L'Archetipo Anno III n. 9, Luglio 1998

Il racconto

I BAMBINI DI OREBRO

Posta sulle rive d'un pallido lago, la città d'Orebro specchiava le sue mura e le sue torri nell'acqua opalina. Da molto tempo quelle mura erano chiuse e sulle torri si vedevano macchine di guerra, come grandi balestre e catapulte per il lancio delle pietre, perché la città si trovava assediata da un potente esercito.
Gli abitanti, valorosissimi, avevano fatto molti prigionieri, che tenevano chiusi nei sotterranei del Castello. Tra i prigionieri si trovavano anche dodici fanciulli, i quali, senza luce e senz'aria, rischiavano d'ammalarsi e di morire. Per questo, i Capi della città ordinarono che i dodici giovani prigionieri fossero lasciati uscire, ogni giorno, liberi di correre e di giocare.
Da prima, i bambini di Orebro avevano guardato un po' di traverso quegli stranieri, anzi, quei nemici della loro città. Ma poi, tra ragazzi si erano intesi e avevano stretto amicizia. Che brutta cosa la guerra! Perché considerare nemici quei fanciulli, i quali non chiedevano che di correre e di giocare? I ragazzi d'Orebro facevano a gara nel donare cibo e balocchi ai loro amici nemici. Li invitavano nelle loro case e trovavano un gran divertimento nel frequentare quei nuovi compagni, che la guerra aveva loro procurato. Quasi quasi, se non fosse stato per i feriti e per i morti in combattimento, i ragazzi della piccola e gentile città svedese avrebbero voluto che la guerra non finisse mai.
"Quando la guerra sarà terminata - promettevano - verremo nella vostra città".
"Le nostre mamme vi ringrazieranno di tutte le cortesie che ci usate. E noi contraccambieremo i vostri doni" rispondevano gli altri.
Cosí passavano i giorni, e la guerra, invece di cessare, diventava sempre piú aspra e crudele. La cosa piú terribile era la carestia: l'esercito assediante non permetteva che nella città assediata entrassero le vettovaglie e anche dalla parte del lago non era possibile pescare, perché le barche venivano assalite dai nemici. Presto la carestia divenne vera e propria fame per gli abitanti di Orebro. Tra l'altro bisognava dare da mangiare anche ai prigionieri, considerati bocche inutili. I Capi della città decisero allora di ucciderli tutti, compresi i dodici fanciulli.
Quando la notizia di questa dura e terribile necessità giunse ai bambini d'Orebro, fu un pianto generale. Ora sí che la guerra appariva nella sua spaventosa crudeltà! Come era possibile pensare all'uccisione dei prigionieri e specialmente di quei dodici fanciulli, compagni dei loro giochi?
Era un Venerdí Santo e con Gesú morto i bambini d'Obrero piangevano la condanna dei loro innocenti amici. Decisero di recarsi tutti insieme al comando per implorare la grazia. Dissero che avrebbero diviso le loro ultime razioni di pane con i prigionieri. I Capi della città, nel vedere quei bambini cosí addolorati e nell'udire le loro implorazioni, si commossero.
"Sarà quello che Dio vorrà" dissero, concedendo la grazia.
Pieni di contentezza, i bambini corsero ad abbracciare i loro amici, i quali piansero di gioia e di riconoscenza.
E parve davvero che Dio gradisse la generosa e nobile offerta dei ragazzi di Orebro, perché due giorni dopo, proprio nel giorno di Pasqua, il Re di Svezia, a capo del suo esercito, liberò dall'assedio la città, che tornò a specchiarsi pacifica sullo specchio del lago opalino.
Ogni anno, anche oggi, nel giorno di Venerdí Santo, una sfilata di bambini attraversa la città svedese. I ragazzi indossano i costumi del Medioevo, e dodici di essi portano in mano un pane che mangiano a piccolissimi morsi. Essi ricordano i dodici giovani prigionieri, salvati dai compagni, in quel lontano Venerdí Santo, quando i ragazzi di Orebro chiesero la loro grazia, promettendo di dividere con essi la scarsa razione di pane.

Racconto svedese da: Intorno al mondo, Ed. De Agostini, Novara 1978


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