L’Archetipo Anno IV n. 7, Maggio 1999

SITI E MITI

 
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VALLEPIETRA
Una ripida strada taglia la montagna dopo il paese di Ienne e s’inerpica in tornanti da capogiro verso i la catena dei Simbruini, al confine tra Lazio e Abruzzo. Ad un tratto s’incontra Vallepietra, un borgo rurale con una tranquilla piazzetta al centro delle case, che si anima due volte l’anno, quando arrivano da ogni parte del Lazio e anche da piú lontano i devoti detti “marzocchi”, che qui fanno sosta prima di proseguire verso il santuario della Trinità, sotto il monte Autore.
Il pellegrinaggio si svolge in occasione della ricorrenza della SS. Trinità, la prima domenica dopo la Pentecoste, e nel giorno della festa di S. Anna, il 26 luglio. I gruppi di fedeli, portando gli stendardi delle confraternite, percorrono il tratto di strada tra il paese e il santuario ripetendo antichi rituali, tra cui il lancio delle pietre.
La grotta, scavata nella roccia, racchiude il mistero: sulla parete sinistra dopo l’ingresso si vede un affresco, screpolato dal tempo e dal salnitro fiorito sulla roccia silicea del monte. Vi campeggiano tre ripetute immagini del Cristo, in ossequio agli schemi iconografici in uso fino all’undicesimo secolo a rappresentazione della Trinità: tre figure antropomorfe similari, unità della natura divina in tre espressioni personali, Padre, Figlio e Spirito Santo, in una stretta giustapposizione volta a indicarne la consustanzialità.
Il dipinto è stato realizzato con i colori fondamentali: il blu, il rosso e il giallo, che simboleggiano la risposta della sostanza materica del mondo alla sollecitazione della pura luce spirituale. Il bianco, che indica la quintessenza della luce, viene invece utilizzato dal devoto artista per raffigurare i libri sorretti dalle tre figure, a emblema del Libro di Vita sul quale gli angeli vergano i nomi degli eletti.
La leggenda affonda le sue radici in una buia notte invernale di mille anni fa, nel Medioevo profondo. Il villaggio era immerso nel sonno. Ma non tutti i suoi abitanti dormivano: qualcuno tirava a far tardi nella taverna situata ai margini delle case, dove già incombeva la montagna con le sue balze scoscese. A un certo momento il buio venne rotto da un bagliore accecante, proprio dalla parte della rupe che s’impennava vertiginosa dopo la macchia scura dei boschi. Solo i pastori si accorsero di quel fuoco improvviso e silenzioso che avvampò il cielo. Fu dopo qualche tempo che la porta della taverna si aprí e nel riquadro si stagliarono tre figure alte e maestose. Avanzarono verso il centro del locale tra lo stupore degli avventori. Chi erano i tre forestieri? L’oste porse loro del cibo, ma quelli, invece di accettarlo, mostrarono alcune pietre che avevano in mano. Non comprendendo le intenzioni e le richieste dei tre, qualcuno propose di portarli dal santo monaco che viveva nella grotta sotto la montagna. E cosí, alcuni paesani di buona volontà si mossero facendo da guida agli sconosciuti. Arrivati allo speco dell’eremita, considerato da tutti un illuminato e un sapiente, gli accompagnatori lasciarono gli stranieri e tornarono in paese.
L’impressione che suscitarono i misteriosi individui sull’animo del monaco è tutta raccolta nel dipinto ormai sbiadito dai secoli, che decora le pareti dello speco.
Prodigi e miracoli si verificarono negli anni che seguirono l’apparizione. Uno in particolare viene ricordato, e narra di un uomo che arava sulla montagna. I suoi buoi caddero nel precipizio, ma l’aratro rimase impigliato alla rupe. Quando il contadino scese a controllare cosa fosse rimasto dei suoi animali, li trovò inginocchiati davanti all’immagine della Trinità. A chi visita il santuario viene mostrato, in alto, stagliato contro il cielo, ciò che ancora resta di quell’aratro conficcato nella roccia, e ormai quasi parte di essa.
Un particolare del dipinto attrae l’attenzione dell’osservatore: i tre personaggi togati, seduti uno accanto all’altro, incapsulati in una cupola dal contorno borchiato, indossano una veste azzurra che dalle ginocchia scende fino ai piedi e che per forma e tonalità sembra volerci suggerire l’immagine di una celata munita di due enormi lenti cristalline.
Ma che si tratti di Trinità, di personaggi angelici o di sconosciuti visitatori da altre dimensioni spazio-temporali, rimane l’inequivocabile suggestione suscitata dal magnetismo emanante dall’immagine, che testimonia l’insopprimibile esigenza del sacro di cui si nutre da sempre il cuore dell’uomo.

Ovidio Tufelli

 

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