I
BAMBINI DI OREBRO
Posta sulle rive d'un pallido
lago, la città d'Orebro specchiava le sue mura e le sue torri nell'acqua
opalina. Da molto tempo quelle mura erano chiuse e sulle torri si vedevano
macchine di guerra, come grandi balestre e catapulte per il lancio delle
pietre, perché la città si trovava assediata da un potente
esercito.
Gli abitanti, valorosissimi,
avevano fatto molti prigionieri, che tenevano chiusi nei sotterranei del
Castello. Tra i prigionieri si trovavano anche dodici fanciulli, i quali,
senza luce e senz'aria, rischiavano d'ammalarsi e di morire. Per questo,
i Capi della città ordinarono che i dodici giovani prigionieri fossero
lasciati uscire, ogni giorno, liberi di correre e di giocare.
Da prima, i bambini di Orebro
avevano guardato un po' di traverso quegli stranieri, anzi, quei nemici
della loro città. Ma poi, tra ragazzi si erano intesi e avevano
stretto amicizia. Che brutta cosa la guerra! Perché considerare
nemici quei fanciulli, i quali non chiedevano che di correre e di giocare?
I ragazzi d'Orebro facevano a gara nel donare cibo e balocchi ai loro amici
nemici. Li invitavano nelle loro case e trovavano un gran divertimento
nel frequentare quei nuovi compagni, che la guerra aveva loro procurato.
Quasi quasi, se non fosse stato per i feriti e per i morti in combattimento,
i ragazzi della piccola e gentile città svedese avrebbero voluto
che la guerra non finisse mai.
"Quando la guerra sarà
terminata - promettevano - verremo nella vostra città".
"Le nostre mamme vi
ringrazieranno di tutte le cortesie che ci usate. E noi contraccambieremo
i vostri doni" rispondevano gli altri.
Cosí passavano i
giorni, e la guerra, invece di cessare, diventava sempre piú aspra
e crudele. La cosa piú terribile era la carestia: l'esercito assediante
non permetteva che nella città assediata entrassero le vettovaglie
e anche dalla parte del lago non era possibile pescare, perché le
barche venivano assalite dai nemici. Presto la carestia divenne vera e
propria fame per gli abitanti di Orebro. Tra l'altro bisognava dare da
mangiare anche ai prigionieri, considerati bocche inutili. I Capi della
città decisero allora di ucciderli tutti, compresi i dodici fanciulli.
Quando la notizia di questa
dura e terribile necessità giunse ai bambini d'Orebro, fu un pianto
generale. Ora sí che la guerra appariva nella sua spaventosa crudeltà!
Come era possibile pensare all'uccisione dei prigionieri e specialmente
di quei dodici fanciulli, compagni dei loro giochi?
Era un Venerdí Santo
e con Gesú morto i bambini d'Obrero piangevano la condanna dei loro
innocenti amici. Decisero di recarsi tutti insieme al comando per implorare
la grazia. Dissero che avrebbero diviso le loro ultime razioni di pane
con i prigionieri. I Capi della città, nel vedere quei bambini cosí
addolorati e nell'udire le loro implorazioni, si commossero.
"Sarà quello
che Dio vorrà" dissero, concedendo la grazia.
Pieni di contentezza, i
bambini corsero ad abbracciare i loro amici, i quali piansero di gioia
e di riconoscenza.
E parve davvero che Dio
gradisse la generosa e nobile offerta dei ragazzi di Orebro, perché
due giorni dopo, proprio nel giorno di Pasqua, il Re di Svezia, a capo
del suo esercito, liberò dall'assedio la città, che tornò
a specchiarsi pacifica sullo specchio del lago opalino.
Ogni anno, anche oggi, nel
giorno di Venerdí Santo, una sfilata di bambini attraversa la città
svedese. I ragazzi indossano i costumi del Medioevo, e dodici di essi portano
in mano un pane che mangiano a piccolissimi morsi. Essi ricordano i dodici
giovani prigionieri, salvati dai compagni, in quel lontano Venerdí
Santo, quando i ragazzi di Orebro chiesero la loro grazia, promettendo
di dividere con essi la scarsa razione di pane.
Racconto svedese da: Intorno
al mondo, Ed. De Agostini, Novara 1978
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