L’Archetipo Anno IV n. 7, Maggio 1999

BENE E MALE

  LA POSTA IN GIOCO

Nel “Prologo in cielo” che introduce il Faust, Goethe descrive con lirico realismo il colloquio che si svolge tra Dio e Mefistofele, nel corso del quale viene concluso un patto, si potrebbe dire una scommessa, che ha come posta finale l’anima del protagonista, l’inquieto e insoddisfatto filosofo e sapiente. Una familiarità quasi amicale connota lo scambio di battute fra il Creatore e il suo antagonista di sempre, il Tentatore, che va a lamentarsi in Cielo.
Il Signore:
E torni sempre
a ricantar le stesse querimonie?
Possibile che al mondo
nulla, in eterno, mai ti vada a genio?
Mefistofele:
Signore no. Trovo che al mondo, ancora,
nel susseguirsi dei dolenti giorni,
le cose vanno cordialmente male
siccome sono cordialmente andate…
Il Signore:
Conosci Faust?
Mefistofele:
Dite il Dottore?
Il Signore:
Il servo mio.
Mefistofele:
Vi serve
in verità, Signore, in modo strano…
Il Signore:
Se pure, adesso, egli mi serve solo
in un confuso anelito,
lo condurrò tra poco a chiarità…
Mefistofele:
Scommettiamo? Costui lo perderete
se consentite a me di disviarlo,
con mano lieve, pel sentiero mio.
Il Signore:
Per tutto il tempo in cui vivrà nel mondo,
vietato non ti sia.
Bene e Male, in un rapporto che appare venato di complicità e connivenza, iniziano cosí una verifica per saggiare la tenuta morale della creatura posta al centro del progetto divino.
Questo rapporto tra la divinità e il Maligno non è nuovo nella tradizione letteraria. Anche la Bibbia ce ne fornisce un chiaro esempio nei Libri Sapienziali, quando narra l’episodio di Giobbe. Questi, uomo santissimo, godeva di una grande prosperità. Le Sacre Scritture enumerano con meticolosa esattezza che egli, oltre ad avere sette figli maschi e sette femmine, possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e altrettante asine, oltre a una gran quantità di servi. Un personaggio quindi che poteva contare sul favore della divina provvidenza. Ed ecco entrare in scena Satana, il Maligno, invidioso della benevolenza celeste all’origine di tanta ricchezza e serenità esistenziale del patriarca.
Il racconto ci mostra che un giorno, essendosi presentati al Signore i Figli di Dio, in mezzo ad essi vi si trovò anche Satana.
«Che ci fai tu qui?» chiese meravigliato l’Altissimo, rivolto all’intruso.
«Ho fatto il giro del mondo e ho visto le cose che hai creato».
«Allora, hai anche veduto il mio servo Giobbe, e come egli sia impareggiabile, uomo semplice e retto, timorato di Dio e alieno dal male».
«Già, ho visto come tutto gli vada bene perché sei stato generoso con lui. Ma fagli mancare ciò che possiede e vedrai se non si rivolterà contro di te!»
Il Signore disse dunque a Satana:
«E sia, ti concedo di stendere la tua mano su tutto quello che ha, senza però toccare la sua persona».
Da quel momento iniziarono per Giobbe le sventure piú atroci. Nel volgere di pochi giorni perse prima i figli, poi le mandrie, e infine ogni ricchezza. Ma egli tutto subiva senza venir meno alla sua incrollabile fede.
A questo punto il Maligno chiese l’autorizzazione ad agire sulla persona fisica di Giobbe. Anche questo gli venne accordato.
Il pover’uomo fu allora martoriato con piaghe e inenarrabili infermità, tanto da essere allontanato dal consesso sociale e ridotto a giacere sullo strame nella pubblica via. Ciò nonostante, Giobbe conservò la sua fiducia nel divino, resistendo a tutte le vessazioni sataniche. Il Maligno ne risultò quindi sconfitto e per Giobbe arrivò la reintegrazione degli affetti e dei beni, in misura persino maggiore di quanto ne avesse goduto prima.
Giobbe e Faust sono due paradigmi di come nel tempo l’uomo si è posto di fronte alla scelta tra Bene e Male. Il primo, uomo antico, accetta passivamente le avversità, mentre il secondo si cala nel magma delle esperienze umane spinte fino all’estrema trasgressione. Faust sperimenta coscientemente tutta la gamma dei desideri, delle passioni e dei vizi che affliggono l’uomo, utilizzando persino il Male pur di giungere all’attimo perfetto al quale dire “Fermati, sei bello!” Esito finale che non si verifica, perché in Faust vibra la forza dell’Io che fa tendere l’Uomo a realizzare se stesso non nella dimensione materica, ma in quella divina.
I due personaggi rendono testimonianza del modo in cui l’elemento di raccordo tra i due princípi di Bene e Male sia l’uomo. A lui è demandato il compito di conciliare gli opposti, di sublimare ogni negatività insita nel mondo fisico, di riscattare la stessa natura degli Ostacolatori, attuando la sua opera di autoredenzione, con la scelta consapevole del Bene quale unico veicolo di salvazione. Solo in tal modo egli può portare a compimento il progetto voluto dalla Divinità, cui hanno partecipato, ognuna con il proprio contributo, le 9 Gerarchie spirituali, alle quali andrà cosí ad aggiungersi la decima: quella rappresentata, appunto, dall’Uomo.

Leonida I. Elliot

Illustrazione: “Giobbe martirizzato dai demoni”, dal «Libro d’oro»
miniatura sec. XV, Biblioteca Ambrosiana, Milano

 

 

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