- Lo studio e la disciplina
in Dante non avevano altro compito che di affinare e
perfezionare un complesso di virtú naturali dello
spirito. Dante, infatti, era nato poeta: il senso
della bellezza e dell’amore era nato con lui. Non
è da meravigliare dunque se, appena compiuto il
nono anno, la sua immaginazione, già cosí
nobilmente educata, fosse colpita profondamente
dalla visione di una creatura che, da quel momento,
nei suoi aspetti di bellezza e di grazia, costituí
un simbolo vivente dell’ideale mistico e
filosofico a cui irresistibilmente tendeva il suo
spirito e a cui doveva dedicare la vita e l’intera
sua opera.
- L’amore di Dante per
Beatrice non fu infatti, come vedremo, una semplice
passione umana, ma un sentimento vasto di
universalità e di carità, che comprendeva al tempo
stesso la vocazione verso la suprema saggezza
spirituale e quella verso la piú perfetta
organizzazione sociale: il Divino e al tempo stesso
l’umano. Nel nome di Beatrice dunque era racchiuso
anche il significato di amore e di saggezza, di
grazia e di potenza, di bellezza e di giustizia: la
sua persona simboleggiava per Dante la somma delle
virtú terrene che conducono l’uomo verso la
perfezione.
- La fanciulla era figliola
di Folco Portinari e veramente riassumeva in sé le
migliori doti fisiche e spirituali: essa perciò
diverrà nel poema divino, allegoricamente, anche il
simbolo della vera essenza di ogni filosofia, la
celeste sapienza, la teologia, “divinarum atque
humanarum rerum scientia”.
- Proseguendo nella nobile
fatica degli studi, l’intelletto di Dante si
rafforzò ancora, e meglio spaziò nelle piú
diverse dottrine, acquisendo cognizioni anche nel
campo delle scienze positive e materiali,
realizzando dunque quella universalità culturale
che è propria del genio.
- La sua giovinezza doveva
essere turbata, oltre che da considerazioni sullo
stato delle umane cose, e in particolar modo sulle
condizioni politiche della propria patria, anche dal
dolore profondo della perdita della donna da lui
cosí idealmente amata, la quale moriva avendo
appena compiuto il venticinquesimo anno di età.
La Vita
Nova
- La scomparsa di Beatrice
fu un duro colpo per la sua anima: egli dovette il
ritorno della calma e della serenità soltanto alla
sua forza interiore, ossia alla possibilità di
ritrovare Beatrice in un mondo superno cui soltanto
un essere della sua levatura spirituale poteva
giungere. Scrisse allora sonetti e canzoni di una
grazia e di una potenza lirica fino a quei tempi
ignote, nelle quali la Beatrice terrena
rivisse nel suo aspetto nuovo, quello celeste.
Dante dettò in prosa la Vita Nova nella
quale, con accenti di una nobilissima passione e di
una purissima dedizione, intesse la storia del suo
amore per Beatrice, rivelandone tutta la soavità e
la potenza interiore.
- Nella Vita Nova si
ritrova il dramma intimo della giovinezza di Dante e
il senso piú profondo di tutta la sua opera. In
questo “libello”, che è dedicato a Guido
Cavalcanti, il poeta raccoglierà e ordinerà nel
1294, non avendo ancora toccato i trenta anni, 25
sonetti, 4 canzoni, una ballata e una stanza, tutte
rime d’amore composte da lui dal maggio 1274,
ossia dall’anno del primo incontro con Beatrice al
1294. Alle poesie si alternano le prose, che hanno
quasi un carattere esplicativo e forniscono elementi
essenziali per la ricostruzione di questa
interessante esperienza del poeta, di questo periodo
della giovinezza del poeta.
L’amore di
Dante
- Egli stava quasi per
compiere il suo nono anno, quando, un giorno di
maggio del 1274, gli apparve una fanciulla cui
veniva dato da tutti il nome di Beatrice, vestita di
una veste di un tenue color rosso, decentemente
ornata e piena di grazia. Essa stessa era da poco
entrata nel nono anno.
- Alla vista di quella soave
creatura, Dante provò un’impressione inconsueta e
sentí che la sua immagine angelica da quell’istante
avrebbe sempre dominato i suoi pensieri. Trascorsero
nove anni e, verso la nona ora del giorno, Beatrice
apparve ancora una volta a Dante, candidamente
vestita, in compagnia di due donne gentili: volgendo
lo sguardo verso il luogo dove il poeta era intento
timidamente nella sua contemplazione, ella lo
salutò con fine cortesia e suscitò nell’animo di
lui la piú viva beatitudine. Cosí egli incominciò
a sognare e il pensiero di lei occupò con tale
intensità il suo animo che, agli amici i quali gli
chiedevano la ragione del suo strano aspetto, egli
rispondeva che l’amore l’aveva cosí
trasformato, e a coloro che gli chiedevano chi fosse
l’oggetto di questo amore, egli non rispondeva che
con un muto sorriso.
Lo “Schermo
della verità”
- Un giorno, nella stessa
chiesa dove era Beatrice, un’altra fanciulla di
aspetto gentile volse lo sguardo verso il Poeta,
cosí che alcuni credettero fosse quella la donna
amata da lui: di questa errata supposizione si
giovò il Poeta per far “schermo della veritate”
e mantenere il segreto intorno al suo amore. Ma
allorché questa fanciulla lasciò Firenze per
recarsi in contrada molto lontana, il Poeta si vide
costretto a scrivere un sonetto nel quale esprimeva
il dolore di quella partenza.
- In un altro sonetto
pertanto egli narrò che, essendo assente da
Firenze, gli apparve Amore in abito da pellegrino
per indicargli un’altra fanciulla che avrebbe
potuto fare da “schermo”. Il Poeta trovò questa
donna e recitò la sua parte con tanto impegno che
cominciarono a correre mormorii su questa sua nuova
passione e la stessa Beatrice ne fu cosí
mortificata che, avendolo un giorno incontrato, non
gli rivolse il saluto che era per Dante motivo di
tanta gioia. Rattristato, il poeta si rinchiuse nel
suo turbamento, e ancora una volta gli apparve Amore
per spiegargli la ragione del contegno di Beatrice e
per indurlo a scrivere in poesia la sua tristezza e
il suo desiderio di essere perdonato da colei che
veramente amava.
- Essendo morto il padre di
Beatrice, Dante partecipa al dolore di lei e,
descrivendo il compianto delle amiche e di coloro
che la prediligevano, egli stesso parla del suo
profondo cordoglio.
Visioni
- Poi il poeta viene colpito
da una infermità che dura nove giorni: il pensiero
della fragilità della vita umana fa
intravvedere a Dante la possibilità della morte di
Beatrice: cosí visioni tristi e presentimenti
oscuri travolgono lo spirito del Poeta. Gli sembra
che lungo una via sconosciuta vadano errando donne
scapigliate e piangenti, che il cielo si oscuri, che
le stelle piangano, gli uccelli cadano stecchiti e
la terra si scuota tutta. Un amico si avvicina al
Poeta e gli annuncia la morte di Beatrice: il dolore
attanaglia il cuore di lui; poi vede verso il cielo
una nuvola candida dietro cui una schiera di angeli
canta un coro celeste. Dante immagina di recarsi a
visitare il corpo della creatura amata coperto di un
candido velo, soffuso di grazia e di mistica
bellezza. Le visioni si susseguono, finché a un
certo momento, pronunziando il nome di lei, egli
ritorna in sé e si accorge di aver soltanto
sognato.
Morte di
Beatrice
- L’impressione che Dante
prova per la morte di Beatrice è particolarmente
messa in rilievo nella Vita Nova: la città
gli parve deserta e privata di ogni decoro. Egli
sentí il bisogno di annunciare la dolorosa morte in
un’epistola latina indirizzata ai principi della
terra. Poi il sua dolore si espresse in rime e
canzoni.
- Ma una donna gentile,
giovane e avvenente, si impietosisce del Poeta, il
quale prova per lei un senso di amore e di
gratitudine; cosí parla di lei in un sonetto e
ancora in prosa, facendo notare tuttavia che il
ricordo e il pensiero di Beatrice sono piú forti di
qualsiasi altro sentimento.
- Un giorno, mentire
passavano per Firenze alcuni pellegrini diretti a
Roma, Dante notò che essi erano molto pensosi ed
immaginò che fossero intenti nel ricordo degli
amici e della patria lontana e perciò non potessero
provare alcun turbamento per la morte di Beatrice,
che certo non avevano mai conosciuta. Ed egli
sentiva il bisogno di trattenerli e di commuoverli,
dicendo loro che il bene maggiore di quella città
era perduto.
- Qualche giorno dopo, in
una portentosa visione, Dante vide tali immagini e
provò tali mistiche sensazioni, che promise a se
stesso di parlare degnamente di Beatrice in forma
ancora piú nobile e piú vasta. Da quel momento
alla figura di lei egli dedicherà tutta la sua vita
e rivolgerà ogni suo studio. Cosí egli si esprime
riguardo a questo sua proposito: «Se piacere sarà
di Colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita
duri per alquanti anni, io spero di dire di lei
quello che non fu detto di alcuna. E poi piaccia a
Colui, che è sire della cortesia, che la mia anima
sen possa gire a vedere la gloria della sua donna,
cioè di quella benedetta Beatrice, la quale
gloriosamente mira ne la faccia di Colui, qui est
per omnia saecula benedictus. Amen».
Massimo
Scaligero
Da M. Scaligero, Dante,
Domenico Conte Editore, Collana “Vite”, Napoli
1939. |
Immagine:
Henry Holiday «Dante e Beatrice», 1883 –
National Museums & Galleries of Merseyside (Walker
Art Gallery, Liverpool)
|