Il
nome pixel deriva dalla contrazione dei termini inglesi pictorial
elements: elementi pittorici. La moderna tecnica elettronica e informatica
parla del pixel come di una “microarea puntiforme di immagine su uno schermo
a raggi catodici con colori ed intensità propri”.
A
parte le considerazioni scientifiche, sappiamo che sin dall’origine della
sua storia l’uomo ha sentito la necessità di cercare e trovare le
“microaree” capaci di formulare idealmente e di concretare visivamente
nella rappresentazione fisica i dati dell’immagine venutasi a formare sullo
schermo ispirativo presente nella sua interiorità animica e mentale.
L’immagine
creativa si forma su un ordito ideale posseduto dall’artista a livello
ispirativo. I fattori che possono indurre tale processo sono di natura
spirituale o materiale, a seconda che traggano origine da uno stato di
grazia sorgivo e autonomo, o che derivino invece da reazioni sensorie a
situazioni e visioni della realtà contingente nella quale l’artista
vive e opera. Sono pulsioni che formano il substrato, la base, su cui l’artista
colloca, in un sapiente gioco di assemblaggio musivo, gli elementi illustrativi,
scegliendoli, vagliandoli, cercando di realizzare l’adesione ottimale,
l’aderenza perfetta fra la percezione interiore e la sua riproduzione oggettiva,
per individuare, al di là della forma esteriore delle cose e degli
elementi, qualcosa di piú alto, sottile e indefinibile da fissare
in un modello espressivo. Quando tale ricerca procede sotto l’impulso spirituale,
essa produce opere che riescono a cogliere il soffio divino che presiede
all’ispirazione, in mancanza della quale la ricerca artistica tende all’artificio
concettuale, al procedimento intenzionale e tecnico, se pur raffinato nella
sua ideazione ed esecuzione. Si verifica allora la caduta nelle sperimentazioni
strumentali, nelle stilizzazioni calligrafiche, nell’esuberanza cromatica:
in una parola, nel manierismo. Fino all’aggressione, alla scomposizione
e allo smembramento della forma, tra i cui lacerti frugare alla ricerca
di irreperibili tesori espressivi.
Per
giungere invece a rendere quella luce riverberante e ineffabile che anima
l’arte permeata di afflato spirituale, una è la strada da percorrere:
operare l’affinamento e la sublimazione del proprio Io, intonare lo strumento
percettivo e interpretativo alla musica sorgiva di cui la sfera animica
dell’uomo risuona, eco e riflesso di piú alte armonie. Solo cosí
il prodotto artistico potrà rappresentare l’iridescente essenza
della luce priva di ombre che fu all’inizio dei tempi, che incessantemente
crea e ricrea, e che comporrà la sostanza terrestre affrancata dal
peso materico. Prima di tale felice evento, l’uomo deve lavorare con umiltà,
fatica e perseveranza alla realizzazione del grande mosaico immaginale
divino, contribuendo al processo creativo del mondo. Sfaccettando i tasselli
opachi della realtà terrestre per farne diamanti, porterà
nel seme della materia bruta e sorda i palpiti di una metamorfosi angelica,
perseguita e finalmente conquistata al termine dell’Opera del mondo.
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