Vissuto in India
dal 1836 al 1886, Sri Ramakrishna dedicò la sua intera vita a una
ininterrotta contemplazione di Dio. Come una forza silenziosa, il suo pensiero
ha aperto vasti spazi spirituali: la sua raggiunta profonda coscienza della
divinità ha esercitato un richiamo universale verso il suo messaggio,
volto a donare all’uomo una rinnovata consapevolezza del divino, trascendendo
i dogmi delle varie tradizioni e dottrine religiose.
Nel XIX secolo,
in un periodo in cui il vero fondamento della religione, la fede in Dio,
crollava sotto i colpi insistenti del materialismo e dello scetticismo,
Ramakrishna ha rappresentato un baluardo di tenace difesa del piú
alto spirito religioso. La piccola stanza che egli occupava nel giardino
del tempio di Dakshineswar, alla periferia di Calcutta, divenne un vero
“Parlamento delle religioni”, in cui induisti e cristiani, buddisti e musulmani,
cercatori di verità di ogni credo e di ogni età, si incontravano,
si confrontavano, giungevano alla reciproca accettazione, ricevendo ognuno
dal maestro il messaggio dell’amore sconfinato di Dio. I visitatori vedevano
in lui un ideale da raggiungere, sentivano che quanto c’era in loro stessi
di contaminato e impuro, poteva e doveva essere trasformato e purificato.
In un mondo di faide
religiose sempre rinnovantesi, alla base di insanabili lotte politiche
ed etniche, il messaggio di Ramakrishna è tuttora una valida indicazione
di armonia tra le diverse Rivelazioni, attraverso ognuna delle quali la
manifestazione del divino assume i molteplici aspetti che sono necessari
alle differenti esigenze delle menti umane. Come le diverse fotografie
di un medesimo edificio, riprese da angolazioni diverse, ci danno l’immagine
della stessa costruzione, cosí le varie religioni ci danno l’immagine
della stessa verità da diversi punti di vista. Esse non sono contraddittorie,
ma complementari l’una all’altra. «Tante sono le vie, ma una è
la fede», affermava Ramakrishna. E anche: «Le vie differiscono,
ma il traguardo rimane lo stesso». L’armonia tra le religioni non
è l’uniformità, ma l’unità nella diversità.
Non deve essere perseguita la fusione tra tutte le religioni, ma un sodalizio
di religioni basato sul loro unico fine: la comunione con Dio.
E questo finché
l’uomo sentirà ancora il bisogno di un culto esteriore codificato,
superando il quale ritroverà, un giorno non lontano, quel rapporto
diretto con il divino che non necessita di mediazioni.
|
|