Nella lingua cinese l’ideogramma
che esprime il concetto di “crisi” è formato da due componenti:
uno di essi esprime il concetto di pericolo, il secondo quello di opportunità.
La malattia è certamente
l’unica vera e propria crisi che tutti gli uomini prima o poi hanno...
un’opportunità di sperimentare, ed è quindi un ignorato e
sottovalutato elemento di fraternità, che unisce gli uomini nell’esperienza
del “pericolo” per fornire loro un’opportunità. Di solito la patologia
si presenta, guarda caso, ...al momento opportuno, per cui se ne possono
cogliere dei frutti di vita a vari livelli. Uno di questi frutti consiste
nell’esperienza di una terapia, di un contatto profondo con un proprio
simile, di una relazione di aiuto, di un incontro con nuove situazioni,
sostanze, energie.
È soprattutto per fornire
agli uomini in terapia la possibilità di rientrare in consonanza
con le forze divino-spirituali della creazione che Rudolf Steiner forní
alla sua piú stretta collaboratrice in campo medico, la dottoressa
Ita Wegmann, le istruzioni e gli impulsi da trasferire in una attività
di pittura elaborata in senso terapeutico da offrire ai pazienti nella
sua clinica. La dottoressa Hauschka, sua collaboratrice, si occupò
di elaborare questa nuova terapia, che aveva ed ha i suoi punti di forza
nella rinnovata vita di sentimento che il paziente può vivere
come frutto di una patologia affrontata e non subita: è la “terapia”
attiva per eccellenza, poiché appunto si fonda sull’esperienza delle
possenti forze creatrici individuali, che lo affratellano nuovamente con
i regni attorno a lui, col creato.
Nacque dunque una nuova professione,
che fu prima approfondita in una lunga esperienza e poi insegnata dalla
dottoressa Hauschka in una scuola a Bad-Boll, che insegnava a curare con
le arti figurative. Non dobbiamo dimenticare che quando Rudolf Steiner,
nei primi anni del secolo, diede le indicazioni per la nascita di una terapia
con le arti figurative, già iniziava ad evidenziarsi la situazione
dell’umanità del nostro tempo: il prezzo da pagare alla civiltà
della macchina e l’individualismo sempre piú esasperato. Ciò
comporta sostanzialmente due dirette conseguenze:
1) patologie sempre piú
individualizzate e il dilagare del freddo intellettualismo;
2) una situazione che si può
definire solo come “perdita del centro”, che è appunto una precondizione
per l’instaurarsi di una patologia.
Per ridare all’uomo il centro,
l’equilibrio perduto, o sempre piú a rischio, e per riequilibrare
il pur indispensabile dominio del modo meccanico e artificiale di vita,
l’arte, non l’artificio, è stata individuata come dispensatrice
di forze di umanità e quindi di guarigione.
Se l’uomo è davvero il
tempio degli Dei, questo tempio è riscaldato solo alla presenza
di un entusiasmo, che dal greco En-Teos indica appunto la presenza
della forza divina nell’uomo, che s’accende ora attraverso uno sguardo
artistico dedito a se stesso e al mondo. Attraverso i gradini della meraviglia,
dell’interesse, dell’entusiasmo e dell’amore, l’uomo sale all’altare del
tempio e accende il fuoco interiore dei sacrificio, la dedita attenzione,
nella creazione artistica. Questo fuoco, questo calore, sono il vero contrappeso
al freddo ambiente che lo circonda e lo critica, lo giudica e lo soppesa
come una macchina che deve dare una prestazione.
In una società dove i
mezzi di comunicazione di massa hanno come obiettivo di far credere ad
ognuno che il proprio prodotto sia “esclusivo”, facendo leva sull’egoismo
e sull’individualismo, la conseguenza è paradossalmente la perdita
delle sfumature, delle differenze, la massificazione delle coscienze, con
immagini e desideri indotti uguali per tutti. La vera arte parte invece
dal presupposto che ogni uomo ha in sé le proprie immagini da sviluppare,
i propri talenti da mettere a frutto, i quali, altrettanto paradossalmente,
uniscono fraternamente gli uomini proprio sulla ricchezza di una diversità
che può vivere solo non escludendo i propri contemporanei, ma confrontandosi
e scambiando con essi le rispettive, uniche, immagini interiori, quelle
che nascono e diventano fruibili solo a contatto con i nostri simili.
La terapia artistica vede l’uomo
come un crogiolo di arti, e quando egli sta per ammalarsi l’opera artistica
ne risente ed assume sembianze, apparenze e colori facilmente individuabili
in dodici principali quadri patologici: assistiamo infatti ad una
totale o parziale incapacità a decidere sul da farsi, ad ascoltare
sé e gli altri, a creare, a rinunciare, a dare o donare; non si
riesce a ridere di sé, ci sono problemi a comunicare, a rispettare
ritmi, ad assumersi e a poi mantenere compiti e doveri, a metamorfosare
i propri comportamenti, cioè a cambiare; non c’è rispetto
per gli altri o per sé, c’è incapacità a perdonare,
a cogliere le sfumature della realtà che sole rendono possibile
la libertà, basata sulla conoscenza oggettiva. In una parola, l’uomo
è piú o meno incapace di amare e quindi si ammala: l’amore
per l’arte, o l’arte come amore, lo possono guarire.
Nella dura scuola della vita
l’arte suona l’ora della ...ricreazione, e se la malattia portata
da un’ora pesante del destino ci ha depressi e siamo fuori forma, cioè
con organi ingrossati o con emozioni smisurate, l’arte riarmonizza con
gioia le forme e le accomuna, ridando ulteriore motivo al mosaico della
nostra vita, un centro di attenzione prima sopito. L’arte figurativa
ci permette di rimediare alla “brutta figura” che abbiamo fatto nell’ora
di storia, la nostra, nella quale magari c’è stata sofferenza per
la competizione che la vita ci impone.
L’uomo che vede la sua immagine
uccisa e storpiata dalle migliaia di uccisioni e distorsioni diffuse dai
media, ritrova con l’arte la sua vera integra immagine, la sua bellezza,
quella che ci viene incontro nella grande arte e che risuona come forza
salvifica in questo “Spruch” del Calendario dell’anima di Rudolf
Steiner: « Se dal fondo dell’anima / lo Spirito si volge all’universo
/ e bellezza fluisce dagli spazi / allor si versa da remoti cieli / forza
di vita negli umani corpi / ed operando con potenza unisce / l’essenza
dello Spirito con l’uomo ».
La terapia artistica si svolge
in stretto contatto con il medico, di qualunque orientamento esso sia,
purché vero rappresentante dell’Arte Medica, non di una speciosissima
specialità atomistica. Il disegno riporta luce e chiarezza in stati
psicologici in cui l’uomo perde una… “linea” di condotta, una traccia di
logica e di buon senso. La pittura ridona colore e chiaroscuro a colui
che ha perduto il gusto e il senso delle sfumature nella propria giornata
e nella propria biografia. La scultura ridona solidità a chi non
riesce piú a plasmare le proprie azioni, a volere ciò che
davvero vuole: la creta è una concreta via verso la terra promessa.
Con l’esercizio delle diverse
arti, l’uomo viene condotto ad una attività alla quale può
prendere parte con tutte le sue funzioni, non per “esprimersi”, ma per
immergersi nel processo artistico che ha un’azione armonizzante sulle sue
unilateralità. Cosí egli può ristabilire la relazione
perduta fra la sua vita inferiore e il mondo esterno, con lo sviluppo dei
sensi e della percezione. Deve essere chiaro che la terapia non contribuisce,
come scopo principale, all’accertamento e al consolidamento della diagnosi,
bensí è parte integrante della direzione di cura del paziente.
La malattia è in questo caso osservata come una stasi nel corso
della vita umana, attraverso la quale può essere introdotta una
nuova comprensione della biografia individuale.
Questa può essere ricondotta
verso una giusta direzione per mezzo della terapia artistica. Il terapeuta
artistico ha campo di vasto lavoro, poiché egli avvicina malati
psichici e/o somatici, collaborando con il medico, l’euritmista, il fisioterapista,
sia in ospedali che in case di cura, cliniche psichiatriche, ospizi per
anziani, centri di recupero e sostegno per alcolisti e drogati, scuole
e centri di pedagogia terapeutica e con portatori di handicap di ogni età.
tratto da: G. De Luca La
terapia artistica steineriana,
in «Table Ronde», Miriadi edizioni, Mestre V, 2, 1995
Immagine: G. De Luca «Atmosfera
d’autunno»
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