Swami Vivekananda
(1863-1902), fu il primo ambasciatore spirituale e culturale dell’India
in Occidente. Egli rappresentò le religioni indiane presso il Parlamento
mondiale delle religioni riunito a Chicago in occasione dell’Esposizione
Universale del 1893. Il suo messaggio per l’unione dell’umanità
e l’armonia delle religioni venne accolto sia dal pubblico sia dalla stampa
del tempo come il simbolo dell’essenza stessa di quel Parlamento. Lo Swami
desiderava lanciare un ponte tra l’Oriente e l’Occidente, portando negli
Stati Uniti il dono dell’antica spiritualità indiana in cambio del
patrimonio scientifico e industriale occidentale. Dopo quattro anni di
viaggio e di insegnamento in America e in Europa, egli ritornò in
India, dove viene venerato come Santo nazionale. Il governo indiano ha
dichiarato festa nazionale il suo giorno di nascita.
Riportiamo di seguito
un suo scritto ricavato dal libro di S. Lemaître Textes mystiques
d’Orient et d’Occident, pubblicato a Parigi dall’editore Plon nel 1955.
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La grande anima,
il Messaggero, apparve in un periodo della storia del suo popolo che noi
possiamo ben designare come di grande decadenza. Non possediamo che modesti
frammenti di ciò che è stato annotato, un po’ a caso, intorno
a ciò che Egli ha detto e ha fatto. E in verità si è
avuto ragione di dire che le parole e le azioni di questa grande anima,
se fossero state integralmente trasmesse, avrebbero riempito il mondo.
I tre anni del suo ministero sono stati come un’èra concentrata,
compressa, e non sono bastati diciannove secoli per svilupparla! Semplici
esseri umani, come voi e me, non sono che ricettacoli di un piccolo nucleo
di energia. Qualche minuto, qualche ora, qualche anno al massimo, bastano
a diffonderla interamente, a darle per cosí dire il massimo grado
di estensione, dopo di che noi scompariamo per sempre. Ma osservate quel
gigante che è apparso: secoli e secoli trascorrono, e tuttavia l’energia
che Egli ha lasciato nel mondo non ha ancora agito completamente, non è
stata completamente diffusa.
Ora, ciò
che voi vedete nella vita di Cristo è la vita di tutto il passato.
In un certo senso, la vita di ogni uomo è la vita del passato. Il
passato della sua stirpe arriva a lui attraverso l’eredità, l’ambiente,
l’educazione. In un certo senso, il passato di tutta la Terra, del mondo
intero, è là che pesa su ciascuna delle nostre anime. Che
siamo noi, nel presente, se non un risultato, un effetto, dell’infinito
passato? Che siamo noi se non piccole onde che increspano l’eterna corrente
degli avvenimenti, spinte irresistibilmente in avanti, sempre piú
lontano e incapaci di trovar riposo? Voi ed io non siamo che piccole cose,
bolle d’aria, ma vi è sempre, nell’oceano della vita, qualche onda
gigantesca. In voi e in me, la vita della stirpe del passato non si è
incorporata che in debole misura, ma vi sono dei giganti che riassumono
il passato e tendono le mani all’avvenire...
Il miglior commento
che esista della vita del grande Spirito è nella sua stessa vita:
«Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi;
ma il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo». Ecco quella che
il Cristo indica come la sola via di salvezza, e non ne indica altra. Riconosciamo,
in tutta umiltà, che noi non sappiamo agire cosí. Abbiamo
ancora una certa tenerezza per l’"io" e il "mio". Noi
desideriamo beni, ricchezze, denaro. Mal ce ne incolga! Confessiamolo,
con vergogna, di fronte a questo grande Maestro dell’umanità. Egli
non aveva famiglia. Credete che avesse qualche preoccupazione materiale?
Pensate che questa massa di luce, questo Dio-e-non-uomo, sia disceso sulla
Terra per esservi uguale agli animali?
Egli era uno Spirito
senza catene e senza legami. E non ciò soltanto, ma sapeva anche,
grazie alla sua meravigliosa visione, che ogni individuo, uomo o donna,
giudeo o pagano, ricco o povero, santo o peccatore, era l’incarnazione
del Suo stesso spirito immortale. Per questo l’essenza della sua vita è
l’invito agli uomini a realizzare la propria natura spirituale. «Abbandonate
– Egli diceva – quei sogni superstiziosi ove vedete dei poveri e dei ricchi.
Non crediate di essere calpestati e tiranneggiati come se foste degli schiavi,
perché vi è in voi qualcosa che non può essere tiranneggiato,
che non si può mai calpestare, mai turbare, mai uccidere. Voi siete
tutti i Figli di Dio, dello Spirito Immortale». «Sappiate –
Egli diceva ancora – che il Regno dei Cieli è dentro di Voi».
«Il Padre mio e Io siamo una cosa sola». «Osate sorgere
e proclamare, non soltanto: "Io sono il Figlio di Dio", ma anche:
"Io trovo nel piú profondo del mio cuore, che Io e il Padre
mio siamo una cosa sola"».
Ecco ciò
che ha detto Gesú di Nazaret. Egli non ha mai parlato di questo
mondo né di questa vita: non aveva nulla a che fare con essi. Voleva
solamente prendere il mondo come era, imprimergli un impulso, spingerlo
avanti, farlo progredire fino a che esso, nella sua globalità, raggiungesse
la folgorante luce di Dio; fino a che ciascuno realizzasse la propria natura
spirituale, fino a che la morte fosse vinta e la sofferenza bandita.
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Colui che è venuto
duemila anni fa è il primo e l’ultimo, ma non bisogna confonderlo
con gli uomini.
Quando vuoi creare o perfezionare
qualcosa che qui non esiste rifletti alla tua opera prima di farla. Questo
pensiero non ancora realizzato è l’archetipo di ciò che sarà
la tua opera. Cosí Dio, prima di creare il tutto, pensò la
sua opera; questo pensiero fu qualcuno e fu il Cristo, la Vita, la Parola
di Dio, il pensiero di ogni cosa. Perché Dio creò tutto in
immagine e in seguito, con il tempo, tutto si realizza. Il Cristo, primogenito
di tutte le cose, fu l’ultimo creato, ma non come noi.
Egli era il Figlio stesso
del Padre e, come tale, possedeva la conoscenza di tutte le cose prima
ancora della loro creazione.
A. Haehl, Vita
e parole di Maître Philippe, Edel, Roma 1988, pag. 67
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