L’Archetipo Anno IV n. 6, Aprile 1999

SCULTURA

UNA DEPOSIZIONE MANICHEA?

Goethe ha scritto un saggio sulle pietre antiche della foresta di Teutoburgo che da poco sono divenute oggetto di discussioni archeologiche. Le descrive come santuari naturali che sarebbero stati consacrati prima al culto pagano, più tardi al cristiano; e vi riannoda considerazioni nelle quali precorre le idee piú notevoli dell’indagine artistica moderna.
…Descrive un antico cimelio divenuto celebre in quel luogo: «una Deposizione di Cristo dalla Croce, in grandezza naturale, scolpita nella roccia in mezzo rilievo»; e fa notare la forma della croce che, egli dice, «s’avvicina all’equilateralità della croce greca»; e fa pure notare il sole e la luna, visibili da ambo i lati negli angoli superiori: «nei loro dischi, attirano particolarmente la nostra attenzione due bambini».
Ascoltiamo qui le parole stesse di Goethe: «Sono mezze figure con la testa china, rappresentate nell’atto di tener grandi drappi pendenti, coi quali sembrano volersi nascondere il viso, e asciugare le lagrime. Che questa fosse un’antichissima rappresentazione sensibile della dottrina orientale che presuppone due princípi, lo troviamo nell’interpretazione data da Simplicio a Epitteto, là dove, al paragrafo trentaquattresimo, dice: “La loro spiegazione delle eclissi del sole e della luna dimostra un’erudizione altissima e stupefacente, poiché dicono: siccome mali implicati nella struttura del mondo creano coi loro movimenti molta confusione e disordine, i luminari del cielo tirano certe tende a fine di non partecipare menomamente a quella mischia; le eclissi dunque altro non sono che questo nascondersi del sole o della luna dietro le loro tende”».
Qui certamente apprendiamo che Goethe sa di Mani ben piú di quanto non lasci credere attraverso quell’osservazione apparentemente secondaria, alla fine delle sue note al Divano [Westöstliche Divan, 1819]. Egli continua:
«Seguendo queste basi storiche, proseguiamo piú oltre e consideriamo che Simplicio, e con lui parecchi filosofi d’Occidente, emigrarono in Persia, al tempo di Mani, il quale sembra essere stato un abile pittore, o almeno in relazione con un pittore, poiché ornò il suo Vangelo di efficaci pitture, assicurandogli cosí la miglior diffusione».
«Che una traccia del Manicheismo percorra il tutto – aggiunge Goethe – è ancora suffragato dalla circostanza che, se Dio Padre si mostra sopra la croce con lo stendardo di vittoria, in una caverna sotterranea si vedono alcuni uomini inginocchiati, stretti gli uni contro gli altri, abbrancati dal principio del male, un drago, serpente dalle zampe di leone; e quegli uomini, poiché le due potenze principali del mondo si equilibrano, sembrano appena poter essere salvati dal grande sacrificio d’in alto».
Lo scritto termina così:
«Ora, alla fine, mi sovviene che immagini simili si trovano nelle tavole di Mitra, e perciò cito qui la prima tavola della Historia religionis veterum Persarun di Thomas Hyde, dove gli antichi Dei Sol e Luna sono rappresentati in rilievo, uscenti dalle nubi o dai monti, e cosí pure le tavole XIX e XX dei Misteri di Mitra di Heinrich Seel (Aarau 1823), dove le dette Divinità sono raffigurate simbolicamente in coppe poco incavate, e a scarso rilievo».
Questo accenno fa pensare che Goethe abbia sottaciuto cose indescrivibili.
Il santuario nella foresta di Teutoburgo fu in origine una sede di antichi Misteri celti. Indagini piú recenti hanno rivelato che quella sede era stata istituita secondo punti di vista astronomici, cioè secondo la posizione del sole nello Zodiaco [vedi Extersteine su «L’Archetipo» 9/III, luglio 1998]. Da certe costellazioni si può calcolarne la vetusta età. Con questi antichissimi Misteri, che sono come il riflesso di Misteri ancora piú sublimi, di quelli dell’antica epoca atlantica, stanno in rapporto quei templi rocciosi dell’Asia centrale dei quali ci parlano gli Antichi. Quei templi vennero fondati da coloni emigrati verso Oriente, verso l’interno dell’Asia, dall’Atlantide sommersa. Ed è oltremodo singolare che anche Mani, secondo scrittori orientali (cfr. Baur), sarebbe rimasto un anno in una di quelle caverne «ricca d’aria meravigliosa e sorgenti d’acqua fresca», ricomparendo poi con «pitture di straordinaria bellezza»; appunto quella tavola «che si chiamò in seguito Ertenki-Mani».
…Il culto divino piú antico dell’umanità si svolse in templi rocciosi. In questi avvenivano gli incontri con gli onnipotenti Esseri creatori. Le opere d’arte create da Mani erano immaginazioni cosmiche dell’universo, non solo leggi terrestri come le tavole di Mosè.
E come tradusse il mondo in colori e forme, cosí lo fece risonare in note e parole. Mani era maestro in tutte le arti.
Vale per lui la parola di Goethe:
 
«Se avrete cosí purificate l’acqua e la terra,
il sole splenderà volentieri attraverso l’aria,
dov’esso, degnamente accolto,
creerà vita, a pro’ e vantaggio della vita.
 
Voi afflitti cosí di pena in pena,
consolatevi, il Tutto è ormai purificato,
e l’uomo d’ora innanzi può, qual sacerdote, osare
di trarre dalla pietra l’immagine di Dio».

Albert Steffen

A. Steffen, Mani, la sua vita e la sua dottrina, Ed. I.T.E., Milano 1936


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