascinato dalle apparenze sensibili e ritrovare il senso
della propria tradizione. Ciò significa che se la propria
tradizione è, ad esempio, quella cattolica, occorre all’individuo
sforzarsi di realizzare in sé il principio
cattolico-romano, in senso di purità assoluta, ossia non
alterando soggettivamente la regola con interpretazioni
conformi alla mentalità materialistica moderna, ma al tempo
stesso capire che cosa la tradizione esiga come contiguità
della sua affermazione in un mondo come quello dell’attuale
civiltà: cosí, cominciare a vivere profondamente, nella
totalità della vita, il costume cattolico-romano e,
attraverso esso, ritrovare ciò di cui esso non è che
tramite: l’autentico contatto con il Divino.
- Il ritorno alla propria
interiorità, secondo la propria legge metafisica, non è
che un principio: a torto moltissimi credono che sia tutto.
È appena il principio. E se questo primo contatto con l’autentica
spiritualità originaria non viene sostenuto da una continua
attenta coscienza, da un continuo senso di devozione di ciò
che è in basso verso ciò che è piú in alto, per cui si
stabilisce un ordine in tutto l’essere e lo si inquadra
armonicamente nella gerarchia piú vasta, ad ogni momento l’egoismo
mentale o vitale o istintivo può giocare l’uomo,
impossessandosi del prodotto di questa iniziale comunione
spirituale e riconducendola per altra via al suo gioco
ristretto, larvatamente terrestre, inferiore. Cosí avviene
che spesso si parla di costume mistico, si crede di avere
infine compreso che cosa è mistica e si vive con un
semplice atteggiamento dialettico-mistico, mentre il resto
dell’essere in piena anarchia fa inconsapevolmente il
gioco di quel complesso di passionalità e di istintività
che, assumendo forma raziocinante, dà all’uomo l’illusione
di essere un Io autonomo e dominatore del proprio
esistere. Questa
illusione di avere infine acquisito il diritto di
considerarsi spirituali solo per aver accettato
intellettualmente una tradizione, è piú pericolosa che l’essere
fuori, anche intellettualmente, da qualsiasi corrente
religiosa tradizionale. È un’illusione che non può
essere superata se non attraverso un’autentica conoscenza
di sé, che esige una sua particolare disciplina.
- È invalso invece l’errore di
credere che sia sufficiente aver risolto dialetticamente il
problema, per averlo risolto anche nella pratica. Molti che
oggi discutono sul problema sociale, suggeriscono soluzioni,
ardono di riformare la società, già recherebbero un vero
contributo alla realizzazione dell’obiettivo che si
propongono, se semplicemente fossero capaci di eseguire un
esame di coscienza e cominciassero a vivere individualmente
la regola che essi accusano la società di aver tradita; e
questa regola dovrebbe estendersi dall’individuo alla
famiglia, alla società, alla Patria. Già questo sarebbe un
inizio di restaurazione e il primo contributo ad una
effettiva ripresa di contatto con i princípi etici della
Tradizione.