STORIA
DEL SACRIFICIO
Una volta il Bodhisattva era, si dice, un re che aveva ottenuto il regno
per successione ereditaria. In questo regno frutto delle sue azioni meritorie,
egli non aveva rivali. Tutti i signori dei confini gli si inchinavano,
e, ogni difficoltà nei suoi ed altrui domini e via dicendo essendo
composta, egli governava incontrastatamente e pacificamente il paese.
Questo sovrano aveva vinto i nemici sensi e non era attaccato a quei frutti
che portano biasimo. Inteso con tutto il suo essere al bene dei sudditi,
il solo scopo delle sue azioni era il giusto, e in tal modo si comportava
non altrimenti che un anacoreta. Egli ben sapeva che il popolo minuto tende
per natura ad imitare il costume dei grandi, e, tutto desideroso di condurre
i suoi sudditi verso la salvezza, era specialmente attaccato all'esecuzione
dei suoi doveri religiosi. Prodigo di doni, egli osservava strettamente
i precetti della buona condotta, coltivava la pazienza e si sforzava per
il bene del mondo. Questo desiderio di beneficare le creature lo rendeva
poi cosí benigno d'aspetto, che egli splendeva come la giustizia
incarnata.
Una volta avvenne che il suo regno, quantunque protetto dal suo braccio,
fosse nondimeno afflitto in piú luoghi dalla siccità e dai
conseguenti scompigli, per causa forse di malignità di fortuna dei
suoi abitanti o di una trascuratezza degli angeli deputati alle piogge.
Il re non ebbe dubbio alcuno che questa calamità non fosse stata
causata da un malo adempimento della giustizia e dei doveri morali e religiosi
da parte sua o dei sudditi; e, avendo assai a cuore il benessere della
sua gente, oggetto delle sue cure costanti, né potendo perciò
sopportare questa calamità, domandò ai brahmani piú
anziani e reputati per la loro conoscenza delle cose religiose, e tra essi
prima di tutti al prete di famiglia e poi ai suoi ministri, se ci fosse
mezzo alcuno per mettere fine a siffatta sventura.
Costoro pensarono che per far venire la pioggia ci sarebbe voluta una cerimonia
sacrificale, eseguita secondo i precetti del Veda, costituita dalla paurosa
uccisione di molte centinaia di animali; e passarono tosto a descrivergliela.
Il re, ragguagliato del tenore di questa cerimonia, per la gran compassione
davanti all'uccisione degli animali prescritta nel sacrificio, non approvò
in cuor suo le parole dei brahmani. In omaggio all'educazione, egli non
volle tuttavia contraddirli con aspre parole e, parlando loro di altre
faccende, si ritenne dal manifestare la sua opinione in proposito. Quelli,
d'altro lato, appena si offerse loro l'occasione di intrattenersi con lui
di argomenti religiosi, lo esortarono a celebrare questo sacrificio, senza
minimamente intendere il suo profondo e nascosto consiglio:
«Tu, nel vero, non lasci mai l'opportunità d'attendere a tutte
quelle azioni, che necessariamente deve fare un re per conquistare e mantenere
i suoi domíni. Come mai, dunque, ti fai cosí trascurato e
neghittoso, quando si tratta di por mano a questo ponte che mena al mondo
degli Dei, detto per nome sacrificio? Certo, tu sei già iniziato
e purificato, ora e sempre, mercé le tue continue elemosine e l'attenta
osservanza delle restrizioni. Nondimeno, è opportuno che tu paghi
il tuo debito agli dèi coi sacrifici prescritti nel Veda. Ché,
al vero, le divintà, soddisfatte da convenienti sacrifici, onorano
in cambio le creature colla pioggia. Cosí considerando, poni mente
al bene dei tuoi sudditi e tuo e compi questo glorioso sacrificio».
Ma al re venne cosí da pensare: «Ahimè! Questa gente,
questi sedicenti amanti del giusto, questi credenti, sono davvero scostumatissimi,
mali cattivatori della fiducia altrui, ruvidi di cuore, poco desiderosi
di conoscenza! Ché laddove proprio coloro che son stimati tra gli
uomini come il miglior rifugio, vanno offendendo gli altri, sotto il pretesto
del giusto, il popolo, che segue il sentiero da essi indicato, precipita
in una caterva di sventure! Che relazione, di grazia, mai esiste tra la
dimora nel mondo degli dèi, tra la propiziazione delle divinità,
il giusto, e il desiderio di uccidere degli animali? "L'animale sgozzato,
grazie al potere delle formule magiche, va al cielo; sicché la sua
uccisione non è contraria alla Legge". Cosí essi dicono,
ma è solo menzogna. Dobbiamo credere davvero che i celesti, messo
da parte lo splendido nettare servito loro da vaghe ninfe, si rallegrino
tutti dell'uccisione di un pietoso animale?».
Deciso dunque che era venuto il momento giusto, il re fece sembiante di
essere tutto ansioso di celebrare il sacrificio, e, facendo mostra di consentire
alle loro parole, disse loro:
«Oh, che io sono davvero ben protetto, ben favorito, disponendo di
consiglieri par vostri, miei degni signori, tanto solleciti del mio bene.
Io voglio dunque celebrare un sacrificio umano di mille vittime. E procurino
i miei ufficiali, secondo i loro vari uffici, di radunare tutte le robe
atte a questa bisogna. Si esamini altresí attentamente qual è
il terreno adatto alle tende e agli edifici che la cerimonia richiede,
e, oltre a ciò, quando cade la congiunzione dei giorni lunari e
le costellazioni piú favorevoli».
Il prete di famiglia rispose:
«Per ottenere il successo desiderato, bisogna che Vostra Maestà
prenda il bagno finale alla fine di un sacrificio; e, di mano in mano,
saranno poi celebrati i seguenti. Se Vostra Maestà prendesse infatti
mille vittime umane tutte insieme, i sudditi ne resterebbero certo scossi
e turbati».
Il prete di famiglia aveva appena finito di profferire queste parole, approvate
dagli altri brahmani, quando il re rispose:
«Non è il caso, degni signori, di temer dell'ira dei sudditi.
Infatti, io farò in modo che in loro non entri turbamento alcuno».
Il re, dunque, convocata un'assemblea di uomini di città e di
villa, disse loro:
«Io voglio celebrare un sacrificio umano di mille vittime, ma nessun
uomo onesto e dabbene sarà da me scelto come vittima, contro la
sua volontà. Sappiate perciò questo: da ora innanzi, chiunque
di voi, col lucido insonne attento occhio delle mie spie, io vedrò
trasgredire i confini degli onesti costumi e disprezzare il mio ordine,
lo prenderò senz'altro per vittima del sacrificio; ché uomini
tali son la macchia delle loro proprie famiglie e una spina per il mio
paese».
Allora i principali dell'assemblea, colle mani giunte, gli dissero:
«Tutte le tue azioni, o sovrano, tendono al bene dei tuoi sudditi.
E che ragione c'è quindi di disprezzare i tuoi ordini in questo
proposito? Tutto quello che è caro a Vostra Maestà, questo
è caro anche a noi; e quanto non è caro e favorevole a noi,
non è neppure a te caro».
Il re, dopo che questi uomini di città e di campagna ebbero inteso
e accettato i suoi comandi, spedí ufficiali nelle città e
nel contado, dichiarati per tali con gran rumore, che risultassero ben
chiari al popolo, allo scopo di catturare i malvagi; e in ogni dove fece
pubblicare bandi di tal fatta:
«Il re, garante di sicurezza, garantisce sicurezza a tutti gli uomini
dabbene, di costante buona condotta. Il re, per il bene dei sudditi, desidera
celebrare un sacrificio con mille vittime umane, da esser scelte tra coloro
che consentono a disonesti costumi. Chiunque perciò d'ora innanzi
si renda manifesto per i disonesti costumi cui indulge e disprezzi cosí
il comandamento del re, rispettosamente osservato anche dai re suoi vassalli,
sarà a viva forza, dalle sue stesse azioni, condotto a tale, da
essere vittima nel sacrificio; e il popolo lo vedrà legato al palo
sacrificale, smarrito e miserabile, argomento di compianto».
Gli abitanti del regno, che udivano ogni giorno questo bando terribile
del re e vedevano, sparsi in ogni dove, i suoi messi, tutti intenti a scoprire
e a catturare i malfattori, non tardarono a rendersi conto dello zelo con
cui il sovrano cercava gli uomini di cattivi costumi per sacrificarli.
L'effetto fu meraviglioso e ogni attaccamento alla cattiva condotta scomparve.
Tutto il popolo osservava cosí strettamente le restrizioni e i precetti
del buon vivere morale, evitava ogni occasione di inimicizia, era cosí
pieno di scambievole amore e rispetto, aveva cosí composto i suoi
dissensi e querele, obbediva a tal punto alle parole degli anziani, era
cosí desideroso di far parte del suo agli altri, cosí amichevole
verso gli ospiti, tanto sollecito delle buone maniere e della modestia,
che parve veramente di essere tornati all'età dell'oro. La paura
della morte e il pensiero dell'altro mondo, il rispetto verso la famiglia
e il mantenimento della buona fama, e infine il profondo senso di pudore
dovuto alla purezza di cuore, tutto, insomma, fece cosí che il popolo
avesse ora il buon costume per immacolato ornamento.
E visto che tutti, grazie alle savie misure adottate dal re, tenevano buoni
costumi, le piaghe e le calamità persero forza e, sopraffatte dalla
prosperità, scomparvero naturalmente. Le stagioni presero piacevolmente
a succedersi in modo regolare, tutte dedite all'ordine naturale delle cose.
La terra produceva diverse specie di grani e i bacini erano colmi d'acque
azzurre e immacolate, ornate da loti. Le malattie piú non affliggevano
gli uomini e le erbe medicinali possedevano piú acuta virtú.
Il vento soffiava regolarmente, in obbedienza alle stagioni, e i pianeti
si muovevano per strade auspiciose. Di pericoli, nessuno, né provenienti
da imperi estranei né da discordie intestine né infine da
scompigli naturali. Il popolo, pieno di modestia e di dedizione alla giustizia
ed alle restrizioni morali, viveva come nell'età dell'oro. Per merito
dunque di questo sacrificio fatto dal re in accordo con la Legge, le calamità
erano ormai scomparse e la terra, gremita di gente soddisfatta, offriva
un aspetto prospero e dilettevole; e la rinomanza del re era diffusa in
ogni dove dal popolo occupato a dir le sue lodi e a benedirlo.
tratto da: Arya Sura, Storia della
tigre e altre storie delle vite anteriori del Buddha (Jatakamala)a
cura di Raniero Gnoli, ed. Leonardo da Vinci, Bari 1964
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