Fino a non molti anni fa, nelle comunità rivierasche del Sud
la stagione dei bagni iniziava il 24 giugno. E questo perché si
riteneva che durante la notte dal 23 al 24 l’acqua del mare venisse fecondata,
riscaldata e resa benefica da una potente “trave di fuoco” che cadeva dal
cielo. La mattina del 24, prima che un raggio di sole lo colpisse, si provvedeva
a ritirare dal davanzale il catino contenente acqua di fonte, lí
posto la sera prima. Durante le ore notturne, arcane essenze avevano permeato
quel liquido, che ora possedeva energie e poteri capaci di guarire i piú
svariati mali, oltre ad allontanare gli influssi maligni dalla casa e dalle
persone. Spesso nell’acqua, per esaltarne le virtú salutari, si
immergevano petali di rose appena colte. Sui terrazzi sventolavano abiti,
indumenti e tappeti esposti alla “serena”, un’aria particolare, richiamata
da remoti quadranti stellari dove erano avvenute fantastiche e irripetibili
congiunzioni cosmiche.
Sedotti dal mistero, alcuni battevano i boschi per raccogliere la quintessenza
di tutti i ritrovati e rimedi: la rugiada mattutina. Altri, armati di pazienza,
appostandosi tra le felci e i mirti del sottobosco, tentavano di individuare
tra le foglie e l’erba madida il magico fiore, dono delle ninfe, in grado
di rendere invisibili e forse persino immortali. Il fallimento della ricerca
sarebbe stato attribuito alla presenza di esseri lunari, sulfurei, scatenati
per impedire che quella magica notte propiziasse fortuna e salute agli
umani.
La sarabanda di tali ostili entità serviva soprattutto ad accelerare
la caduta e la morte del raggiante ostensorio celeste che, giunto all’apice
della sua parabola astrale, si avviava al declino che lo avrebbe fatalmente
condotto all’appuntamento col suo polo opposto, il solstizio invernale
di fine dicembre, quando avrebbe iniziato la faticosa risalita verso lo
splendore primaverile ricco di purezza e radianza.
Per impedire che queste negative presenze agissero contro l’astro solare,
gli uomini accendevano alti e vigorosi falò per bruciare le streghe
di passaggio, o facevano esplodere esorcizzanti mortaretti, razzi e bengala
che dovevano distoglierle dal viaggio verso l’annuale convegno sabbatico.
Non bastando questi stratagemmi popolari, a guardia dei solstizi erano
stati posti i due Giovanni (johannes = janua, porta): il
Battista per l’estivo, e l’Evangelista per l’invernale.
Leonardo da Vinci Giovanni Battista |
G.B. Benvenuti Giovanni Evangelista
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La simbologia evangelica chiarisce tale scelta: “Non sono io il Cristo
– aveva detto il Battista ai suoi discepoli – ma sono stato inviato prima
di Lui. Egli deve crescere e io diminuire”. Il sole estivo, destinato a
discendere, era dunque il simbolo del precursore, mentre quello invernale,
nella sua parabola ascendente, simbolo del Cristo stesso.
In Abruzzo, sulle rive dell’Adriatico, all’alba del giorno di San Giovanni
si attendeva che il sole sorgesse dal mare: il disco rosso sulla superficie
lucente dell’acqua evocava la testa mozza del Battista portata a Erodiade
su un piatto d’oro. Lo ricorda D’Annunzio, quando ne La Figlia di Iorio
fa dire a Ornella:
«E domani è San Giovanni,
fratel caro: è San Giovanni.
Su la Plaia me ne vo’ gire,
per vedere il capo mozzo
dentro il Sole, all’apparire
per veder nel piatto d’oro
tutto il sangue ribollire». |
In tempi anteriori, gli adepti dei Misteri vedevano nel solstizio l’immagine
di Apollo, o di Elio, o di Mitra: l’eterna rigenerazione della vita che
si consuma, si trasforma e sempre si rinnova, rinasce, splende: il Sol
Invictus identificato in seguito con il Cristo trionfante.
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