Il promontorio
del Gargano, detto anche lo Sperone d’Italia, emerge dal Tavoliere delle
Puglie con la sua turrita mole calcarea e, quasi a staccarsi dal suolo
peninsulare, si protende nel mare Adriatico per circa sessantacinque chilometri.
Morfologicamente risulta estraneo alla struttura geologica del territorio,
meridionale in generale e pugliese in particolare. È una terra dal
clima aspro e flagellato dalle correnti, con folti boschi di faggi, carpini
e aceri montani: una vegetazione tipicamente nordica, culminante nella
Foresta Umbra (nel senso di ombrosa). Il tutto avvolto di una luce solare
il cui spettro è percorso da riflessi boreali, pur nel suo biancore
levantino.
Un luogo avulso
dalla realtà geografica circostante e per questo forse considerato,
sin dall’antichità, ricettacolo del mistero dalle popolazioni locali,
che vi eressero due templi: uno dedicato a Podalirio, antico eroe della
tradizione proto-italica, e l’altro a Calcante, il vecchio indovino dell’Iliade.
Lo storico Strabone racconta che i fedeli che consultavano l’oracolo sacrificavano
un ariete nero, e nella sua pelle si avvolgevano per indurre il dio a rivelarsi
loro nel sonno. Ecco quindi sancita la sacralità millenaria del
luogo sin dai tempi remoti della devozione panteistica.
L’episodio che
avrebbe dedicato il luogo alla fede Cristica avvenne il 5 maggio dell’anno
493. Quel giorno, il toro piú pregiato di un allevamento fuggí
e fu a lungo rincorso dal suo proprietario, che alla fine lo ritrovò
inginocchiato davanti all’ingresso di una spelonca. Ogni tentativo dell’uomo
e dei suoi servi per costringere l’animale a ritornare alla mandria risultò
inutile, finché l’allevatore, preso dall’ira, gli scagliò
contro una freccia. Questa però si arrestò a mezz’aria e,
invertendo la traiettoria, tornò con effetto boomerang contro chi
l’aveva tirata, conficcandoglisi in una gamba.
L’uomo corse
in paese a riferire l’accaduto, e la voce dell’incredibile fatto giunse
a Laurenzio, vescovo della vicina Siponto (attuale Manfredonia), che ordinò
tre giorni di digiuno e preghiera. Trascorsi i tre giorni, una processione
di fedeli guidata dallo stesso Laurenzio si recò al luogo del prodigio.
Qui apparve
loro l’Arcangelo Michele, vestito d’una luminosa armatura, come lo avrebbe
poi immaginato John Milton nel suo Paradiso perduto:
Dello stellato
elmetto il vigor primo
della virilità nel vago volto
misto scopria di giovinezza il fiore;
stringe un’asta la mano, e dal bel cinto
qual da zodiaco scintillante, pende,
spavento di Satàn, la fera spada.*
Prima di sparire,
Michele chiese la consacrazione di quella grotta e dell’intera montagna
a lui stesso e alla sua milizia celeste. A testimonianza dell’apparizione
lasciò uno dei suoi speroni, simbolo del Gargano, suo luogo d’elezione,
ma da intendersi anche come sprone all’uomo per avanzare lungo la via della
realizzazione spirituale.
Da allora, innumerevoli
sono stati i miracoli e gli interventi prodigiosi elargiti dall’Arcangelo
alle folte schiere di pellegrini che nei secoli hanno visitato il luogo
e la chiesa eretta intorno allo speco. Confusi tra la folla dei devoti,
vennero anche personaggi illustri per santità e potere. Tra gli
altri anche San Francesco d’Assisi e il mistico imperatore Ottone III che,
stando alle cronache del tempo, percorse a piedi nudi il tragitto da Roma
al santuario.
E il suolo benedetto
fu nei secoli dimensione catalizzatrice di santità e ascesi. A San
Giovanni Rotondo, poco distante dal luogo d’elezione dell’Arcangelo Michele,
è fiorito l’ultimo grande santo della cristianità monastica,
Padre Pio da Pietrelcina, che qui ricevette le stigmate e ottenne dalla
Divinità grazie, miracoli e benedizioni.
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*J.
Milton, Il Paradiso perduto, Libro XI, trad. di Lazzaro Papi, Firenze
1839.
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