Dal capitolo dedicato alla Tripartizione
dell'organismo sociale del recente libro di Argo Villella Quale
capitalismo? stralciamo alcune pagine, rimandando il lettore
che desideri approfondire l'importante problema alla lettura integrale
del libro.
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I disastri compiuti da una ideologia che ha creduto
di poter imporre a tutti una sua rigida – ma non per questo meno labile
– concezione del partito-stato e della società; la sottile costrizione
ad adottare «tout court» il sistema democratico occidentale
dando luogo a fenomeni di rigetto o ad una caricatura del parlamentarismo;
tutto ciò non ha favorito l'ordine e l'equilibrio ma ha rivelato
una inconfessata presunzione di superiorità da parte di alcune nazioni
e di alcuni ambienti culturali. Per non ricadere negli stessi errori, la
Tripartizione non vuole chiudersi in schemi rigidi, ma prevede di assumere
caratteri diversi a seconda delle diverse circostanze. La stessa dimensione
delle tre organizzazioni può variare da popolo a popolo. Il settore
economico avrà necessariamente una maggiore peculiarità nei
paesi industrializzati rispetto ad aree in cui è piú radicato
il riferimento alla antica religiosità comportante quindi una maggiore
presenza esteriore della vita spirituale, cosí come nazioni in cui
la tradizione giuridica e gli ordinamenti democratici hanno assunto aspetti
abbastanza positivi, saranno indotti a consentire uno spazio relativamente
maggiore alle componenti giuridico-statali.
I rapporti fra etnie diverse all'interno di una stessa nazione potrebbero
raggiungere un migliore livello di tolleranza e di armonia mediante l'esplicazione
di una libera vita spirituale. Proprio dalla possibilità del libero
confronto fra i diversi gruppi può nascere la possibilità,
per ciascuno di essi, di identificare il significato del particolare contributo
che sono in grado di donare, non solo all'ambiente in cui vivono, non solo
alla nazione che li ospita, ma a tutta l'umanità. Infatti ogni uomo,
ogni particolarizzazione etnica, ogni popolo, ogni razza, sono chiamati
a un determinato compito dallo Spirito. Per questo la spinta cosmopolita
caratterizzante la nostra epoca, l'intrecciarsi di rapporti fra minoranze
all'interno di una stessa nazione, l'incontro sempre piú frequente
fra tutti i popoli e tutte le razze, può dar luogo ad una fecondazione
reciproca. Ma ciò è realizzabile quando gli interessi dell'economia
si muovono secondo l'oggettività della sua dimensione mondiale e
di conseguenza i progetti di supremazia non possono piú far leva
sugli strumenti dell'imperialismo economico; quando lo Stato ritrova la
sua vocazione all'esercizio della giustizia rinunziando alle funzioni a
lui estranee e quindi garantendo a tutti uguaglianza di fronte alla legge.
Non si tratta di rinnegare lo spirito patrio, l'idea di nazione, tutt'altro!
Piuttosto di nobilitarli collocandoli nel loro giusto posto: in seno ad
un concreto contesto spirituale. Di non tradirli pertanto con l'errata
identificazione in una determinata particolarità del sangue; di
non abbassarli a mezzo per fini egoistici di esasperato nazionalismo sfocianti
spesso in conflitti atroci senza né vincitori né vinti.
La Tripartizione non propende per istituzioni amministrativo-giuridiche
centralizzate o per il federalismo nelle sue forme. Ogni nazione deve poter
scegliere liberamente (senza forzature nascenti da rancori e da proteste
seppure in parte giustificate) in linea con le sue tradizioni e con il
senso profondo della sua storia.
Di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni delle varie istituzioni
comunitarie, in questa luce possono essere concepite la collaborazione
e la convergenza spontanea fra gruppi etnici piú affini, fra paesi
le cui missioni spirituali hanno radici comuni, senza per questo dover
creare forzosamente una sorta di super-stato, con tutti i difetti dello
Stato accentratore odierno.
La proposta di una diversa soluzione della questione sociale suscita immancabilmente
perplessità, diffidenza e naturalmente l'accusa di utopia. Tuttavia
il mondo imprenditoriale non può negare che i sostegni ai quali
si era affidato sinora si vanno sgretolando. Non solo il comunismo è
crollato, ma il socialismo riformatore, la socialdemocrazia, il liberalismo
e la democrazia non offrono soluzioni valide. Il mito della superiorità
morale del potere pubblico è affogato nell'inefficienza e nella
corruzione, non solo in Italia. Le politiche di piano, le programmazioni,
i sistemi misti hanno provocato infiniti danni ai quali il solo meccanismo
del mercato non riesce a fornire terapie valide. I sindacati, per sopravvivere,
cercano da tempo di darsi nuove funzioni che mostrano però scarsi
legami con la realtà. Conservatorismo e progressismo, destra e sinistra,
sono sempre piú riferimenti solo dialettici senza un effettivo contenuto.
Va montando, in tutto il mondo, un groviglio mostruoso, di fronte al quale
gli sforzi positivi, la volitività, il coraggio di molti, non è
sufficiente a sciogliere il tremendo nodo gordiano che ci avvince, generando
una paralizzante atmosfera di paura, di incertezza, di angoscia.
Di fronte a tutto ciò gli imprenditori possono scegliere fra due
direzioni. Continuare a tentare di tamponare le falle, a rifugiarsi nel
loro cerchio ristretto, a scendere a compromessi, a sperare in problematiche
riforme elettorali. Oppure guardare in se stessi, ricercare nella propria
interiorità le origini dell'attuale caos, aprirsi a nuove visioni
superando le inerzie e i pregiudizi, attingere alla propria realtà
spirituale piú profonda là dove germogliano le doti, sino
a divenire consapevoli che il loro servizio di «capitalisti»
rivolto alla società coincide con il significato universale del
loro essere uomini. In tal caso, dopo aver udito per tanto tempo gridare:
Viva il lavoro, potranno sentire affermare, con altrettanta fierezza: Viva
il capitale!
A. Villella, Quale capitalismo?,
Liguori, Roma 1997
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Le anime umane incoscienti
all'origine, come i bambini, fanno l'esperienza del bene e del male; mentre
la loro conoscenza si accresce, la loro coscienza morale si risveglia.
Le società primordiali erano ordinate in caste o in tribú
che costringevano gli uomini in una rete di prescrizioni dettate dai sacerdoti.
L'individualità non era svincolata dall'anima di gruppo, rappresentata
spesso da un totem, vale a dire dall'animale al quale il gruppo era particolarmente
collegato. Ma gradatamente gli uomini hanno stemperato, quando non spezzato,
questi schemi primitivi. Siamo ancora imprigionati nei legami di sangue
delle famiglie e dei gruppi etnici; a causa di essi siamo trattenuti nel
ciclo delle generazioni e delle vite successive dal quale non possiamo
uscire se non con un incessante sforzo di perfezione. Tuttavia non abbiamo
per scopo un cielo astratto; l'immortalità dell'anima, dopo la morte
del corpo fisico, non rappresenta che uno stadio provvisorio per la preparazione
di una nuova incarnazione, sia per necessità sia per sacrificio.
Il fine dell'uomo è nella creazione libera di corpi nuovi e di una
Terra nuova, con l'aiuto dell'Uomo ideale, del Dio uomo, del Cristo che
si è sacrificato per amore, come primo Uomo, dalle origini.
Dunque, questa umanità, essenzialmente ispirata dall'Amore, non
si farà da sola, bisogna voler organizzare già da ora nuove
comunità nelle quali si sappia vivere in armonia e che siano il
modello della Società futura.
Déodat
Roché, L'evoluzione individuale e l'armonia sociale,
Montpellier 1956
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