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Cupe
sostanze degradate nutrono
steli e foglie cresciuti lungo il fosso:
corrotte linfe sordide compenetrano
ogni gambo e radice, ma poi svetta
quel fiore sul marasma, un’iridante
schiusa purezza distillante aromi.
Il mondo antico viene dissepolto:
ruspe e picconi rabdomanti svelano
la delicata trama di un affresco:
grazia e mistero narrano la favola
dei sogni umani. Vivi si delineano,
raggiunti dalla luce, toni e forme.
Un’erma sacra vigila dal buio:
Mercurio forse, o Dioniso zelante,
muta presenza dai severi tratti;
annidati nell’ombra gli occhi scaltri
a tutelare il regno dell’arcano.
Regale una fanciulla in primo piano
ignora calma quello sguardo, intenta
a preservare la sua leggiadria
dall’offesa del tempo, un velo etereo
che la mano sorregge la difende
dalla muffa del muro, dalle tante
cavillature e crepe che minacciano
la carne del dipinto, transitoria
virtú della materia. Quel suo gesto,
il viso dolce, assorto, la serena
fissità che trattiene l’armonia,
il colore ceruleo, quasi un alito,
del tenue peplo, vincono le tenebre,
irretiscono i secoli, ripetono
l’eternità, si fanno segno angelico,
grave corporeità trasumanata.
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