Gentile Direttore, lieti
di averla incontrata in Rete, ci permettiamo di proporre alla sua attenzione
un’idea molto semplice. Il Pubblico Impiego potrebbe non essere di proprietà
esclusiva di alcuno per la sua stessa origine e definizione di pubblica
attività, ed in tal caso potrebbe/dovrebbe non essere assegnato
a vita a pochi eletti, come invece avviene tutt'oggi. Per questo semplice
motivo, avallato dagli approfondimenti sul nostro sito: http://www.geocities.com/CapitolHill/Congress/7418/pubimp.htm
che saremmo davvero felici se volesse visitare, si auspica venga effettivamente
reso pubblico il Pubblico Impiego, attuando un’equa, intelligente, sana
rotazione tra tutti coloro che volessero svolgerlo ed avessero i requisiti
necessari. Augurandoci di poter contare su un suo contributo nella divulgazione
di tale questione, le rinnoviamo il nostro miglior saluto.
Marinella Castiglione, Teramo
Questa lettera, riguardante il pubblico impiego,
vuole essere contemporaneamente protesta civile e propoposta sociale. Ci
è stata indirizzata chiedendoci di fare qualcosa in merito. Un simile
invito preluderebbe quindi a un’azione civile e sociale da parte nostra,
vale a dire politica, impegnando cioè la rivista in un ambito monopolizzato
dai partiti: forze materialistiche ispirate a princípi utilitaristici
e animate da ideologie per lo piú positivistiche, estremizzate fino
all’ateismo, o che al contrario usano la religione come alibi strumentale.
Quale sarebbe pertanto l’esito, lasciamo facilmente immaginare. L’iniziativa
per l’Equo Impiego Pubblico, promossa dal gruppo di cui fa parte la nostra
lettrice, persegue una finalità di chiaro stampo morale e ideale,
ed è impiantata secondo validi schemi funzionali e operativi. Si
trova però di fronte un nemico tetragono, compatto e alieno da “aperture”
cristiane. Lottare contro forze chiuse a testuggine su secolari privilegi
dinastici, di casta e di appartenenza tribale e lobbistica, rischia perciò
di risolversi in un degnissimo, e persino eroico, ma sterile sforzo. Valutiamo
la situazione mondiale del presente: la cosiddetta civiltà umana
si è mossa prevalentemente per linee di competizioni e cedimenti,
prevaricazioni e rivolte, ingiustizie e rivendicazioni, in un cerchio infernale
di contrasti e rancori che non ha portato, come promettevano i demiurghi
populisti, all’emancipazione delle masse diseredate, all’età dell’oro
e dell’abbondanza. Al contrario, le conseguenze di un tale deleterio comportamento
sono sotto gli occhi di tutti: discriminazioni, disoccupazione, criminalità,
degrado umano e ambientale, fame e guerre: sono questi i luoghi comuni
di cui ci nutriamo ogni giorno e che risulta qualunquistico menzionare
qui e ora. In realtà dalla “gente comune” si vuole soltanto la partecipazione
massiccia, devota, quasi idolatrica, al consumo. E la politica fa parte
di tale gioco consumistico, essendone una liturgia di legittimazione. L’Archetipo,
come tutti coloro che vogliono procedere in base all’insegnamento del Maestro
dei Nuovi Tempi, intende seguire una tattica alternativa, lavorando sull’interiorità
dell’uomo, aiutandolo a trasformare la propria essenza attraverso un percorso
spirituale. Qualora tale sublimazione animica dovesse realizzarsi, le azioni
umane sarebbero inevitabilmente giuste e morali: a ciascuno verrebbe dato
ciò che gli spetta per meriti e competenze. Prenderemmo cosí
alle spalle l’Ostacolatore: inganno per inganno, ma il nostro sarebbe costruttivo
e duraturo.
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