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Una ripida strada
taglia la montagna dopo il paese di Ienne e s’inerpica in tornanti da capogiro
verso i la catena dei Simbruini, al confine tra Lazio e Abruzzo. Ad un
tratto s’incontra Vallepietra, un borgo rurale con una tranquilla piazzetta
al centro delle case, che si anima due volte l’anno, quando arrivano da
ogni parte del Lazio e anche da piú lontano i devoti detti “marzocchi”,
che qui fanno sosta prima di proseguire verso il santuario della Trinità,
sotto il monte Autore.
Il pellegrinaggio
si svolge in occasione della ricorrenza della SS. Trinità, la prima
domenica dopo la Pentecoste, e nel giorno della festa di S. Anna, il 26
luglio. I gruppi di fedeli, portando gli stendardi delle confraternite,
percorrono il tratto di strada tra il paese e il santuario ripetendo antichi
rituali, tra cui il lancio delle pietre.
La grotta, scavata
nella roccia, racchiude il mistero: sulla parete sinistra dopo l’ingresso
si vede un affresco, screpolato dal tempo e dal salnitro fiorito sulla
roccia silicea del monte. Vi campeggiano tre ripetute immagini del Cristo,
in ossequio agli schemi iconografici in uso fino all’undicesimo secolo
a rappresentazione della Trinità: tre figure antropomorfe similari,
unità della natura divina in tre espressioni personali, Padre, Figlio
e Spirito Santo, in una stretta giustapposizione volta a indicarne la consustanzialità.
Il dipinto è
stato realizzato con i colori fondamentali: il blu, il rosso e il giallo,
che simboleggiano la risposta della sostanza materica del mondo alla sollecitazione
della pura luce spirituale. Il bianco, che indica la quintessenza della
luce, viene invece utilizzato dal devoto artista per raffigurare i libri
sorretti dalle tre figure, a emblema del Libro di Vita sul quale gli angeli
vergano i nomi degli eletti.
La leggenda
affonda le sue radici in una buia notte invernale di mille anni fa, nel
Medioevo profondo. Il villaggio era immerso nel sonno. Ma non tutti i suoi
abitanti dormivano: qualcuno tirava a far tardi nella taverna situata ai
margini delle case, dove già incombeva la montagna con le sue balze
scoscese. A un certo momento il buio venne rotto da un bagliore accecante,
proprio dalla parte della rupe che s’impennava vertiginosa dopo la macchia
scura dei boschi. Solo i pastori si accorsero di quel fuoco improvviso
e silenzioso che avvampò il cielo. Fu dopo qualche tempo che la
porta della taverna si aprí e nel riquadro si stagliarono tre figure
alte e maestose. Avanzarono verso il centro del locale tra lo stupore degli
avventori. Chi erano i tre forestieri? L’oste porse loro del cibo, ma quelli,
invece di accettarlo, mostrarono alcune pietre che avevano in mano. Non
comprendendo le intenzioni e le richieste dei tre, qualcuno propose di
portarli dal santo monaco che viveva nella grotta sotto la montagna. E
cosí, alcuni paesani di buona volontà si mossero facendo
da guida agli sconosciuti. Arrivati allo speco dell’eremita, considerato
da tutti un illuminato e un sapiente, gli accompagnatori lasciarono gli
stranieri e tornarono in paese.
L’impressione
che suscitarono i misteriosi individui sull’animo del monaco è tutta
raccolta nel dipinto ormai sbiadito dai secoli, che decora le pareti dello
speco.
Prodigi e miracoli
si verificarono negli anni che seguirono l’apparizione. Uno in particolare
viene ricordato, e narra di un uomo che arava sulla montagna. I suoi buoi
caddero nel precipizio, ma l’aratro rimase impigliato alla rupe. Quando
il contadino scese a controllare cosa fosse rimasto dei suoi animali, li
trovò inginocchiati davanti all’immagine della Trinità. A
chi visita il santuario viene mostrato, in alto, stagliato contro il cielo,
ciò che ancora resta di quell’aratro conficcato nella roccia, e
ormai quasi parte di essa.
Un particolare
del dipinto attrae l’attenzione dell’osservatore: i tre personaggi togati,
seduti uno accanto all’altro, incapsulati in una cupola dal contorno borchiato,
indossano una veste azzurra che dalle ginocchia scende fino ai piedi e
che per forma e tonalità sembra volerci suggerire l’immagine di
una celata munita di due enormi lenti cristalline.
Ma che si tratti
di Trinità, di personaggi angelici o di sconosciuti visitatori da
altre dimensioni spazio-temporali, rimane l’inequivocabile suggestione
suscitata dal magnetismo emanante dall’immagine, che testimonia l’insopprimibile
esigenza del sacro di cui si nutre da sempre il cuore dell’uomo.
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