Per Richard Wagner i suoni della musica
esteriore erano un’espressione, una rivelazione di una musica interiore,
del mondo della sonorità spirituale, dell’armonia spirituale pulsante
attraverso il mondo. Questo egli sentiva, questo egli stesso definí.
Qualcosa di analogo esprime quando caratterizza la musica strumentale (Pellegrinaggio
a Beethoven): «Gli strumenti rappresentano gli organi primordiali
della creazione e della natura; ciò che esprimono non potrà
mai essere chiaramente definito né fissato, perché suscitano
a loro volta sensazioni primordiali, cosí come dovettero nascere
dal caos della prima creazione, allorché forse non esisteva nemmeno
l’uomo che potesse accoglierle nel proprio cuore».
Non dobbiamo voler forzare, ‘spremere’
simili parole dall’intelletto; bisogna tentare di accoglierne in noi il
significato nella sua totalità. Allora sentiamo come come tutta
l’anima di Wagner fosse immersa in quella che chiamiamo vera mistica. E
cosí Wagner considera tutta la sua missione artistica; non è
un artista che voglia rivelare solamente quello che vive casualmente nella
sua anima; egli sente la necessità del posto che occupa nella storia
dell’evoluzione, getta lo sguardo lontano, in un passato dove non esisteva
arte veramente individualizzata. Qui tocchiamo un argomento assai profondo
che occupò costantemente Richard Wagner, quando egli comprendeva
la sua missione; la stessa questione che fu tanto profondamente meditata
da Nietzsche e per la quale questi fu indotto a scrivere La nascita
della tragedia. Non vogliamo seguire ciò che scrisse Nietzsche,
ma riferirci invece alla mistica, che ha molto di piú da dirci.
Essa ci conduce effettivamente in un’epoca
remota e primordiale dell’evoluzione. In queste epoche primordiali esistevano
i misteri. Che cos’erano i misteri? Presso tutti i popoli dell’antichità
esistevano luoghi dove erano questi misteri, e possiamo chiamarli templi
e scuole: li ritroviamo presso gli Egiziani come presso i Caldei e i Greci.
Ovunque i misteri formavano le basi per una cultura avvenire; in essi erano
contenute insieme religione, scienza e arte. Che cosa sperimentava colui
al quale, dopo prove particolari, era concesso di accostarsi a quei misteri?
Sperimentava ciò che attraverso l’evoluzione dell’umanità
doveva presentarsi piú tardi nei tre diversi rami di religione,
arte e scienza. Immaginate per un momento di assistere a un mistero, nel
quale venga presentato all’uomo l’enigma del mondo. Allora si raffigurava
come le forze spirituali che scendono ad animare minerali e vegetali si
perfezionino negli animali e come diventino coscienti nell’uomo. Tutto
il divenire dello Spirito del mondo era presentato in modo che l’occhio
potesse vederlo. E ciò che l’occhio vedeva, l’orecchio udiva: colore,
luce, suono erano vera sapienza, vera scienza. La gente d’allora non accoglieva
le leggi cosmiche attraverso astrazioni, come noi oggi facciamo. Le loro
rappresentazioni erano in pari tempo belle: cosí nacque l’arte.
Le verità venivano rese in forma artistica, e in tal modo l’arte
era permeata di verità, e il sentimento ch’esse suscitavano diveniva
religioso e s’inchinava adorante. Ciò è stato al principio
di ogni grande cultura. La storia esteriore non conosce molto queste cose
e spesso le nega; ma non importa, fra venti anni non potrà piú
negarle.
E come nei misteri primitivi erano unite
arte, scienza e religione, cosí era dell’arte stessa, era di quelle
forme d’arte che piú tardi dovevano percorrere differenti vie. La
musica e il dramma formavano un tutto, e Wagner volgeva lo sguardo a un’epoca
anteriore, in cui le arti formavano un tutto. Gli appariva chiaramente
come queste arti, ineluttabilmente, nel corso dell’evoluzione, avessero
dovuto seguire differenti vie, e riteneva giunto il momento, nella sua
epoca, in cui esse avrebbero dovuto riunirsi. Egli si credeva chiamato,
nel limite delle sue possibilità, a realizzare l’unione di queste
correnti in ciò ch’egli chiamava “opera totale” [Gesamtkunstwerk].
Sentiva come la vera opera d’arte dovesse essere soffusa di un senso di
religiosità. Tutto ciò dobbiamo ritrovare e rivivere nei
suoi sentimenti. Se seguiamo i suoi pensieri in tutti i particolari, troviamo
perfettamente tutto ciò. Cosí egli vedeva riunite nel suo
dramma musicale le diverse correnti. Per lui esistevano due grandissimi
artisti: Shakespeare e Beethoven. In Shakespeare egli vedeva il drammaturgo
che porta alla ribalta le azioni umane in modo meravigliosamente sintetico;
in Beethoven vedeva l’artista che, con la stessa unità interiore,
sapeva rendere ciò che l’intimo del suo cuore sentiva in modo non
traducibile dal gesto e dall’azione. E diceva a se stesso: «Non vediamo
forse come nel corso dell’evoluzione artistica l’essenza della natura umana
sia stata, per cosí dire, lacerata? L’uomo, nella sua unità,
è guidato sia dai fatti della sua vita intima sia da quelli della
sua vita esteriore; è portato ora su ora giú dalle passioni,
e traduce nell’azione quel che il suo intimo sente e sperimenta. L’arte
ha dovuto separare tutto ciò». Cosí, secondo Wagner,
troviamo dei punti in cui ci diciamo: «Qui c’è qualcosa che
possiamo benissimo approfondire ma che deve rimanere inespresso. Giacché
tra un’azione e l’altra c’è qualcosa nell’animo umano che fa da
mediatore, ma che non può esprimersi in questo genere di arte drammatica.
E quando l’intimo della sensibilità umana si realizza sinfonicamente,
dovrà ugualmente arrestarsi, in parte inespresso, se è costretto
a rimanere nel mondo dei suoni. Nella Nona sinfonia di Beethoven
constatiamo come ciò che vive intimamente nell’anima si riversi
all’esterno e divenga in ultimo parola, riunendo cosí ciò
che è diviso solo nell’arte, ma che nell’uomo è un tutto
unico». Tale era in Wagner il sentimento della sua missione. Da qui
sboccia la sua idea dell’opera d’arte come opera totale, la quale realizza
l’uomo nella sua totalità,
appunto attraverso l’opera d’arte. Egli deve esternarsi cosí come
i suoi sentimenti intimi gli suggeriscono, e deve avere la possibilità
di far rivivere, con l’azione, quel che si agita in lui. Ciò che
non può estrinsecarsi nell’arte drammatica è affidato alla
musica; ciò che non può essere espresso dalla musica sarà
affidato all’esposizione drammatica. Wagner cerca la sintesi tra Shakespeare
e Beethoven; questa è la sua idea fondamentale, un’idea che emerge
dal profondo della natura umana. Tale egli considerava la sua missione.
R. Steiner Richard Wagner
e la mistica, conferenza tenuta a Norimberga il 2.12.1907, in: Archivio
storico della rivista «Antroposofia», Ed. Antroposofica, Milano
1995, pagg. 68-71
Illustrazioni:
F.S. von Lenbach Ritratto di Richard Wagner
E. Doepler “La Cavalcata delle Walkirie” (1876)
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