L’Archetipo Anno IV n. 5, Marzo 1999

COMUNITÀ

  L'armonia come base morale

Ciò che in questi ultimi secoli poteva essere conquista della coscienza del singolo, d’ora in poi dovrà a poco a poco essere conquistato dai gruppi, da comunità. Ma non esiste compito piú difficile, poiché una comunità è una massa fluttuante; essa cambia continuamente, non solo il suo volto esteriore, ma anche il suo viso interiore. Non appena un certo strato generazionale, grazie a lotte esistenziali ed esperienze, ha raggiunto un gradino piú maturo nell’approfondimento della coscienza, ecco che incalza la seguente generazione oppure chi prima stava in disparte: questi ora devono incominciare daccapo a raccogliere esperienze e di conseguenza risospingono il livello di maturità già conquistato su un precedente meno maturo gradino. Quando davanti a questa giovane retroguardia si presentano vecchi problemi, essa tende facilmente a giudicare e a condannare, ha la parola pronta, ma nella maggior parte dei casi le mancano le basi necessarie per la formazione di un giudizio. In casi complicati non le è neanche possibile ottenerle. Si dipende quindi da vaghe dicerie che hanno la caratteristica non solo di cambiare forma come Proteo, ma anche di falsare la sostanza, di trasformare spesso persino i fatti nel loro contrario. Cosicché nel trascorrere di anni e di decenni si sono sviluppati conflitti il cui valore obiettivo si perde nelle simpatie e antipatie e nelle velleità della natura umana. Chi non ha partecipato con consapevolezza a tutto quanto fin dall’inizio, si trova presto irretito in un tessuto senza trasparenza e vede spettri, non realtà; brancola nel buio, e la verità gli si sottrae.
Ora, ogni nuova generazione è piú avveduta di quella precedente. Certo, perché nella sua umanità si appropria del progresso intellettuale appena raggiunto dai suoi predecessori e lo sviluppa ulteriormente. Ma non per questo essa è piú saggia, perché la saggezza è una conquista del singolo, mediante il lavoro individuale effettuato su se stesso e l’esperienza acquisita nel corso di molte incarnazioni, e in una vita presente ben impiegata. È molto istruttivo sperimentare quanto possano essere ingenue o addirittura stolte persone superavvedute, e quanto poco savie siano delle creature splendidamente dotate! E come stanno le cose riguardo alla verità? Essa rimane un’aspirazione per l’umanità. Non l’abbiamo mai per intero. Quanta autoillusione, quanto accecamento si rovesciano su di essa anche quando crediamo di possederla completamente! Come viene ripetutamente fatta a pezzi da passione, sicurezza di sé, vanità e ambizione! Se essa vive invece come aspirazione, come anelito nell’anima, allora esiste in ogni caso una base sulla quale si può continuare a costruire, anche quando tutto sembra vacillare. Allora non tutto è perduto, non c’è da disperare. È però indispensabile che esista nell’uomo questo anelito come impulso – anche se per un certo tempo è stato soverchiato – come un impulso alla veracità. Quando si mente invece a sangue freddo, muovendo da chiara conoscenza dei fatti, allora, se una tale volontà interferisse coscientemente nella vita della comunità, sarebbe davvero illusorio sperare nella sua guarigione.
Ma questi problemi sono casi rari, e devono essere corroborati da fatti saldamente accertati per poter essere considerati tali. L’obiettività non deve mai essere offuscata da opinioni provocate dalla passione, da simpatia, né da dicerie costrittive ed eccitanti. Tutto ciò induce a conclusioni errate.
Che cosa si può fare allora quando una comunità, che è portatrice di un sacro impegno assunto di fronte alla storia universale, che ha da custodire e da promuovere un’opera senza la quale l’umanità è destinata al declino, se una tale comunità va a impigliarsi in problemi per lei insolubili? Essa vuole soddisfare all’impegno assegnatole dal destino, e ciò nonostante non è in grado di liberarsi da catene e da pesi che la ostacolano perché non è dato ai singoli che hanno voce in capitolo di poter vincere se stessi. I problemi non si risolvono con la cieca devozione. Allora, cosa si può fare?
Allora anche la comunità dovrebbe prendere coscientemente la decisione di vincere se stessa. Con chiarezza e buona volontà.
…Che cosa possiamo fare per salvare la nostra sostanza morale? Possiamo perdonare! Ognuno può perdonare ciò che gli spetta di perdonare. Possiamo dimenticare quanto merita di essere dimenticato, senza rimestare vecchi torti subiti. Possiamo tracciare un tratto di penna su tutte le vecchie storie che ci logorano e delle quali, se siamo giovani o siamo vissuti in disparte, non siamo neppure piú in grado di vedere il fondo.
Possiamo attenerci alle parole: è vero unicamente ciò che è fecondo. Dobbiamo tornare a poter collaborare, in buona armonia e senza escludere le persone che ci sono antipatiche, senza impedire la collaborazione ad alcuno che sia fedele alla causa e a Rudolf Steiner; non dobbiamo isolarci e barricarci davanti a coloro che cercano conoscenza spirituale come solo Rudolf Steiner può darla; non dobbiamo respingere le anime che cercano e a favore delle quali egli ha scelto coscientemente la via del martirio: per amore dell’umanità, di tutta l’umanità smarrita. In lui l’amore divenne conoscenza, e un giorno potrà diventarlo anche in noi, se imboccheremo quella via.

Marie Steiner

Estratto dal testo dell’Appello alla riconciliazione di Marie Steiner del 12.2.1942

 

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