Umétsu
Chubei era un giovane samurai di grande forza e coraggio. Era al servizio
del Signore Tomura Judayu, il cui castello si ergeva su un'altura nelle
vicinanze di Yokoté, nella provincia di Dewa. Le abitazioni dei
dipendenti del signore formavano un piccolo centro ai piedi dell'altura.
Umétsu
era di quelli scelti per la guardia notturna alle porte del castello. I
turni erano due: il primo cominciava al tramonto e finiva a mezzanotte;
il secondo cominciava a mezzanotte e finiva al sorgere del sole.
Una volta, quando
si trovava a fare il secondo turno, Umétsu ebbe una strana avventura.
Mentre saliva la collina a mezzanotte, per prendere il suo posto di guardia,
scorse una donna in cima all'ultima svolta della strada serpeggiante che
portava al castello. Sembrava avesse una creatura fra le braccia, come
in attesa di qualcuno. Solo le piú straordinarie circostanze potevano
giustificare la presenza di una donna in quel luogo solitario a un'ora
cosí tarda, e Umétsu ricordò che i folletti erano
soliti assumere sembiante femminile, scesa la notte, al fine d'ingannare
e distruggere gli uomini. Pertanto dubitò che la parvenza di donna
davanti a lui fosse realmente un essere umano, e quando la vide corrergli
incontro, come per parlargli, era intenzionato a passarle accanto senza
una parola. Ma fu troppo sorpreso per farlo allorché la donna lo
chiamò per nome e gli disse con voce dolcissima:
«Buon
Signore Umétsu, stanotte sono in guai seri e ho un compito penosissimo
da svolgere: volete essere cosí gentile da aiutarmi a tenere il
bambino solo per un breve istante?» e gli porse il piccolo.
Umétsu
non riconobbe la donna, che sembrava molto giovane: sospettava del fascino
di quella strana voce, sospettava un'insidia soprannaturale, sospettò
di tutto, ma era di natura gentile e capí che sarebbe stato vile
frenare uno slancio benevolo per paura dei folletti. Senza rispondere,
prese il bambino.
«Vi prego
di tenerlo fino al mio ritorno – disse la donna. – Sarò qui fra
pochissimo».
«Lo terrò»
rispose Umétsu.
Immediatamente la donna si girò e, lasciata la strada, si lanciò
senza un rumore giú per la collina, cosí rapida e leggera
che Umétsu non credeva ai suoi occhi. In pochi secondi era sparita.
Allora Umétsu
guardò per la prima volta il bimbo. Era molto piccino e sembrava
appena nato. Se ne stava immobile fra le sue mani e non piangeva affatto.
Di colpo parve diventare piú grande. Umétsu tornò
a guardarlo... No: era sempre la stessa creaturina, e non si era neanche
mossa. Perché si era immaginato che diventasse piú grande?
Un attimo dopo capí perché, e si sentí corso da un
brivido gelato. Non è che il bimbo diventasse piú grande,
ma stava diventando piú pesante... All'inizio era parso pesare
solo sette o otto libbre: poi il suo peso era gradualmente raddoppiato,
triplicato, quadruplicato. Ora non doveva pesare meno di cinquanta libbre,
e seguitava a farsi sempre piú pesante... Cento libbre! centocinquanta!
duecento! ... Umétsu capí che era stato ingannato: che non
aveva parlato con una donna mortale, che il bambino non era un essere umano.
Ma aveva fatto una promessa, e un samurai è vincolato alla sua promessa.
Per cui tenne l'infante tra le braccia, e quello continuava a diventare
sempre piú pesante... duecentocinquanta! Trecento! Quattrocento
libbre!... Non riusciva a immaginare cosa sarebbe successo, ma decise di
non aver paura e di non lasciar cadere il piccolo finché gli rimanesse
un po' di forza... Cinquecento! Cinquecentocinquanta! Seicento libbre!
Tutti i suoi muscoli cominciarono a tremare per lo sforzo, e ancora il
peso aumentava...«Namu Amida Butsu! – gemette – Namu Amida
Butsu! Namu Amida Butsu!».
Mentre
pronunciava la sacra invocazione per la terza volta, il peso si staccò
da lui con uno scossone; ed egli si ritrovò esterrefatto, con le
mani vuote, perché il bambino era scomparso. Ma quasi nello stesso
istante vide la misteriosa donna tornare rapida come era partita. Ancora
ansante lo raggiunse, e allora egli si avvide per la prima volta che era
molto bella, ma aveva la fronte grondante di sudore e le maniche erano
trattenute da corde tasuki, come se avesse lavorato duro.
«Gentile Signor Umétsu – disse – non sapete quale grande servigio
mi abbiate reso! Io sono l'Ujigami [nume tutelare] del luogo, e
stanotte una mia Ujiko [devota] ha avuto le doglie del parto e ha
invocato il mio aiuto. Ma il travaglio si è rivelato difficilissimo,
e mi sono accorta presto che soltanto con il mio potere non sarei stata
in grado di salvarla; perciò ho chiesto l'aiuto della vostra forza
e del vostro coraggio. La creatura che ho lasciato nelle vostre mani era
il bambino non ancora nato, e quando avete dapprima sentito che il bambino
diventava sempre piú pesante, il rischio era grandissimo: perché
le Porte della Nascita erano chiuse. E quando avete sentito il bimbo diventare
cosí pesante che disperavate di riuscire a reggerne ancora per molto
il peso, in quello stesso istante la madre sembrava essere morta e la famiglia
piangeva per lei. Allora voi avete ripetuto tre volte la preghiera Namu
Amida Butsu! e la terza volta che l'avete pronunciata il potere del
Signore Buddha è venuto in nostro aiuto e le Porte della Nascita
si sono aperte... Per quel che avete fatto sarete ricompensato come si
conviene. Per un prode samurai non v'è dono piú utile della
forza: perciò non solo a voi, ma del pari ai vostri figli e ai figli
dei vostri figli, verrà data grande forza». E con quella promessa
la divinità scomparve.
Umétsu
Chubei, sommamente stupito, riprese il cammino verso il castello. Al sorgere
del sole, terminato il turno, andò a lavarsi la faccia e le mani
prima di dire la preghiera mattutina. Ma quando si provò a strizzare
l'asciugamano che aveva adoperato, fu sorpreso nel sentire il ruvido panno
sbrindellarsi sotto le sue mani. Cercò di annodare i pezzi strappati,
e di nuovo la stoffa si lacerò, come fosse carta bagnata. Cercò
di torcere i quattro strati, con lo stesso risultato. Di lí a poco,
dopo aver maneggiato vari oggetti di bronzo e di ferro che cedevano al
suo tocco come argilla, capí che era entrato in pieno possesso della
grande forza promessagli, e che d'ora in avanti avrebbe dovuto stare molto
attento quando toccava le cose, per tema che gli si sbriciolassero tra
le dita.
Tornato a casa,
s'informò se qualche bambino fosse nato nell'abitato durante la
notte. Venne allora a sapere che c'era stata una nascita proprio al momento
della sua avventura, e che i fatti si erano svolti in tutto e per tutto
come riferitogli dall'Ujigami. I figli di Umétsu Chubei ereditarono
la forza del padre. Vari loro discendenti, tutti uomini straordinariamente
possenti, vivevano ancora nella provincia di Dewa all'epoca in cui fu scritta
questa storia.
L. Hearn, "La
storia di Umétsu Chubei" in Ombre giapponesi,
Ed. Theoria, Roma-Napoli 1992
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