Il Mikado Nintoku, un giorno
che era salito sulla piú alta torre del suo palazzo, si accorse
con angoscia che nessun fumo saliva sopra i tetti delle capanne dove abitavano
i suoi sudditi, che un silenzio triste pesava sulla campagna e che in massima
parte i campi erano incolti e trascurati.
"Come sono poveri i miei sudditi – pensò – se non hanno nulla da
cuocere al fuoco!"
Ordinò subito che essi, per sette anni, fossero esentati dalle tasse,
ed egli stesso si mise a vivere con semplicità, in modo da poter
dare parte delle sue ricchezze a chi non ne aveva. Vestiva poveramente,
mangiava con sobrietà. A poco a poco il suo abito divenne logoro
e stinto, le sue scarpe si consumarono e, attraverso le brecce dei muro
di cinta che cadeva in rovina, i bambini entravano nel suo parco e vi si
fermavano a giocare. La pioggia cadeva nella sua camera e, stando a letto,
egli vedeva le stelle ammiccare dall'alto del cielo.
Trascorsi i sette anni, in una bella giornata di primavera il Mikado salí
di nuovo sulla torre e si guardò intorno. Quale cambiamento! Da
tutti i tetti salivano colonne di fumo grigio, l'oro giallo del grano maturava
nei campi, le voci allegre del popolo risuonavano sotto la volta del cielo.
Allora il Mikado disse:
"Ora sí che sono ricco, anche se ho il vestito logoro e se la mia
casa cade in rovina. Un Re deve vivere per il suo popolo. Quando il suo
popolo è povero, il Re è povero, ma quando il popolo è
ricco, quella è la vera ricchezza del Re!" .
da:
Fiabe e leggende dell'Estremo Oriente,
Ed. Principato, Milano 1964
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