Nel
corso di milioni di anni gli animali hanno elaborato ingegnosi meccanismi
di difesa e di offesa, sia nella sfera anatomica sia in quella del comportamento.
Uno di questi espedienti è il mimetismo, ottenuto sul corpo per
mezzo di schemi cromatici, disegni, linee, bande, chiazze e bizzarre fantasie,
che hanno lo scopo di sviare il predatore o, al contrario, di ingannare
la preda. Oltre al colore, anche la forma contribuisce al mimetismo, realizzando
camuffamenti che consentono ad alcune specie, dai pesci ai volatili ai
rettili agli insetti, di assimilarsi perfettamente all’ambiente nel quale
vivono. Diventano all’occorrenza, e in modo perfetto, ora pietra, ora foglia,
ora tralcio, o ancora enfatizzano le loro anatomie gonfiandole, deformandole,
straniandole con appendici e protesi, fino a eguagliare in toni e linee
il modello cui intendono essere identici. Parlano da sole le immagini,
in alto, della scorpena rossa che, per attirare verso di sé la preda
e catturarla, simula con gli aculei dorsali un innocuo pesciolino, con
tanto di occhio e piccola bocca, e del pesce farfalla, in basso, che ostenta
nella coda un grande occhio per tenere lontani dalla vera testa i possibili
aggressori.
La
trasformazione e l’identificazione sono talvolta cosí stupefacenti
da far ipotizzare un’intelligenza a monte impegnata a elaborare schemi
e colori: benigna quando crea mimetismi utili alle creature che si difendono,
maligna quando i camuffamenti favoriscono le creature divoratrici. Antichissimo
concetto questo, postulato dallo zoroastrismo prima, e mutuato dal manicheismo
poi, riguardante il dualismo coesistente e conflittuante dei princípi
opposti del Bene e del Male. Dualismo che si estende, in una perenne contesa,
a tutto l’ordine cosmico e naturale, al punto da suddividere minerali,
piante, animali, esseri elementari, corpi celesti e fenomeni in ahuramazdici
e ahrimanici, a seconda che sia la divinità celeste o l’entità
infera a realizzare la propria ipòstasi nella materia, nelle creature
o negli elementi.
Ipotesi
questa che non può che suffragare la piú illuminante tesi
che il Male, rappresentato dall’astuzia perversa di alcuni esseri viventi
del regno animale, vegetale, elementare ecc., altro non sia che il male
dell’uomo incorporato nel mondo che lo circonda,
perché divenga specchio evidente dei suoi traviamenti animici, delle
sue bestialità incontenute, e monito per una sua riabilitazione
e redenzione. Pertanto, quando l’uomo avrà superato nella propria
interiorità le pulsioni aberranti che lo dominano, la specie animale,
vegetale, elementare o fenomenica che le oggettiva potrà finalmente
estinguersi.
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