L’Archetipo Anno IV n. 12, Ottobre 1999

ARTE

  L'IMMAGINE CREATIVA

Il nome pixel deriva dalla contrazione dei termini inglesi pictorial elements: elementi pittorici. La moderna tecnica elettronica e informatica parla del pixel come di una “microarea puntiforme di immagine su uno schermo a raggi catodici con colori ed intensità propri”.
A parte le considerazioni scientifiche, sappiamo che sin dall’origine della sua storia l’uomo ha sentito la necessità di cercare e trovare le “microaree” capaci di formulare idealmente e di concretare visivamente nella rappresentazione fisica i dati dell’immagine venutasi a formare sullo schermo ispirativo presente nella sua interiorità animica e mentale.
L’immagine creativa si forma su un ordito ideale posseduto dall’artista a livello ispirativo. I fattori che possono indurre tale processo sono di natura spirituale o materiale, a seconda che traggano origine da uno stato di grazia sorgivo e autonomo, o che derivino invece da reazioni sensorie a situazioni e visioni della realtà contingente nella quale l’artista vive e opera. Sono pulsioni che formano il substrato, la base, su cui l’artista colloca, in un sapiente gioco di assemblaggio musivo, gli elementi illustrativi, scegliendoli, vagliandoli, cercando di realizzare l’adesione ottimale, l’aderenza perfetta fra la percezione interiore e la sua riproduzione oggettiva, per individuare, al di là della forma esteriore delle cose e degli elementi, qualcosa di piú alto, sottile e indefinibile da fissare in un modello espressivo. Quando tale ricerca procede sotto l’impulso spirituale, essa produce opere che riescono a cogliere il soffio divino che presiede all’ispirazione, in mancanza della quale la ricerca artistica tende all’artificio concettuale, al procedimento intenzionale e tecnico, se pur raffinato nella sua ideazione ed esecuzione. Si verifica allora la caduta nelle sperimentazioni strumentali, nelle stilizzazioni calligrafiche, nell’esuberanza cromatica: in una parola, nel manierismo. Fino all’aggressione, alla scomposizione e allo smembramento della forma, tra i cui lacerti frugare alla ricerca di irreperibili tesori espressivi.
Per giungere invece a rendere quella luce riverberante e ineffabile che anima l’arte permeata di afflato spirituale, una è la strada da percorrere: operare l’affinamento e la sublimazione del proprio Io, intonare lo strumento percettivo e interpretativo alla musica sorgiva di cui la sfera animica dell’uomo risuona, eco e riflesso di piú alte armonie. Solo cosí il prodotto artistico potrà rappresentare l’iridescente essenza della luce priva di ombre che fu all’inizio dei tempi, che incessantemente crea e ricrea, e che comporrà la sostanza terrestre affrancata dal peso materico. Prima di tale felice evento, l’uomo deve lavorare con umiltà, fatica e perseveranza alla realizzazione del grande mosaico immaginale divino, contribuendo al processo creativo del mondo. Sfaccettando i tasselli opachi della realtà terrestre per farne diamanti, porterà nel seme della materia bruta e sorda i palpiti di una metamorfosi angelica, perseguita e finalmente conquistata al termine dell’Opera del mondo.

Arusa Bhagin

 

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