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I due amici avanzarono verso una cima sul
margine estremo del versante sud dell’altipiano. Il tempo era bello, ma
una foschia di umidità impediva la vista sul paesaggio e, in piú,
vi erano molte nuvole basse che salivano dalla pianura ad avvolgere tutto
in una specie di ovatta nebbiosa. Essendo una giornata feriale non vi era
praticamente nessuno: nemmeno coloro che, con l’estate, portano greggi
o mandrie a brucare le erbe di quota 1.600.
Quello dei due che abitava nelle vicinanze
non ricordava di aver mai notato l’altura che pareva esser stata preparata
appositamente da qualcuno o da qualcosa con quella forma e quelle caratteristiche.
Pensò che forse nelle sue visite precedenti non si era mai avvicinato
a quel luogo, percorrendo invece un sentiero piú in basso, in quanto
il rilievo si trovava vicino ad una casera nei pressi della quale stazionavano
animali al pascolo e forse qualche cane da guardia diffidente e mordace.
Sulla sommità del cocuzzolo stava
una pietra giallo-rosea squadrata, che non poteva esser stata portata là
da mani umane e tuttavia pareva quasi un altare di tempi antichissimi;
in prossimità, leggermente piú sotto, si trovava una pozza,
un abbeveratoio per le bestie, sicuramente artificiale perché altrimenti
la natura carsica del suolo avrebbe inghiottito ogni goccia d’acqua. L’altare
aveva la sagoma di un parallelepipedo, e le due facce verticali visibili
ai due amici mentre si avvicinavano sembravano dotate di immagini scolpite:
cosí non era, si trattava solo della conformazione della pietra.
La superficie superiore non era regolare ed aveva delle scanalature dovute,
probabilmente, all’azione di scavo dell’acqua piovana.
Decisero di fare un’offerta al genius
loci. Si rivolsero verso sud e uno dei due versò sul piano dell’altare
improvvisato una mezza bottiglia d’acqua, tenendola con la sinistra, rispettando
alla meglio e senza speciali applicazioni le indicazioni che il Professore
aveva dato a qualcuno di loro molto tempo prima: «Quando lo farete
vi volgerete verso sud e verserete il liquido a terra dalla ciotola che
reggerete con la sinistra, mentre nella destra terrete il lituo».
Prima, però, avevano posto sulla pietra del pane sminuzzato e gli
spicchi di due arance disposti a formare delle ruote solari. Si trattava
di parte del loro pranzo, provviste di cui anch’essi si erano nutriti:
invece i biscotti stantii che non avrebbero mai consumato li lasciarono
poi altrove, a disposizione degli uccelli.
L’offerta avvenne in modo semplice e senza
particolari formalità né invocazioni: si trattò, nella
sua essenzialità, di un gesto concreto. Di quella concretezza di
cui nel presente tempo necessita – e non di spirito astratto – il mondo
spirituale.
E a quel gesto concreto rispose la potenza
di un gesto concreto: si levò un vento che spinse giú dalla
pietra un pezzo di pane, come se una mano invisibile volesse imboccare
il suolo. Come se l’offerta fosse stata accettata ed ora fossero ospiti
graditi di quel luogo.
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