Accanto alla figura di San Francesco,
ecco disegnarsi uno dei piú soavi profili di donna: è quello
di Santa Chiara d’Assisi, la graziosissima contessina Scifi, che aveva
abbandonato lo sfarzo del paterno castello, per adorare Iddio nella severa
consuetudine di un monastero e seguire San Francesco nelle opere di carità
piú eccelse e nella piú sublime glorificazione di Nostro
Signore Gesú Cristo. Perciò fu colei che aprí la numerosa
ed eletta schiera delle Povere Dame o delle Clarisse, che costituirono
il secondo ordine Francescano.
Narra la leggenda che in una
grigia giornata d’inverno San Francesco si trovava con Santa Chiara lungo
uno stradale, poco lontano dalla borgata di Spello, in quel di Foligno.
Camminavano muti, con il cuore oppresso dallo squallore che li circondava.
Fu San Francesco a rompere il
silenzio: «Bisogna separarci sorella! Tu giungerai certamente verso
notte a San Gerolamo… io andrò solo, là dove Dio vorrà».
Sorella Chiara non proferí
parola; si inginocchiò per essere benedetta e riprese il cammino,
internandosi nei boschi che fiancheggiavano il monte Subasio. Il Santo
ristette qualche istante, poi se ne andò. Ella lo sentí allontanarsi:
allora, senza saper come, ritornò sui propri passi e lo raggiunse:
«Padre – gli disse – quando ci rivedremo?» Ed egli, posando
lo sguardo sul candido livore della neve, di recente caduta: «Quando
fioriranno le rose, sorella!» E si lasciarono.
Cominciava a cadere una pioggettina
fine fine che scioglieva la neve, rendendo il cammino difficile e fastidioso.
Qua e là qualche frullío d’ali, qualche pigolío, poi
lunghi silenzi, i silenzi che ha la foresta nelle cupe giornate di freddo.
La Santa procedeva a fatica,
mentre l’anima le si fasciava di profonda melanconia, sotto quel cielo
infinitamente grigio.
Ma ad un tratto un soave olezzo
di rose la fece fermare e, alzato lo sguardo, gettò un grido di
meraviglia: i ginepri del monte si erano tutti trasformati, per gentile
incanto divino, in superbi rosai in fiore. Tese le mani (le candide mani
tanto belle, quando eran congiunte nel fervore della preghiera) per toccarne
le vaghe corolle, quasi volesse accertarsi di non sognare. E non sognava:
rose dalle tinte piú lievi, graziose roselline di siepe e rose smaglianti
le sbocciavano intorno, l’avvolgevano nel loro profumo, si chinavano a
baciare la neve, palpitanti di vita e di grazia.
La piú bella pareva dicesse:
«Coglimi, che ti sono offerta da Dio!» Ma la Santa sembrava
esitare, come presa da vago timore. Infine la staccò, la baciò,
e fatta ardita, ne colse un’altra, un’altra ancora, e poi tante, tante,
e stringendole sulla croce che portava sul petto uscí di corsa dalla
boscaglia per raggiungere di nuovo il Santo.
Che disse egli mai di quel dono
divino? La leggenda non sa, ma afferma che da quel giorno Santa Chiara
si fece sempre piú vigile e severa, nell’adempimento della sua altissima
missione di carità e di fede, in cui San Francesco le fu guida e
maestro.
A. Milesi Di Girolamo,
Leggende cristiane, Ed. Ghirlanda, Milano 1932
|