L’Archetipo Anno IV n. 7, Maggio 1999

Il racconto

IL SALICE E LA QUERCIA  

Sulle sponde di un piccolo lago, dalle acque limpide, quiete e profonde, viveva un albero che amava moltissimo quel luogo tranquillo. Era un albero dalla forma particolare, dal tronco sottile, nascosto in parte dai rami che, ricadendo al suolo, sembravano tanti zampilli di acqua sorgiva che si tuffavano nel lago. Questo albero, il salice piangente, aveva rami pendenti che, sciogliendosi e intrecciandosi, solcavano il tronco come lacrime. Amava il silenzio e adorava la pioggia fina e sottile, che lo portava a meditare. Non provava piacere nel trovarsi in mezzo al frastuono e all’allegria: gli sembravano cose vane e sciocche. Fra i bambini prediligeva quelli piú miti, che si avvicinavano alle sponde del lago per contemplarne la bellezza e il limpido colore, e che se ne stavano lí, silenziosi ed assorti. Se qualcuno fra questi piccini si sedeva alla sua ombra, poteva leggerne i pensieri e come un soffio sussurrare:
«Coraggio, so bene ciò che provi; tutto è cosí lontano dalle nostre riflessioni profonde!»
Allora il bimbo si sentiva confortato e dichiarava all’albero la sua amicizia.
Poco distante da quel luogo quasi avvolto nel sogno, in cima a una collina dalla quale scendeva un ruscello d’acqua fresca e canterina, c’era un albero del tutto diverso dal salice: era robusto, dal tronco solido e massiccio che sosteneva grossi rami, dotati di una folta chioma verdeggiante. Il suo nome era quercia. La quercia possedeva nel suo aspetto tutte le caratteristiche della forza e della robustezza: sembrava pronta ad affrontare, con la sua mole, le piú forti bufere di vento e i più scroscianti temporali. Anzi, pareva aspettarli mostrando i muscoli e dicendo:
«Oilà vento, pioggia, turbini, venite a misurarvi con me! Ho le radici talmente salde nella terra che vi sfido a provare a sradicarmi, con tutto il vostro impeto».
Si agitava molto in queste circostanze: tutti dovevano conoscere la sua forza! La quercia amava i bimbetti vivaci e pieni di allegria, con le gambine sempre in movimento, pronti a scalare gli alberi fino al ramo più alto. Dalla sua cima, l’albero poteva vedere il vicino lago e conversare con il salice, quando questi glielo permetteva.
Un giorno, notando il salice piangente sempre immerso nei suoi pensieri, la quercia lo chiamò e attaccò discorso:
«Ehi, salice, ascoltami! Perché sei sempre triste e pensieroso? Oggi è una giornata meravigliosa, il cielo è azzurro, il sole caldo e splendente e molti uccellini stanno volando gioiosamente sui tuoi rami. Alza ogni tanto lo sguardo, ci sono anch’io con cui parlare!»
«Che tono alto ha la tua voce! – fece il salice – Mi hai distolto da pensieri importanti. Posso dunque sapere cosa vuoi da me? Io non sono certo forte e intraprendente come te, ho paura del mondo e mi sento incompreso da tutti, ma non m’inquieto di continuo come fai tu, gridando e agitandoti. Sono mite e riservato io! Non potremo mai intenderci!»
«Tutte sciocchezze! – ribatté la quercia – Proprio perché sei cosí diverso da me potrei esserti d’aiuto!»
«Può darsi – commentò il salice – proverò a diventare tuo amico».
Soddisfatta, la quercia si ripropose di attendere l’occasione propizia per mostrare al salice quanto valesse avere un amico cosí possente.
Una sera, all’imbrunire, le fronde degli alberi iniziarono a muoversi sospinte dal vento che, dapprima leggero, le cullava dolcemente, poi, divenendo sempre piú forte e impetuoso, cominciò a costringere alberi e cespugli ad oscillare senza posa ad ogni suo soffio. La quercia era lí, ben piantata, con il suo solito atteggiamento di sfida. Il salice, al contrario, era molto preoccupato per l’arrivo della tempesta. Gocce di pioggia cominciavano a cadere sulla terra. Non erano le goccioline sottili amate dal salice, ma goccioloni che si susseguivano senza sosta. La quercia allora confortò il salice:
«Amico, non aver timore, non mostrarti debole e indifeso, noi avremo la meglio! Non siamo forse sulla terra da secoli? Abbiamo resistito a tutto, cosí sarà anche stavolta».
Aveva appena finito di pronunciare queste parole, che un fulmine sfiorò la sua chioma:
«Vieni piú vicino, se hai coraggio – gridò la quercia – io non mi lascio intimidire da nulla!»
«Non è il caso che t’inquieti tanto! – fece la voce calma e melodiosa del salice – Finirai per stare male e per indebolirti. Fai come me, sopporta e pensa a quando tutto sarà finito».
La quercia, ostinata, replicò:
«Eh no, mio caro, qui devono riconoscere chi è il più forte!».
Ma il salice incalzò:
«Tutto questo è inutile, pensa a rimanere salda piuttosto che a dimostrare qualcosa agli altri!»
La quercia tacque, ma riconobbe fra sé che quell’albero era davvero saggio. Provò quindi a dare ascolto ai suoi consigli. Ad ogni oscillazione, il robusto albero puntava con piú forza le radici nel terreno. Dopo un po’ di tempo, il vento si calmò ed anche la pioggia. Tornato tutto alla normalità, la quercia commossa chiamò il salice:
«Caro amico, è davvero strano! Pensavo di essere io in grado di proteggerti, e invece sei stato tu a darmi aiuto, ricordandomi quanto siano importanti la calma e la pazienza!»
Il salice rispose:
«Cara quercia, credi forse che mi sarei sentito cosí sicuro, se tu non mi avessi confortato con parole piene di forza e di voglia di vivere? Il mio coraggio è tutto merito tuo!»
Da allora la quercia e il salice divennero amici inseparabili, giurandosi per sempre reciproco aiuto.

Patrizia Rubino

 

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