L’Archetipo Anno III n. 13, Novembre 1998

SITI E MITI

Le due facce del disco di Festo


CRETA E IL DISCO DI FESTO


Narra la leggenda che un giorno Zeus, aggirandosi dalle parti di Tiro, in Fenicia, vide sulla spiaggia una fanciulla bellissima, Europa, che passeggiava in compagnia delle sue amiche. Il re degli Dei se ne invaghí e, tramutatosi in un toro dalla rara possanza e leggiadria, la rapí. Con la magnifica preda sul dorso, il toro divino nuotò fino a Creta, dove si uní alla giovane, dando cosí inizio alla stirpe che doveva popolare l’isola.
Pur essendo un dio e potendo scegliere un sistema di viaggio diverso, Zeus optò per quello via mare. Oggi si va a Creta per lo piú in aereo. Da una a tre ore al massimo dura il volo da una qualunque città europea. Pochi scelgono, a imitazione di Zeus, la via marittima. È piú lunga – dal Pireo 15 ore circa – ma senza dubbio piú suggestiva. La rotta sfiora le Cicladi, il mare turchino lascia fiorire guizzi ariosi di focene ai lati della prua, il mito entra lentamente nel sangue e lo trasforma, preparandolo a emozioni forti e sublimi. A chi riesce ad attuare già alla partenza questa metamorfosi biologica, può capitare di cogliere nel vento il grido degli antichi marinai quando salpavano dal continente: «Eehoo!» «A Oriente!». Perché a Oriente era il mistero: il Vello d’Oro, Troia, Babilonia e i suoi giardini pensili, Harappa nella Valle del grande fiume Indo.
Ma sia che arrivi a Creta in aereo sia che la raggiunga per mare, il visitatore, tra un bagno nelle acque cristalline di Vai e un’arrampicata fino agli altopiani di Lasithi con i suoi mulini a vento, dopo l’escursione a Cnosso non può mancare la visita al museo di Heraklion, la capitale (la Candia dei veneziani, che governarono l’isola dal 1204 al 1669). E una volta entrato nel museo, che contiene quasi tutti i reperti della civiltà minoica rinvenuti nella regione, non potrà trattenersi dal dirigersi prima di tutto verso la 3a sala, e lí, contrassegnato con il numero 41, ammirare l’oggetto piú misterioso forse di quanti ne espongono i musei di tutto il mondo: il disco di Festo. A prima vista, come tanti famosissimi reperti, risulta inferiore alle aspettative della fantasia. Ha un diametro di 18 centimetri e uno spessore di 2, sulle due facce reca 241 segni, o caratteri pittografici, che si sviluppano in senso antiorario dal centro verso il bordo esterno, formando una sequenza a spirale. Alcuni lo fanno risalire al 2500 a.C., altri al 1600 a.C. Mai reliquia della storia umana fu piú indagata, interpetrata, analizzata, valutata, inquisita. E mai congetture e conclusioni in merito a natura e origine furono piú discordanti, sin da quel 3 luglio del 1908, quando una missione archeologica greco-europea, di cui facevano parte molti italiani, portò alla luce nell’area sacra del Palazzo di Festo il disco di argilla, i cui segni restano a tutt’oggi un enigma.
Il limite dei musei, e non solo di quello di Heraklion, è che gli oggetti raccontano la storia esteriore, visiva e materica di un popolo, ma non possono riportarne i valori morali e spirituali. Solo la lingua lo può, e Creta sull’ultimo punto risulta una civiltà muta, non essendo ancora stata decifrata la sua scrittura. Quanto alle immagini, gli affreschi parietali di Cnosso, sempre al museo di Heraklion, ci mostrano rare e frammentarie visioni di donne e uomini, giovani e fanciulle, impegnati in azioni e gesti la cui decrittazione sarebbe fedele alla realtà minoica se ne possedessimo la connotazione scritta che ce ne chiarisse finalità e meccanismi culturali, sociali e religiosi. Come interpetrare ad esempio la “taurolapsi”, cioè l’acrobatico volteggio sul dorso del toro, o l’enigmatica e stilizzata figura del “Principe dei gigli”? Com’erano i Cretesi che dipinsero quegli affreschi e foggiarono quel misterioso disco di argilla? Al di là di ogni congettura piú o meno plausibile, quale può essere il valore simbolico ed esoterico di quel manufatto?


Taurolapsi


Cosí Rudolf Steiner riporta la leggenda del Minotauro*:
«Minosse, re di Creta, aveva costretto gli Ateniesi a consegnargli ogni anno sette giovani e sette fanciulle, che venivano gettati in pasto a un mostro spaventoso, il Minotauro. Quando il triste carico salpò per la terza volta, lo conduceva Teseo, figlio del re. Sbarcato a Creta, Arianna, figliola del re Minosse, prese a proteggerlo. Il Minotauro dimorava nel labirinto, dal quale nessuno che vi fosse entrato sapeva uscire. Ma Teseo voleva liberare la sua città dal vergognoso tributo e uccidere il mostro. Occorreva a tal uopo entrare nel labirinto, ove solitamente veniva gettata la preda. Teseo si sobbarcò all’impresa, vinse il terribile avversario e riuscí a ritrovare la via grazie a un gomitolo di refe che Arianna gli aveva dato».
Narra ancora la leggenda che dopo la fine del Minotauro, nel labirinto era stato rinchiuso lo stesso architetto suo costruttore, Dedalo, insieme a suo figlio Icaro. Talmente perfetta era l’opera che lo stesso ideatore non seppe trovare la via d’uscita. Ma poi, l’ingegno di Dedalo concluse che se la fuga non era possibile per via di terra si poteva tentare per via di cielo. Il resto della vicenda è noto. Il padre aveva raccomandato al figlio di non volare troppo in alto, perché le grandi ali tenute assieme dalla cera non avrebbero sopportato l’eccessiva vicinanza del sole. Ma Icaro, inebriato del volo, non aveva resistito alla tentazione di salire verso l’astro fulgente, ed era miseramente precipitato in mare. In merito alla saggezza racchiusa nei Misteri e nel mito, dice ancora Steiner:
«Il Mista doveva comprendere per quali vie lo spirito creativo dell’uomo arriva a intessere un siffatto racconto. E, come il botanico scruta la pianta per scoprire la legge della sua crescita, cosí voleva egli scrutare lo Spirito creatore. Dove il popolo aveva posto un mito, egli cercava una verità, un contenuto di saggezza. Sallustio ci palesa l’atteggiamento del Mista di fronte al mito. “Tutto il mondo – egli dice – potrebbe essere chiamato un mito, che racchiude i corpi e le cose in modo visibile, e in modo invisibile le anime e gli Spiriti. Se il vero intorno agli Dei venisse insegnato a tutti, gli uomini di scarso senno non l’apprezzerebbero, perché incapaci di comprenderlo, e gli altri di maggior capacità lo prenderebbero alla leggera. Presentato invece sotto il velo del mito, rimane protetto dal disprezzo e stimola gli uomini a filosofare”. Il Mista che ricercava il contenuto di verità di un mito, sapeva di aggiungervi qualche cosa che non viveva nella coscienza popolare. Sapeva di porsi su un gradino a quella superiore, come il botanico si pone su un gradino superiore a quello della pianta che cresce. Il Mista diceva tutt’altro di quanto la coscienza mitica aveva dettato, ma ciò ch’egli diceva era da lui riguardato come una verità profonda, espressa dal mito in immagine. L’uomo sta di fronte alla sensualità come di fronte a un mostro nemico, al quale sacrifica i frutti della sua personalità. La sensualità li divora. E ciò dura finché in lui non sorga il vincitore (Teseo). La conoscenza fila il gomitolo mercé il quale, dopo essersi inoltrato nel labirinto dei sensi per uccidere il nemico, il vincitore ritrova la via. In questa vittoria sulla sensualità è espresso il mistero della stessa conoscenza umana. Il Mista ben conosce quel mistero. Esso allude a una forza della personalità umana. La coscienza comune ignora quella forza, benché operi anche in lei. In lei essa genera il mito, che ha uguale struttura della verità mistica. La verità mistica è simboleggiata nel mito. Qual è, dunque, il contenuto del mito? Esso è una creazione dello spirito, dell’anima inconsciamente creativa. L’anima è retta da ben determinate leggi; per creare oltre se stessa deve dunque agire in una direzione prestabilita. Sul gradino mitologico, essa crea in immagini, ma queste immagini sono edificate conformemente alle leggi dell’anima. Si potrebbe anche dire che quando dal gradino della coscienza mitologica l’anima ascende a verità piú profonde, queste conservano lo stesso carattere che prima presentavano i miti, perché una stessa forza li ha generati. Con riferimento ai Sacerdoti-Saggi egiziani, Plotino, filosofo della scuola neoplatonica (vissuto dal 204 al 269 d.C.) cosí parla del rapporto fra la rappresentazione mitico-allegorica e la conoscenza, superiore: “Sia sulla base di rigorose ricerche – egli dice – sia anche istintivamente, per trasmettere le loro dottrine, i Saggi egizi non si valgono di segni grafici riproducenti voci e parole, ma nei loro templi disegnano figure che racchiudono in contorni il pensiero contenuto nelle cose; cosí che ognuna di esse, pur non essendo né una spiegazione né una discussione, rappresenta un contenuto di sapienza, un oggetto e una totalità. Si trae poi il contenuto dall’immagine, esprimendolo in parole e si trovano i motivi per i quali esso si presenta in quel modo e non altrimenti ”».
Le parole di Steiner dicono che la Verità mistica è simboleggiata nel mito, e dunque il Minotauro non è una figura reale ma simbolica, il labirinto non è una prigione, ma l’immagine esoterica di un percorso dell’anima, cosí come la spirale, interpetrata quale percorso dell’anima nel tragitto perenne attraverso l’esistenza, la morte e la rinascita. Il Disco di Festo è dunque non “segno grafico riproducente voci e parole”, per dirla con Plotino, bensí “una figurazione che racchiude in contorni il pensiero contenuto nelle cose, contenuto di sapienza, un oggetto e una totalità”. Da esso poi lo ierofante trae il contenuto dell’immagine pittografica esprimendolo in parole, illustrandone i motivi per i quali esso si presenta in un certo modo e non altrimenti. Ci piace allora immaginare la grande spianata cerimoniale della reggia-santuario di Festo, verso il tramonto. Il sole indora la collina alla sommità della quale sorge il palazzo con il megaron regale e il sacro recinto. Il re-sacerdote solleva il disco di argilla che ripete nei simboli e nelle figurazioni lo stesso percorso iniziatico che, salendo dalla piana di Messara, si avvolge intorno alle pendici del colle, itinerario reale che ne prefigura uno virtuale e trascendente. L’anima lo percorre come una figura umana che passi attraverso prove e illuminazioni, dolore e gioie. La spirale ascende fino alla sacra fonte, ne ridiscende per un diverso tragitto, e cosí all’infinito. Perché la realizzazione non è un compimento ma un eterno divenire, una ininterrotta evoluzione. Due modi sono offerti all’uomo per uscire dal labirinto passionale e materico in cui la vicenda terrena lo tiene imprigionato: la sapienza d’amore, il filo d’Arianna della Iside Sophia, e il cielo, le ali di Dedalo. Purché anche questa sortita nel sublime e nella liberazione avvenga sotto il controllo del grande Auriga, l’Io, che domina la mente e l’istinto con la temperanza del cuore, rappresentato nel disco di Festo dalla rosa a otto petali, simbolo di rigenerazione e di resurrezione.

*R. Steiner, Il cristianesimo quale fatto mistico e i Misteri dell’antichità,
Ed. Laterza, Bari 1932, pagg. 92-93


 

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