Questo fatto si
svolse a Hilversum, all’entrata della sala, nella quale il Dott. Steiner
doveva tenere una conferenza. La sorveglianza della sala era affidata al
Signor Kraan, un uomo molto calmo e cordiale, che io stesso – provenendo
da Hilversum – conoscevo già da molti anni. Tra i partecipanti c’era
un uomo che aveva indosso un lungo cappotto. Il Signor Kraan lo trattenne
e lo invitò cortesemente a lasciare il suo cappotto al guardaroba.
Il guardaroba era obbligatorio. L’uomo, riguardo a questo, replicò
che non poteva farlo, perché sotto il cappotto portava solo la camicia
e non la giacca. Egli non era in possesso di una giacca adeguata all’occasione.
Il Signor Kraan rispose che ciò gli dispiaceva sinceramente, ma
che in questo caso non poteva fare alcuna eccezione. “Ho le mie disposizioni”,
disse scusandosi.
Dietro a lui stava
il Dott. Steiner, che quindi, calmo e amichevole, disse al Signor Kraan:
“Io però farei entrare questo signore, poiché se lei non
lo lascia entrare, io non terrò la mia conferenza”.
Il Signor Kraan
percepí quanto queste parole fossero dette seriamente, e immediatamente
agí di conseguenza.
C’erano due Trommsdorff,
uno dai capelli scuri e uno dai capelli rossi. Qui si tratta di quello
dai capelli scuri. Era un tranquillo commesso viaggiatore tedesco, estremamente
affabile, tarchiato, un po’ corpulento, che girava molto la Germania. Io
fui a lungo in contatto con sua moglie e con lui, e durante questo periodo
mi raccontò molti aneddoti su Rudolf Steiner.
Egli era completamente
aperto alla realtà dell’Antroposofia. Siccome voleva ascoltare il
piú frequentemente possibile le conferenze del Dott. Steiner, cercò
di programmare i suoi viaggi in modo che questo fosse realizzabile. Per
far ciò, però, era spesso necessario che viaggiasse con il
treno notturno. Nel quale si può dormire, ma non cosí profondamente
come a casa! E cosí mi raccontò che una volta aveva dormito
in treno per tre notti di seguito, e che per questo motivo durante il giorno
e la sera aveva potuto di volta in volta ascoltare conferenze del Dott.
Steiner. Alla terza sera egli si sentí proprio intontito. Per non
dare nell’occhio, si sedette in fondo alla sala nel corridoio laterale
(la sala era completamente occupata da circa 500 persone). Egli raccontò:
“Mi accorsi che, nonostante la mia buona volontà, non riuscivo a
restare sveglio. Per questa ragione mi misi nel corridoio laterale e mi
appoggiai alla parete. Però anche qui sentii, come nuovamente mi
stessi assopendo. Perciò mi misi al centro del corridoio, senza
appoggiarmi; cosí dovevo proprio restar sveglio! E ciò mi
è anche veramente riuscito”.
Trommsdorff chiuse
la sua narrazione cosí:
“Quando il Dott.
Steiner ebbe finito, scese dal podio, venne attraverso tutta la sala esattamente
verso di me con passo calmo e mi strinse la mano”.
Qui non si tratta
naturalmente di una comunicazione di qualcuno orgoglioso che questo sia
successo: per quanto riguarda ciò, il signor Trommsdorff era troppo
modesto. Certamente, però, egli voleva mettere in luce quale straordinaria
capacità di percezione possedesse Rudolf Steiner, se si pensa che
Egli, accanto a tutto quel che nel corso della conferenza gli passava per
la mente, era ancora in condizione di percepire e di apprezzare qualcosa
come ciò che è stato piú sopra descritto.
Spesso mi è
stato chiesto: «Lei ha avuto ancora modo di incontrare personalmente
Rudolf Steiner? Egli deve aver lasciato dietro a sé una potente
impressione! Ho sentito dire che il suo sguardo, quando si posava su qualcuno,
penetrasse profondamente nell’anima, come un fuoco ardente...»
A dire il vero una
volta io ho incontrato qualcuno a cui ciò si attagliasse. Questi
era Rabindranath Tagore. Attraversava
la Sharia Bulak al Cairo. Con il suo seguito occupava tutta la larghezza
della strada. Al centro incedeva egli stesso, diritto e con il capo sollevato,
con magnifici lunghi bianchi capelli e lunga barba bianca, vestito di velluto
e seta: aveva un grande naso ricurvo e occhi marrone scuro dallo sguardo
acuto, i quali probabilmente, quando guardava qualcuno, sarebbero penetrati
profondamente nell’anima come un fuoco ardente... A grande distanza, a
sinistra e a destra, davanti e dietro a lui, camminavano otto donne, dritte
come candele, ugualmente in velluto e seta, con un punto rosso sulla fronte
e un diamante sulla narice destra, lo sguardo fisso diretto in avanti.
Tutto ciò offriva un magnifico spettacolo. Tutto il traffico dovette
deviare. Si può dire con ragione che egli era un “grande uomo”.
Non avrei descritto
questo incontro, se non costituisse una cosí spiccata contrapposizione
rispetto a ciò che ho sperimentato con Rudolf Steiner. Rabindranath
Tagore allora era un poeta di fama internazionale e lo ammiravo molto.
Però per me qui non si tratta di una valutazione, ma dell’esposizione
delle differenze tra queste due personalità. Ho ben detto una volta
che per me Rudolf Steiner, sotto un certo aspetto, era l’uomo “piú
piccolo” che io abbia incontrato, con ciò intendendo la sua modestia.
Nel
novembre 1923, Rudolf Steiner doveva tenere due conferenze per un gruppo
di studenti in medicina. Esse vennero tenute nella clinica del Dott. Zeylmans
van Emmichoven a L’Aia. Noi aspettavamo l’arrivo del Dott. Steiner con
tensione, e ci chiedevamo come si sarebbe svolto il primo incontro. A questo
punto egli entrò nella stanza in cui eravamo riuniti, venne verso
di noi e si presentò ad ognuno: «Steiner», «Steiner»,
«Steiner». Nel far ciò, calmo guardò ognuno per
un momento. Cosí si ebbe la sensazione che nell’istante in cui egli
dava la mano a qualcuno, non esistesse per lui nessun altro. Lo sguardo,
però, non era “acuto”, “ardente” o simile, era di una straordinaria
quiete e di una almeno altrettanto grande benevolenza. Quando egli guardava
qualcuno, in questo sguardo viveva, per cosí dire, una domanda.
Questa domanda suonava cosí: «Lei ha un quesito?» Se
non si aveva alcun quesito, andava bene lo stesso. Io ho potuto raramente
provare con tale chiarezza, come un uomo possa lasciare completamente libero
un altro uomo.
L.F.C. Mees, Come
parlava Rudolf Steiner, Ed. La Soglia, Basilea. Traduzione di M. Allasia
e A. Calò
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