Nonostante
il trascorrere dei secoli e l’imposizione, su un piano etico e sociale,
di un modello di civiltà totalmente antitetico a quello olimpico
della prisca romanità, non è forse sbagliato, per un italiano
che abbia a cuore il destino della propria nazione, riprendere contatto
con l’autentica tradizione spirituale romana.
È
chiaro che per un indagatore moderno la Via romana agli Dei è una
Via essenzialmente individuale: il Rito, asse magico che orientava il popolo
Romano in ogni aspetto della società e del suo cammino terrestre,
il cui fine fondamentale era l’irraggiare della obiettiva volontà
divina nella potenza umana, rivive indubbiamente oggi nell’opera meditativa
di coloro che pongono alla base della propria azione la “conoscenza di
sé” e l’identificazione del Nemico dell’uomo, due passi senz’altro
inscindibili in un retto cammino interiore.
Far
rinascere la romanità in noi è quindi il compito, consapevoli
che tale resurrezione comporta l’essere stranieri in patria, proprio perché
tale compito significa la negazione e, se possibile, il superamento – su
un piano operativo – di ogni dottrina e di ogni tradizione: come, non a
caso insegna lo Zen, il discepolo che risponde al Koan del maestro
è schiaffeggiato dal Maestro, proprio perché lo Zen, in quanto
dottrina, è l’errore. Perciò la trascrizione che vuole essere
la piú fedele e tradizionale possibile alla romanità finisce
inevitabilmente per essere ostaggio di un “bigotto” dogmatismo che rende
la tradizione un vuoto simulacro, per quanto rituale ed esoterica possa
essere.
L’azione
meditativa, lo slancio eroico in un mondo tenebroso assolutamente nemico
della liberazione umana, l’evocazione del Principio-Logos: la rigorosa
pratica della Scienza dello Spirito è oggi l’autentica veste della
Tradizione Solare. Il vero compito dell’asceta è perciò annientare
il meccanismo dialettico, sia esso tradizionale o antitradizionale, materialistico
o antimaterialistico, gnostico o antignostico.
La
Via autoconoscitiva, di cui sopra si è parlato, dà modo,
a quei pochi che ne hanno la saggezza e la forza, di restaurare l’essere
spirituale romano in interiore hominis, poiché questi pochi
sono gli autentici lottatori dei tempi attuali.
Non
è sufficiente la lotta umana, non è sufficiente il coraggio
umano per fronteggiare l’azione dei piú temibili Avversari dell’uomo,
quelle entità ostacolatrici che vogliano separare lo Spirito dalla
vita, il pensiero dall’azione. Coltivare in noi e cercare di vivificare
princípi romani come la lealtà, la saldezza, la carità,
in un’azione spirituale, l’amore per il rischio e per il pericolo, è
propiziare il fluire del Divino sulla Terra. La potenza universale della
spiritualità romana è senz’altro caratterizzata da quella
perfetta armonia tra il mondo uranico-celeste e quello terrestre che ha
ispirato tanto i pontefici quanto i legionari, i quali prima di ogni loro
impresa erano soliti esaminare ritualmente la volontà superiore
delle celesti Deità. Laddove vi sia quindi il tentativo di riconnettersi
a una spiritualità attivo-contemplativa, questa non può non
riconoscersi nella perennità ed universalità della tradizione
metafisica di Roma; non può non riconoscersi, soprattutto, in quella
visione anti-intellettualistica, nuda di schemi, priva di astrazioni teoretiche,
propria al Romano piú che a ogni altro popolo antico.
Era
infatti inconcepibile allo stile dell’uomo romano l’astratta separazione
scolastica tra pensiero e azione, cosí come quella tra comunità
spirituale e società civile, essendo l’idea imperiale di Roma la
manifestazione, su un piano temporale, dell’Eterno e dell’Assoluto; per
il Romano non vi era niente di piú morale che consacrare la propria
vita al Divino, aprendo cosí la strada a una realizzazione superumana
secondo un’ascesi eroica e spirituale, conforme a quella tradizione olimpica
e solare di cui, come s’è visto, Roma è stata forse la piú
perfetta incarnazione, proprio per quella capacità di sintesi tra
spirituale e temporale che l’ha contraddistinta.
Questo
carattere della Romanità non sfuggí a Rudolf Steiner se,
nel corso di una sua conferenza, cosí si espresse verso i prototipi
di Roma: «…Passando dalla cultura greca a quella romana, vediamo
i tipi della grande romanità come delle figure divine greche discese
dai loro piedistalli ed aggirarsi nella loro toga. Si vedono proprio!»
Sbaglierebbe
chi vedesse nell’impresa di conquista universale di Roma una mera esercitazione
brutale di attivismo materialistico; la conquista romana infatti, a differenza
di quanto avviene nel mondo odierno, non era affatto una violenta imposizione
di un modello culturale estraneo a quello del popolo conquistato, ma di
contro lasciava convivere una pluralità di culti e di religioni
che tutte certamente riflettevano – ognuna al proprio livello – la luce
trascendente del Vero Unico.
Quest’impulso
magico di potenza sovrannaturale che sigillò la civiltà romana
è stata da piú d’un indagatore moderno visto come l’emanazione
del Principio Sacro di Amor; non è casuale che proprio Massimo
Scaligero ha potuto vedere in alcuni ordini come i Fedeli d’Amore e i Templari
i piú degni continuatori spirituali dell’impresa eroica romana.
Impresa che oggi diviene di conquista interiore, in merito alla quale egli
cosí scriveva: «L’unica salvezza è – ripetiamo – nella
“conoscenza”, nell’autentica via metafisica, nella resurrezione dell’autentica
Sapienza tradizionale: perché essa soltanto dà il modo di
riprendere coscienza di sé e di identificare e combattere l’errore
alla sua origine. Qualcuno, in questi tempi, piú di una volta ha
avuto il coraggio di parlare di ciò, ma subito le forze dell’antitradizione
in veste “tradizionalista” si
sono mosse e hanno cercato di soffocarne la voce: nuovi scribi e nuovi
farisei hanno riaffermato il loro atteggiamento classicamente antimetafisico,
sotto l’etichetta della religiosità, e tale atteggiamento è
stato accompagnato dal solidale controcanto dialettico del mondo “borghese”,
ormai ossificato dalla sclerosi razionalistica. Ma se qualcuno ha osato
pronunciare nuovamente il Verbo della tradizione, fondare la Scienza dello
Spirito, evocare il principio, il Logos, pur non udito o compreso, ciò
forse vuol dire che i tempi sono maturi perché il passaggio da un
ciclo all’altro si compia sotto il segno di una schiera di nuovi eroi,
veramente capaci di conoscenza, veramente atti al combattimento».
Immagine: «L’aratro traccia il solco per la fondazione
di Roma»
Incisione di P.F. Tardieu su disegno di H. Gravelot
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