Historia

La civiltà di Roma si forma nel Mediterraneo con il concorso di elementi mediterranei (minoico-micenei, protoellenici, italici, indoeuropei) che sono depositari di una tradizione spirituale remotissima che, preesistendo all’ellenismo e al doricismo, risulta come autentico retaggio della civiltà iperboreo-atlantica.
Il timore di parlare di origine mediterranea è dovuto probabilmente ad un’insufficienza di preparazione che facilmente fa subire l’influsso di quella corrente culturale la quale da circa un secolo, sotto diverse assunzioni, storiche, antropologiche, archeologiche, ci fa sapere come l’Europa meridionale e mediterranea fosse barbara sino agli scorci del periodo neolitico, popolata di razze dedite a oscuri culti della natura, ignare di un ordine politico e gerarchico, sino a che sopraggiunsero popoli del Nord, e precisamente i Dori in Grecia, a portare la luce della civiltà. Astraendo, invece, dalla tendenziosità di tale veduta, è dimostrabile che proprio dai popoli mediterranei fu ereditata e custodita la fiamma della spiritualità solare dei primordi, in quanto dall’Atlante berbero la tradizione “atlantica” passa in Egitto in un’epoca che si perde nel paleolitico: alla nostra cultura etnografica non può essere piú sufficiente la tesi delle origini doriche della civiltà greco-mediterranea.
Il limite alla visione delle origini greche si aggira attorno al Mille avanti Cristo, ossia press’a poco verso il periodo dell’avvento “nordico”. Occorre dire che, mentre per quanto riguardava l’Egitto e le regioni situate presso il Mediterraneo orientale, erano venuti alla luce documenti storici decisivi e monumenti di alto significato, che costituivano altrettanti sicuri punti di partenza per risalire alle origini di quei popoli sin oltre quattromila anni prima dell’era volgare, per la Grecia invece non si riusciva a discernere la configurazione storica ed etnica di là dagli otto o i nove secoli avanti Cristo. Soltanto allorché l’archeologo Schliemann, iniziate le sue ricerche di Troia, nella zona presso l’Ellesponto, dopo qualche tempo scopriva a Micene, ad Orcomeno in Beozia e a Tirinto nell’Argolide, significativi monumenti e avanzi di quella civiltà proto-ellenica che doveva assumere il nome di “micenea”, cominciò a delinearsi l’ipotesi che la civiltà e la religione dei Greci non fossero una semplice evoluzione di ciò che gli Elleni avevano recato immigrando in quelle regioni, ma il risultato di una fusione con elementi aborigeni e dell’influsso spirituale di questi.
Infatti, attraverso sempre piú precise ricerche venendo ricostruita la storia della civiltà micenea, si resero evidenti caratteristiche di evoluzione etnica, etica ed artistica, molto superiori a quelle dei Dori che poi sopraggiunsero. E allorché si presentò il nuovo problema riguardante i motivi delle origini e della caduta di quella civiltà, molto a proposito vennero gli straordinari rinvenimenti archeologici e antropologici fatti a Creta. Quest’isola risultò veramente essere stata un centro di civiltà e di potenza marinara, cosí come Aristotele aveva riconosciuto tenendo conto della sua posizione naturale: al suo ciclo, di cui sarebbe stato iniziatore il re Minosse, fu riconosciuta una dominante funzione mediterranea, soprattutto quale tramite fra le antichissime civiltà dell’Egitto e dell’Asia, e la Grecia e l’Europa meridionale.
Quanto ai caratteri essenziali della civiltà del periodo minoico-miceneo, essa ci appare come depositaria di una tradizione spirituale cui fa riscontro la conformazione etnica dolicocefala, con rapporti profondamente significativi con l’Egitto preistorico, ossia con la prima civiltà mediterranea che riprenda il retaggio occidentale, atlantico, della civiltà partita dalle misteriose regioni “di là dalle colonne d’Ercole”. Una volta ammesso che la remota cultura recata dalle popolazioni emigranti dall’Occidente diviene anzitutto un patrimonio dell’Egitto dell’epoca predinastica e delle primissime dinastie, e che appunto il sopraggiungere di una popolazione apportatrice di una tale cultura costituisce il motivo iniziale ed essenziale della grandezza della civiltà egizia, è sufficiente rilevare i rapporti di questa con i Cretesi per capire le origini della civiltà mediterranea e il carattere “solare” e spirituale della sua tradizione ereditata dalla stirpe che prima conobbe i Misteri Maggiori.
Data la potenza marinara cretese, ci si spiega perché i rapporti con l’Egitto già fiorenti nell’epoca neolitica divenissero sempre piú fecondi in seguito, come risulta dalla menzione che fanno dei Cretesi le iscrizioni egizie delle prime dinastie e dal ritrovamento di oggetti egiziani nei palazzi di Creta, e di prodotti dell’industria cretese e di riproduzioni di essi nelle tombe egiziane – elementi, questi, che peraltro giovano a stabilire con sicurezza alcuni sincronismi fondamentali, i quali rendono possibile di capire lo sviluppo del ciclo mediterraneo che è alle origini dell’ellenismo e di quella romanità che lo riassumerà in pieno.
Mentre l’antropologia ha potuto stabilire le caratteristiche etniche dell’uomo civile del periodo minoico-miceneo, che presenta il cranio dolicomorfo e perfettamente sviluppato, l’archeologia ha potuto rilevare come l’architettura, l’arte e l’industria si sviluppano in Creta stupendamente dietro l’influsso e l’insegnamento degli Egizi. È fondamentale rilevare come tale influsso e tale insegnamento, che daranno l’impronta a tutta la civiltà egea, mediterranea, ossia a quella il cui retaggio verrà ripreso, insieme con altri elementi formativi complementari, da Roma attraverso gli Etruschi-Pelasgi, abbiano luogo nel periodo del puro egittismo, sin dalla seconda dinastia, nell’epoca della monarchia thinita, e, sin dalla terza dinastia, nello splendore dell’epoca menfitica. Ciò significa che la comunione civilizzatrice egizio-cretese, basilare per lo sviluppo della cultura egea, avviene nel periodo in cui l’Egitto presenta tutti i caratteri della tradizione “solare” recata dalla razza rossa, forte, sapiente, divina, che proveniva dai paesi del misterioso Occidente e che altro non poteva essere che la originaria razza atlantica.
Tuttavia la critica storica sino ad oggi ha considerato la civiltà egizia alla stessa stregua delle antiche culture caratterizzate da inferiori culti della terra e dell’acqua e da un misticismo sensuale esprimentesi in riti orgiastici che denotano un limitato senso del “divino” e dell’“eroico”. Ora, se gli Egiziani presentano qualche traccia di uno ctonismo primitivo – che è naturalmente da riferire a una sopravvivenza dei costumi degli aborigeni sottomessi dai sopravvenuti atlantidi – è pur vero che quando la contaminazione asiatica penetra in Egitto, prima con gli Hycsos e poi con i Siriani, anche là si assiste alle processioni falliche e alla prostituzione sacra delle recluse di Amone; tuttavia una radicale coscienza del sacro predomina e impedisce che si verifichino eccessi come nei paesi dell’Eufrate e dell’Oronte.
Noi ci rendiamo conto della insufficienza metafisica dei culti ctonici, tellurici, a sfondo orgiastico, la cui controparte politica si ritrova nei grandi regimi matriarcali pre-romani. Tuttavia troviamo opportuno precisare che lo ctonismo fu un costume essenzialmente pertinente a quei popoli cui gli Egiziani del periodo eroico e imperiale furono fieramente avversi. Ora, proprio gli Egiziani di tale periodo sono i progenitori delle remote civiltà mediterranee, che fioriscono in Creta e a Micene. E simultaneamente riconosciamo che ogniqualvolta nell’antichità, popoli altamente civili presentano segni di ctonismo, accusano sintomi di decadenza. Ciò è verificabile osservando come, oltre all’Assiria e a Babilonia, anche l’Asia minore, con il Priapo frigio, e la Grecia praticarono largamente l’atonismo, che degenerò nella corruzione dei costumi. Infatti l’Ellade accolse nel suo periodo aureo le Afroditi asiatiche, le Artemisie e il Diònisio Trace; cosí gli Hermes lascivi e i misteri eleusini sono documenti di ctonismo penetrato profondamente nel costume del popolo greco. Considerazioni del genere valgono anche per antiche popolazioni nordiche, come i Germani, che adoravano il dio Phallus, e il cui ctonismo non è segno di involuzione di una precedente civiltà, ma di un primitivismo naturalistico.
I Cretesi dunque ereditano la sapienza tradizionale, attraverso contatti civili, etici e pratici, dalla civiltà egizia, alle cui origini si ritrova una spiritualità “solare” che si manifesta, meglio che in virtú guerriere, in organicità sacerdotale. Sembrerebbe questa una antinomia, se non si tenesse conto della separazione dell’unità originaria solare nelle due tradizioni, sacerdotale e regale, le quali rappresentano l’aspetto dualistico della Tradizione unica che si dovrà ricostituire con l’avvento di Roma. Nello Zeus cretese che rappresenta la fusione di un dio indigeno e del suo mito con lo Zeus ellenico, noi ritroviamo l’aspetto celeste, olimpico della remota Tradizione recata dalla stirpe del sole, dalla razza atlantico-egizia. Il rapporto chiarifica il concetto di Zeus come dio indo-iranico del cielo il cui nome si ritrova nei Veda come Dyaus. Tale suo carattere originario si ritrova anche nel culto greco, in quanto esso viene adorato sulla cima dei monti ed è associato con la pioggia, le nubi, le tempeste ed il lampo, cosí che i fenomeni dell’aria e del cielo che servono alle divinazioni sono considerati come sue manifestazioni. Evidentemente egli è dunque un dio celeste, uranico. D’altro canto, una sede antica e famosa di Zeus era Dodona in Epiro, paese abitato in tempi storici da un popolo di razza non ellenica. Achille invoca lo Zeus di Dodona, dicendo: «Re Zeus, Dio di Dodona, pelasgico, abitante le terre lontane».
Anche qui appare lo Zeus regale, invocato da un eroe, lo Zeus dei Pelasgi che abitarono Creta e che furono parenti di quegli Etruschi che tanta parte ebbero nelle origini di Roma. Zeus è un signore olimpico, un re del cielo, è la rappresentazione divina di un potere gerarchico il cui corrispondente terrestre s’incarna nel Monarca, nell’Imperatore. La sua figura, che risponde a quella dell’Amone egizio, è comune agli Indo-Vedici, agli Elleni ed ai Romani, ma soltanto fra questi ultimi esso diviene il capo del Pantheon, come il dio del cielo dei Mongoli diviene capo degli Dei in Cina. Questa sovranità celeste, mentre si può ravvisare come un aspetto della religione solare, in quanto il Sole domina nel cielo come Zeus domina le forze celesti, giova a stabilire un rapporto tra la religione ellenica e quella vedica. Cosí Surya-Helios-Sol è il sole divino: ma il culto solare non è distintamente, né esclusivamente indoeuropeo. D’altro canto, gli Asvini, i cavalieri gemelli vedici che aiutano gli uomini pericolanti in terra ed in mare, risultano simili ai Dioscuri, mentre la leggenda di Ercole e Caco è analoga a quella di Indra e dei Pani; ed altre similarità piú o meno evidenti possono trovarsi fra altri miti che danno l’idea di una stessa fonte tradizionale da cui siano originati i Veda e la religione greca e che, in caso positivo, altra non potrebbe essere che l’antico egittismo. Resta fermo pertanto che la storia esiodea della nascita di Zeus ha origine dai miti di Creta, mentre la madre Rhea è dea cretese. La grotta nella quale essa generò il suo figlio piú glorioso si riteneva che fosse sul monte Diete, o sul monte Ida; i Kureti, che percuotendo gli scudi impedivano che si udissero i vagiti del bambino, erano i Cretesi che eseguivano danze guerresche: in sostanza dunque l’infanzia di Zeus appartiene alla tradizione di Creta. Ciò significa che il culto di Zeus preesiste nel Mediterraneo alla venuta degli Elleni nella Grecia; il che, riferito alla genesi cretese-micenea della civiltà mediterranea e al retaggio egizio ripreso dai Cretesi, autorizza a ritenere che esso fosse uno degli aspetti maggiori della tradizione solare recata dagli Atlantidi in America e in Egitto.
In ogni caso, gran parte del sistema mitico e religioso mediterraneo, ellenico e romano, deriva dalla tradizione egizia, la quale nel suo nucleo piú originale contiene gli elementi creativi, sacri, esoterici, della remota tradizione atlantica. Nella Odissea il mito di Proteo è riferito a Proteo pastore di greggi marini sulle terre del delta e dell’isola di Faro. Il mito del triplo Gerione fu suggerito da una pittura egiziana riprodotta da vasi recati in Grecia. In epoche piú recenti si verificò poi l’assimilazione delle divinità egizie all’olimpo greco: da Neit (Dea di Sais), o Nitokris, derivò Atena, cosí Horus divenne Apollo, Amone Zeus, Osiride Bacco, Phtah Ephaistos, Thot Ermes, Tifone Tifeo, Iside Io, Hathor Venere Afrodite; per cui v’è da supporre che gli Dei d’Omero vinti dai Titani andarono a rifugiarsi in Egitto, o sono originari della valle del Nilo.
Ciò che a noi particolarmente interessa, è il fissare una volta per tutte che se il mito della stirpe primordiale nordico-atlantica, recante il culto del sole, risponde a una realtà storica ed etnica, gli eredi immediati di tale tradizione non sono che gli Egiziani del periodo predinastico e delle prime dinastie. Dall’Egitto la tradizione passa all’Oriente indo-iranico e al Mediterraneo attraverso Creta: dai Mediterranei il retaggio si trasmette agli Italici e ai Greci. È significativo, sotto questo riguardo, ricordare che, secondo Erodoto, i Lacedemoni discendono dagli Elleni, mentre gli Ateniesi da quei Pelasgi la cui lingua è straniera: i Pelasgi, infatti, vengono da Creta, ma sono uomini della stessa razza mediterranea, sono i pre-ellenici che sussistono fino ai tempi storici in diverse isole dell’Egeo – in particolare a Lemno – e sulle coste dell’Asia Minore. Essi, forti nelle armi e dominatori del mare, forse occuparono nell’epoca pre-ellenica tutte le regioni euro-meridionali d’Europa, dalla Macedonia e dalla zona del Monte Athos alla Tessaglia, all’Epiro, all’Ellade centrale e al Peloponneso. Mediterranei, dolicocefali, essi avrebbero abitato l’Italia prima degli Umbro-Latini e delle popolazioni sabelliche, onde si presenta attendibile la loro parentela con i Tirreni e piú precisamente con il primo strato degli Etruschi, la cui lingua presenta una certa affinità con le iscrizioni pelasgiche nell’isola di Lemno.
Quando si tiene conto che in un primo tempo l’uso del rame e in un secondo tempo quello del bronzo si propaga dall’isola di Creta attraverso l’Egeo e la Grecia verso il continente, e che la diffusa esistenza del rame autorizza a supporre che esso fu scoperto contemporaneamente in diversi centri dai quali si irradiò con rapidità, si può considerare superata la concezione archeologica della importazione del bronzo in Europa da parte dell’euro-asiatico, o del “nordico”, il quale, forte di armi di bronzo, avrebbe facilmente avuto ragione delle popolazioni mediterranee che conoscevano soltanto la pietra levigata.
È fuori di dubbio che l’uso del rame si diffuse dall’isola di Creta, dalle coste orientali del Mediterraneo e dalle zone occidentali dell’Asia, verso il Mediterraneo occidentale e poi verso l’Europa: ed è attendibile che ciò si sia verificato verso l’epoca sumerica, per diffusione, dall’Egitto predinastico alle isole egee, eredità, anche questa, della razza atlantica maestra nel bronzo, che occupò l’Africa del Nord e dall’Atlante berbero raggiunse l’Egitto. Anche tale conclusione viene confermata dai dati dell’antropologia, la quale ci dimostra, dietro l’esame di scheletri ritrovati nelle isole dell’Egeo, che le popolazioni mediterranee sino agli inizi dell’età dei metalli erano dolicocefale, e che proprio verso quell’epoca si riscontra il sopraggiungere di un tipo razziale nuovo, brachicefalo. Ciò è da fissare una volta per sempre, soprattutto per eliminare l’errore comune a molti etnografi, i quali soltanto in base a deduzioni soggettive, e non tenendo conto delle piú significative testimonianze antropologiche, affermano che la civiltà dei cretesi dolicocefali è un prodotto nordico. La contraddizione è evidente, in quanto, a sostenimento della stessa “tendenziosa” tesi, da una parte si afferma che la remota e misteriosa civiltà di Creta fu superata e rinnovata nell’Egeo, attraverso il periodo ellenico, dai sopravvenuti Indo-germanici, dall’altra si sostiene che la famosa civiltà “minoica” è di origine nordica.
Ora, per quanto si tratti di una interpretazione del tutto arbitraria, che non è necessario neppure discutere, occorre tener conto che in questo caso alla storiografia dà senso inequivocabile l’antropologia, la quale ci dimostra che i crani cretesi dell’età del rame e degli inizi del bronzo sono dolicomorfi, ossia appartengono alla stirpe originaria del Mediterraneo che dagli Egizi assume il retaggio spirituale ed eroico.

Massimo Scaligero

Selezione da «La vita italiana», marzo 1939.

Immagini:
«Le tre danzatrici» affresco minoico dal Palazzo di Cnosso, Creta
Esempi di pittura vascolare attica