«Il rodeo dei piloti per noia finisce
in tragedia»: cosí La Nazione di Firenze (7/5/2000, p. 3)
commenta il decesso di una sfortunata ventiquattrenne associato al ferimento
di altri tredici spettatori, travolti da una vettura impazzita, durante
una gara automobilistica illegale, alla periferia di Bologna; episodi analoghi
si segnalano a Milano, Cremona, Spoleto, Forlí. Il fenomeno appare
diffuso e richiama alla memoria i massi lanciati dai cavalcavia autostradali
o depositati su tracciati ferroviari, e le recenti aggressioni scatenate
da bande di minorenni ai danni di coetanei e barboni. I responsabili identificati
hanno dichiarato di aver agito spinti dalla noia, sindrome in espansione
a livelli pericolosi, caratterizzata da un’intensità evidentemente
ben piú grave dell’apatia momentanea che talvolta ci impigrisce.
Numerose le singole concause predisponenti, alcune delle quali piú
visibili: indebolimento dei valori tradizionali, improvviso e mal assorbito
benessere, disoccupazione ed emarginazione, degenerazione del meccanismo
pulsivo fondamentale sacrificio/appagamento per cui traguardi raggiunti
con eccessiva facilità risultano meno gratificanti o presto insoddisfacenti.
La sindrome è stata analizzata da Rudolf
Steiner, con la consueta lucidità(1):
«La noia compare quando l’anima sviluppa un desiderio, anela ad accogliere
impressioni e vi si abbandona, ma il desiderio non viene esaudito».
I presupposti di fatto non sono evidentemente eliminabili, poiché
l’esistenza stessa postula una ripetitività che ci espone a rischi
di assuefazione. E che il pericolo non sia trascurabile lo conferma l'Autore
dell’opera citata, quando riconosce appropriata la locuzione corrente “noia
mortale”(2) quale descrizione letterale
di un processo in cui una situazione psichica molto degenerata diventa
un veleno fisico potenzialmente fatale.
Alla domanda: «Da dove sorge la noia?»
Steiner risponde(3) premettendo che un’educazione
complicata espone maggiormente al rischio di annoiarsi, per cui, per esempio,
i contadini sono meno colpiti degli intellettuali, dal momento che, educati
nella semplicità della vita di campagna, possiedono un numero minore
di rappresentazioni in Filosofia della libertà(4)
si definisce “rappresentazione” «l’elemento nuovo che, a seguito
di una percezione, arricchisce il contenuto del nostro sé»
il che evidentemente non significa che i contadini siano meno intelligenti
(scarpe grosse e ...cervelli fini), non essendo la capacita di “intelligere”
direttamente deducibile dalla quantità di nozioni possedute; né
tanto meno autorizza a ritenere una persona sempre annoiata molto evoluta!
Il fondatore dell’Antroposofia evidenzia inoltre che ogni nostra rappresentazione
tende a conservare e sviluppare una sua autonoma vitalità(5).
Questo
dinamismo rappresentativo è riscontrabile anche nell’ambito della
moderna Psicanalisi, i cui metodi terapeutici, finalizzati ad elevare a
coscienza eventuali contenuti interiori potenzialmente nocivi finché
ignorati dal soggetto, oggettivamente postulano il riconoscimento di una
sia pur latente attività dei medesimi. Dunque, come la vitalità
del nostro organismo fisico richiede cibo adatto, cosí quella del
nostro mondo rappresentativo, a misura della sua entità, pretende
l’equivalente, cioè altre rappresentazioni affini(6):
quando non siamo in grado di provvedere, subentra fatalmente la noia. Coerente
e preziosa appare la terapia suggerita dal Dott. Steiner: la noia si vince
«rendendola impossibile con un progressivo sviluppo della vita animica»(7).
Le rappresentazioni presenti in noi, oltre alla loro vitalità, sono
portatrici di un contenuto specifico, la cui essenza è decisiva
ai fini della soluzione del problema; se è “ricca”, cioè
in grado di continuare a suscitare nel tempo il nostro interesse, sarà
in grado di riempire anche la nostra vita futura, consentendoci di impostare
una personale autodifesa nei confronti della noia: «Se non ci diamo
la pena di arricchire di contenuto le nostre rappresentazioni, dobbiamo
per forza patire la noia»(8). Un
patrimonio di rappresentazioni “povere”, quanto meno espressive di frammentari,
transitori, infecondi segmenti della realtà, ci rende indifesi,
mentre: «Col far rivivere nella propria interiorità quel che
è vero e buono in sé (9),
l’uomo si innalza al di sopra della semplice anima senziente»(10),
si eleva cioè oltre il livello animico sede naturale della sindrome
in oggetto. Ed è proprio in direzione di questo incessante arricchimento
che è orientata tutta la Scienza dello Spirito antroposofica, le
cui rivelazioni si esprimono in forme-pensiero apportatrici di alto contenuto
rappresentativo. Aiutiamoci con un esempio. La nostra vita sociale è
imperniata su tre settori portanti, definibili come economico, giuridico-statale,
spirituale, originalmente approcciati da R. Steiner, che suggerisce di
riconsiderarli, con finalità e limiti rigorosi, alla luce della
sua personale visione dell’organismo corporeo umano, configurato quale
struttura tripartita costituita dal sistema neuro-sensoriale, da quello
circolo-respiratorio e dal ricambio(11):
quale grandioso e fecondo impulso illuminante! La noia non va dunque subita
ma prevenuta, sviluppando intensamente la nostra vita animica sino alla
sua espressione piú alta: «Chiamiamo Anima Cosciente
ciò che di eterno risplende nell’anima»(12).
(1)R.
Steiner, Antroposofia-Psicosofia-Pneumatosofia, Ed. Antroposofica,
Milano 1991, p. 125
(2)op.cit.
p. 129
(3)op.cit.
p. 125
(4)R. Steiner, La
filosofia della libertà, Ed. Antroposofica, Milano 1966, p.
57
(5)op.cit.
nota(1), p. 127
(6)op.cit.
p. 134
(7)op.cit.
p. 126
(8)op.cit.
p. 129
(9)R. Steiner, Teosofia,
Ed. Antroposofica, Milano 1994, p. 36
(10)op.cit.
p. 32
(11)R. Steiner, I
punti essenziali della questione sociale, Ed. Antroposofica, Milano
1980, p. 45
(12)op.cit.
nota(9), p. 36
Immagine: Hermann Hugo,
«Seguendo il Bene, l’uomo s’innalza al di sopra del labirinto
della vita», Augusta 1622
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