L’Archetipo Anno IV n. 11, Settembre 1999

NATURA

 
Nel corso di milioni di anni gli animali hanno elaborato ingegnosi meccanismi di difesa e di offesa, sia nella sfera anatomica sia in quella del comportamento. Uno di questi espedienti è il mimetismo, ottenuto sul corpo per mezzo di schemi cromatici, disegni, linee, bande, chiazze e bizzarre fantasie, che hanno lo scopo di sviare il predatore o, al contrario, di ingannare la preda. Oltre al colore, anche la forma contribuisce al mimetismo, realizzando camuffamenti che consentono ad alcune specie, dai pesci ai volatili ai rettili agli insetti, di assimilarsi perfettamente all’ambiente nel quale vivono. Diventano all’occorrenza, e in modo perfetto, ora pietra, ora foglia, ora tralcio, o ancora enfatizzano le loro anatomie gonfiandole, deformandole, straniandole con appendici e protesi, fino a eguagliare in toni e linee il modello cui intendono essere identici. Parlano da sole le immagini, in alto, della scorpena rossa che, per attirare verso di sé la preda e catturarla, simula con gli aculei dorsali un innocuo pesciolino, con tanto di occhio e piccola bocca, e del pesce farfalla, in basso, che ostenta nella coda un grande occhio per tenere lontani dalla vera testa i possibili aggressori.
La trasformazione e l’identificazione sono talvolta cosí stupefacenti da far ipotizzare un’intelligenza a monte impegnata a elaborare schemi e colori: benigna quando crea mimetismi utili alle creature che si difendono, maligna quando i camuffamenti favoriscono le creature divoratrici. Antichissimo concetto questo, postulato dallo zoroastrismo prima, e mutuato dal manicheismo poi, riguardante il dualismo coesistente e conflittuante dei princípi opposti del Bene e del Male. Dualismo che si estende, in una perenne contesa, a tutto l’ordine cosmico e naturale, al punto da suddividere minerali, piante, animali, esseri elementari, corpi celesti e fenomeni in ahuramazdici e ahrimanici, a seconda che sia la divinità celeste o l’entità infera a realizzare la propria ipòstasi nella materia, nelle creature o negli elementi.
Ipotesi questa che non può che suffragare la piú illuminante tesi che il Male, rappresentato dall’astuzia perversa di alcuni esseri viventi del regno animale, vegetale, elementare ecc., altro non sia che il male dell’uomo incorporato nel mondo che lo circonda, perché divenga specchio evidente dei suoi traviamenti animici, delle sue bestialità incontenute, e monito per una sua riabilitazione e redenzione. Pertanto, quando l’uomo avrà superato nella propria interiorità le pulsioni aberranti che lo dominano, la specie animale, vegetale, elementare o fenomenica che le oggettiva potrà finalmente estinguersi.

Leonida I. Elliot

 

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