Nel “Prologo in
cielo” che introduce il Faust, Goethe descrive con lirico realismo il colloquio
che si svolge tra Dio e Mefistofele, nel corso del quale viene concluso
un patto, si potrebbe dire una scommessa, che ha come posta finale l’anima
del protagonista, l’inquieto e insoddisfatto filosofo e sapiente. Una familiarità
quasi amicale connota lo scambio di battute fra il Creatore e il suo antagonista
di sempre, il Tentatore, che va a lamentarsi in Cielo.
Il Signore:
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E torni sempre
a ricantar le stesse querimonie?
Possibile che al mondo
nulla, in eterno, mai ti vada a genio?
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Mefistofele:
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Signore
no. Trovo che al mondo, ancora,
nel susseguirsi dei dolenti giorni,
le cose vanno cordialmente male
siccome sono cordialmente andate… |
Il Signore:
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Conosci Faust? |
Mefistofele:
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Dite il Dottore? |
Il Signore:
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Il servo mio. |
Mefistofele:
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Vi serve
in verità, Signore, in modo strano…
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Il Signore:
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Se pure, adesso,
egli mi serve solo
in un confuso anelito,
lo condurrò tra poco a chiarità… |
Mefistofele:
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Scommettiamo? Costui
lo perderete
se consentite a me di disviarlo,
con mano lieve, pel sentiero mio. |
Il Signore:
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Per tutto il tempo
in cui vivrà nel mondo,
vietato non ti sia. |
Bene e Male, in
un rapporto che appare venato di complicità e connivenza, iniziano
cosí una verifica per saggiare la tenuta morale della creatura posta
al centro del progetto divino.
Questo rapporto
tra la divinità e il Maligno non è nuovo nella tradizione
letteraria. Anche la Bibbia ce ne fornisce un chiaro esempio nei Libri
Sapienziali, quando narra l’episodio di Giobbe. Questi, uomo santissimo,
godeva di una grande prosperità. Le Sacre Scritture enumerano con
meticolosa esattezza che egli, oltre ad avere sette figli maschi e sette
femmine, possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia
di buoi e altrettante asine, oltre a una gran quantità di servi.
Un personaggio quindi che poteva contare sul favore della divina provvidenza.
Ed ecco entrare in scena Satana, il Maligno, invidioso della benevolenza
celeste all’origine di tanta ricchezza e serenità esistenziale del
patriarca.
Il racconto ci mostra
che un giorno, essendosi presentati al Signore i Figli di Dio, in mezzo
ad essi vi si trovò anche Satana.
«Che ci fai
tu qui?» chiese meravigliato l’Altissimo, rivolto all’intruso.
«Ho fatto
il giro del mondo e ho visto le cose che hai creato».
«Allora, hai
anche veduto il mio servo Giobbe, e come egli sia impareggiabile, uomo
semplice e retto, timorato di Dio e alieno dal male».
«Già,
ho visto come tutto gli vada bene perché sei stato generoso con
lui. Ma fagli mancare ciò che possiede e vedrai se non si rivolterà
contro di te!»
Il Signore disse
dunque a Satana:
«E sia, ti
concedo di stendere la tua mano su tutto quello che ha, senza però
toccare la sua persona».
Da quel momento
iniziarono per Giobbe le sventure piú atroci. Nel volgere di pochi
giorni perse prima i figli, poi le mandrie, e infine ogni ricchezza. Ma
egli tutto subiva senza venir meno alla sua incrollabile fede.
A
questo punto il Maligno chiese l’autorizzazione ad agire sulla persona
fisica di Giobbe. Anche questo gli venne accordato.
Il pover’uomo fu
allora martoriato con piaghe e inenarrabili infermità, tanto da
essere allontanato dal consesso sociale e ridotto a giacere sullo strame
nella pubblica via. Ciò nonostante, Giobbe conservò la sua
fiducia nel divino, resistendo a tutte le vessazioni sataniche. Il Maligno
ne risultò quindi sconfitto e per Giobbe arrivò la reintegrazione
degli affetti e dei beni, in misura persino maggiore di quanto ne avesse
goduto prima.
Giobbe e Faust sono
due paradigmi di come nel tempo l’uomo si è posto di fronte alla
scelta tra Bene e Male. Il primo, uomo antico, accetta passivamente le
avversità, mentre il secondo si cala nel magma delle esperienze
umane spinte fino all’estrema trasgressione. Faust sperimenta coscientemente
tutta la gamma dei desideri, delle passioni e dei vizi che affliggono l’uomo,
utilizzando persino il Male pur di giungere all’attimo perfetto al quale
dire “Fermati, sei bello!” Esito finale che non si verifica, perché
in Faust vibra la forza dell’Io che fa tendere l’Uomo a realizzare se stesso
non nella dimensione materica, ma in quella divina.
I due personaggi
rendono testimonianza del modo in cui l’elemento di raccordo tra i due
princípi di Bene e Male sia l’uomo. A lui è demandato il
compito di conciliare gli opposti, di sublimare ogni negatività
insita nel mondo fisico, di riscattare la stessa natura degli Ostacolatori,
attuando la sua opera di autoredenzione, con la scelta consapevole del
Bene quale unico veicolo di salvazione. Solo in tal modo egli può
portare a compimento il progetto voluto dalla Divinità, cui hanno
partecipato, ognuna con il proprio contributo, le 9 Gerarchie spirituali,
alle quali andrà cosí ad aggiungersi la decima: quella rappresentata,
appunto, dall’Uomo.
Illustrazione: “Giobbe martirizzato
dai demoni”, dal «Libro d’oro»
miniatura sec. XV, Biblioteca Ambrosiana, Milano
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