All’inizio della nostra era, nel I secolo, il buddhismo aveva subíto
profondi cambiamenti rispetto alle regole originali dettate dal Gautama
Buddha, e il contatto con le religioni dei Paesi in cui si era diffuso
lo aveva in qualche modo influenzato. Erano i suoi stessi seguaci che,
interpretando alla lettera i canoni della legge e facendo dell’“ottuplice
sentiero” una pratica yoga piú che un veicolo di realizzazione spirituale,
si erano divisi in conventicole e sètte spesso in urto tra loro
circa l’interpretazione da dare alle regole contenute nel sacro testo del
Tripitaka. Inoltre si era instaurata una sorta di anarchia didattica per
cui ogni Maestro forniva ai discepoli un insegnamento personale e spesso
deviato con interpretazioni arbitrarie del Canone dettato dal Buddha.
Fu in quel periodo che iniziò la sua opera Nagarjuna.
Nato in un villaggio del Sud dell’India, molto studiò e predicò,
mentre percorreva il continente verso Nord. Giunto a Nalanda, per le sue
evidenti doti iniziatiche divenne abate della locale Università
buddhista. Ribadendo i concetti del Buddha, riaffermò la validità
del “sentiero di mezzo” (Madhyamika) che eliminava gli estremi combinando
un piú alto idealismo etico con la comprensione dell’unità
dei contrari, e per questo viene considerato dalla tradizione il fondatore
del buddhismo Mahayana. Nagarjuna ordinò tutta la vasta letteratura
del “Grande Veicolo” instaurando un metodo che servisse di guida e riferimento
per l’enunciazione dei princípi basilari del buddhismo, sostituendo
all’antico concetto del “vuoto” (sunyata) quello della relatività,
specificando che nulla vale in sé ma in quanto in rapporto con il
tutto. Egli giunse infine a stabilire i termini delle due Verità:
quella assoluta del Grande Veicolo (Mahayana) e quella relativa del Piccolo
Veicolo (Hinayana), riconoscendo solo alla prima, che vuole il Bodhisattva
reincarnato in varie esistenze per aiutare l’umanità, la vera e
sola strada per raggiungere il Nirvana: praticando cioè, insieme
alla sublime comprensione, anche l’infinita compassione (karuna).
La leggenda si appropriò della sua figura tramandandone l’icona
che lo vede amico e protettore dei Naga, i mitici serpenti guardiani dei
tesori spirituali. Nell’aureola che circonda la sua testa sono infatti
rappresentati alcuni serpenti. Mitizzato e divinizzato, Nagarjuna divenne
punto di riferimento spirituale per molti yogi e guru nei secoli successivi.
A lui in particolare si rivolgeva Tilopa, uno dei Mahasiddha,
vissuto nel secolo XI (988-1069). I Mahasiddha erano santi e taumaturghi
dotati delle siddhi, mistiche facoltà con le quali erano in grado
di dominare e superare le leggi naturali. Erano i grandi Iniziati del buddhismo
tantrico, destinati a percorrere e realizzare la Via di Diamante (Vajrayana).
Essendo maestri yogi, nell’iconografia tantrica sono raffigurati con il
perizoma, i capelli spioventi sulle spalle e l’usnisa, la protuberanza
cranica ricoperta da una crocchia. Davanti a loro c’è talvolta un
paniere che rappresenta il Tripitaka, le sacre scritture del Canone originario
del buddhismo. Esso è diviso in tre scomparti: il primo contiene
le regole dirette ai monaci, il secondo quelle destinate ai fedeli e il
terzo quelle per gli Iniziati.
Tilopa viene raffigurato senza barba, con il sacro tamburo tibetano
nella destra (damaru) e una coppa cranica nella sinistra, a volte sostituita
da un pesce. Di lui si narrano leggende e aneddoti che ne attestano la
potenza di yogi e le capacità soprannaturali. È infatti considerato
l’iniziatore della scuola Kagyu, detta anche della perfezione, che nella
seconda metà dell’anno Mille dall’India settentrionale raggiunse
il Nepal e il Tibet, dove originò il lamaismo.
Bramino dell’India orientale, Tilopa entrò spiritualmente in
contatto, ancora fanciullo, con il grande Maestro Nagarjuna, che gli trasmise
i segreti della Via di Diamante che Tilopa doveva poi a sua volta trasmettere
al discepolo Naropa, continuatore del lignaggio Kagyu.
Per raggiungere piú alti gradi d’Iniziazione, Tilopa, che era
tornato a governare il suo piccolo regno in India, si ritirò a vita
monastica nel complesso di Somapuri nel Bengala. La leggenda vuole che
qui gli apparve una Dakini, entità femminile rivelatrice di segreti
spirituali, che lo iniziò alla conoscenza della via suprema del
Chakrasamvara Tantra. Per dodici anni Tilopa praticò tale dottrina,
poi, lasciato il monastero, viaggiò a lungo per il continente. Durante
questo periodo egli si guadagnò da vivere macinando grani di sesamo,
in sanscrito “til”: da qui il suo nome Tilopa, ovvero “macinatore di grani
di sesamo”. Nacque da questo particolare il simbolismo che vuole il seguace
della Via di Diamante come uno che riesca a trarre dalla bruta materia
l’olio della conoscenza suprema.
Nelle tanka, rappresentazioni pittoriche religiose, specialmente in
quelle raffinatissime della scuola Sakya, al centro della sfera celeste
sovrastante il Buddha, nella radianza della sua aura eterica, appaiono
quasi sempre Nagarjuna e Tilopa, insieme ad altri Mahasiddha. Tali raffigurazioni
volevano ribadire ai monaci degli stupa, cosí come ai semplici fedeli
nell’intimità delle loro case e ai pellegrini che visitavano i templi
dove quelle piú preziose venivano esposte, che la via della perfezione
non passa attraverso l’esclusiva obbedienza a rituali e cerimonie liturgiche,
ma segue la rigorosa via personale della perfetta meditazione, l’unica
in grado di far divenire l’uomo padrone del proprio karma invece di subirne
passivamente il giogo.
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