Se
piume tese affrontano l'incerto
primo chiarore, segnano una croce
contro il cielo perlato, poi svaniscono
in un guizzo veloce. Il ramo duplica
la sua frangiata essenza grazie a un muro,
se raggiunto dal sole. Anch'io nell'alba,
ago di meridiana, traccio un'ombra
sul volto della piazza ancora immersa
nel sopore notturno. Controluce
proietto la mia anima sommersa
già pronta a uscire, a incidersi profonda
sulla pietra del tempo. Ognuno trova,
nel doppio che lo segue o lo precede
replicandolo in sagoma fedele,
un'eco chiara, un vivido riflesso
di un'arcana indicibile sostanza
che a un cenno rifulgente si rivela
segno non imitabile, perenne:
canto a solo del cuore e della mente,
oscillazione e slancio di pensieri
e, malgrado la rigida gravezza
della sorda materia, un ampio volo
interiore, scandito sulla terra
da sincronie di palpiti, finanche
la fredda stasi di radice e buio
che sa fiorire in armonie felici,
accesa da un fervore di parole.
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