Henry-Charles Puech, probabilmente
il maggiore studioso di questo secolo di gnosticismo e manicheismo, in
un suo pregevole saggio1 non tradotto ancora
in italiano, svolge una interessantissima comparazione fra la concezione
del tempo classica, quella cristiana ed infine quella gnostica. Egli immaginativamente
paragona la concezione greca ad una linea circolare, che ritorna
continuamente su stessa, la concezione cristiana ad una linea dritta,
con un inizio, la Creazione, ed una fine, la Parusia, e la concezione gnostica
ad una linea spezzata.
Cominciando col citare Platone2
(2 Timeo), che vede il tempo come immagine mobile dell’immobile eternità,
che la imita e si dispiega in cerchi, Puech sviluppa con dovizia di argomentazioni
ed esempi l’idea classica di un tempo “immobile”. Una pura ripetizione
di cicli continuamente riproponentesi, sempre uguali a se stessi, concezione
decisamente affine a quell’“eterno ritorno” che, quale patrimonio peculiare
delle cosmogonie orientali, penetra, soprattutto agli inizi dei XVIII secolo,
nella cultura occidentale, influenzandola grandemente e rifulgendo particolarmente
nel pensiero del piú “inattuale” dei filosofi contemporanei: Friederich
Nietzsche. È un mondo luminoso, fatto di ordine ed armonia, di cui
gli ordinamenti umani non sono che pallide copie, degradazioni, o, al piú,
imperfette emulazioni.
A questa concezione se ne
contrappone un’altra: quella che vede nella venuta del Cristo sulla Terra
un evento unico ed irripetibile: tutto è preordinato a questo avvenimento,
e tutto vi si riconnette. Il mondo da allora non può essere uguale
a prima. Il Dio Creatore ha tutto organizzato e guida con mani possenti
l’umanità verso le sue sublimi mete. Lo sviluppo da verticale diventa
orizzontale: una linea retta che procede in avanti. Questa concezione viene
vigorosamente sostenuta da Ireneo e Agostino, che in una sua notissima
opera, la De civitate Dei fonda una vera e propria teologia della
storia, nel quarto secolo. Qui prende corpo l’idea di un cristianesimo
come momento centrale dell’evoluzione, e quindi si concepisce il mondo
(con la storia e le sue date) diviso in due parti distinte: prima e dopo
Cristo.
Ma torniamo ai primi secoli
cristiani. Origene, il maestro di Alessandria, nella sua polemica contro
il rappresentante del vecchio mondo ellenico3,
sostiene la profonda divergenza fra la concezione cristiana e quella classica,
per la quale Dio applicherebbe la sua attenzione «solo agli spazi
sopralunari», disinteressandosi delle vicende terrene. Tuttavia,
lo stesso Origene viene influenzato dalla concezione ellenica ed anche
per questo verrà considerato poi eretico dalla Chiesa ufficiale,
quando immaginerà un ritorno ciclico, dopo lunghissimo tempo ed
in una nuova creazione, di un mondo razionale che comprenda ed in sostanza
elimini anche il Male, liberandolo4. In
questo maestro, si vede chiaramente il tentativo di conciliare la nuova
concezione cristiana del tempo come rettilineo, irreversibile e progressivo,
con le concezioni filosofiche della Grecia, con un netto influsso alessandrino.
E qui, giustamente Puech sottolinea come il risultato di questi sforzi
porti a concezioni non razionali, ma mitiche. Citando ancora Origene in
Joh. X 18: «È dunque necessario pensare che le realtà
storiche sono figure di altre realtà storiche e le cose corporali
di altre cose corporali, ma le cose corporali sono figure di spirituali
e le storiche di intelligibili».
D’altra parte, occorre porre
evidente attenzione a quello che era l’effettivo modo di pensare di quei
secoli e che è molto distante dal nostro, soprattutto per quanto
attiene a ciò che attualmente potrebbe essere definito come “Antropologia
religiosa”. Nei primi secoli cristiani, nella Gnosi influenzata dal medio
e neo-Platonismo come nella Patristica, l’uomo veniva indagato nelle sue
tre parti costitutive: quella fisica, fatta di carne (Sarx), quella animica
(Psiche), risultante dall’incontro dello spirituale nel fisico, ed infine
quella spirituale propriamente detta (Pneuma), di origine e sostanza eminentemente
divina, che formava il proprio sé spirituale; l’“lo vivente” dei
manichei, l’“Uomo interiore” degli Atti Apocrifi di Andrea (del tutto simile,
peraltro, all’“Uomo interiore” paolino). Del resto, la stessa concezione
attualmente dominante, che vuole l’individuo formato di anima e corpo,
è stata proclamata ufficialmente dalla stessa Chiesa cattolica dogma,
e quindi indiscutibile a meno di anatema, solo a partire dal discusso terzo
Concilio di Costantinopoli (869) nelle tesi contro Fozio.
E da qui possiamo prendere
le mosse per comprendere la posizione degli gnostici sulla concezione del
tempo, che Puech definisce come «una linea spezzata». A questo
proposito, occorrerà brevemente ricordare come per gli gnostici
questo mondo materiale, eminentemente dominato dalla durata, dal
trascorrere, dal divenire di forme imperfette, dominato quindi dall’esistenza
e dalla lotta per questa, non possa essere considerato altro che il prodotto
di un essere malvagio o ignorante, se pure molto potente: il Dio dell’Antico
Testamento è per loro l’Arconte, il creatore di questo mondo malvagio5.
Di conseguenza, la generazione fisica, in sé considerata, è
una ripetizione del Male: un fornire «pascolo alla Morte» cosí
come viene poderosamente affermato da Cassiano6.
L’epitumia,
il desiderio sessuale, è quindi condannato perché è
rivolto al fine della generazione di altri esseri condannati ai tormenti
di questo inferno che è la Terra, opera del Demonio.
Una posizione ancora piú
marcata, in senso dualistico, è quella dei Manichei*,
che ne fanno un principio antitetico al Bene, ricalcando anche nella terminologia
e nei nomi la dottrina di Zaratustra. La venuta del Cristo Gesú,
il Figlio dell’Uomo (espressione presente sin dall’Antico Testamento per
designare qualcosa di molto simile ad un Uomo archetipico, una figura perfetta)
è il decisivo intervento del Divino nell’Umano, venuto a riscattare
la Terra. Egli si compenetra volontariamente con il corrotto e corruttore
mondo della materia, ne soffre dolore ed angoscia (lo Jesus Patibilis
della dottrina del Maestro di Babilonia) con il fine di liberare la Luce
che ivi è imprigionata, agendo come un lievito per essa,
secondo l’espressione manichea. In questo senso va anche la Tradizione
gnostica del Papiro di Ossirinco: «Alza la pietra / e là mi
troverai / Spacca il legno / ed ivi Io Sono»7.
L’ordine perfetto del piú
antico e luminoso pensiero greco classico però, nelle concezioni
filosofiche piú tarde, quelle ormai coeve al Cristianesimo, diventa
incatenante per gli uomini; le stelle sono obbligate a girare nella
loro orbita: le stagioni si susseguono tutte uguali, nessuna libertà
è loro possibile; e siccome era diffusissima la convinzione che
gli astri influenzassero decisamente le sorti degli uomini, cosí
il Destino, inflitto dalle stelle agli uomini, costringe implacabilmente
all’Heimarméne, al Fatum, a soggiacere
in definitiva ad una condizione di sofferenza ed angoscia non scelta, subita
e sofferta. Un fatalismo talora disincantato, talaltra disperato: è
forse l’inizio di un pessimismo sull’esistenza che troverà nelle
concezioni gnostiche uno sbocco naturale. Qui il tempo inteso come ripetizione
della perfetta Ogdoade divina su questa Terra è dunque illusorio,
in quanto patetico tentativo di imitazione della perfezione da parte degli
Arconti ignoranti. La perfezione dei movimenti degli astri quindi, ben
lungi dall’essere ammirata dagli gnostici, è l’espressione piú
evidente di una sorta di meccanicismo universale: «Il firmamento,
i corpi celesti, particolarmente i pianeti che presiedono al Destino, alla
Fatalità, sono esseri malvagi ove dimorano entità inferiori
che hanno forme bestiali: sono gli Arconti ed i loro Angeli»8.
L’Universo da divino diviene
diabolico: l’uomo vi è scaraventato come in una prigione. In questo
senso, la venuta, in un certo momento del tempo, della superiore entità
del Cristo Gesú viene a cambiare radicalmente il suo corso fino
ad allora immutabile, a sconvolgere l’Heimarméne e ad imprimervi
una svolta radicale. La Necessità è spezzata, secondo il
valentiniano Teodoto9, dall’apparire di
un astro straniero (ricordiamo che gli astri, secondo le concezioni antiche,
determinavano il corso della vita degli uomini), che distrugge l’antico
ordine del Cosmo, brillando di una luce nuova che non è di questo
mondo e sostituendo alla Fatalità la Provvidenza.
Questa concezione, che fonda
la propria esistenza su un evento assoluto ed assolutamente gratuito, concepisce
quindi la storia non come il regno della necessità ma come il regno
della assoluta libertà: di conseguenza la storia non serve a niente,
non può essere previsto nulla, perché nulla è scontato,
ormai. Il corso degli eventi non è piú scritto, perché
al Destino può sostituirsi il miracolo della volontà divina.
Rimane la promessa della venuta finale del Cristo. Ma attenzione! Non è
detto che la Terra si salverà. Non è inevitabile la definitiva
vittoria del Bene sul Male, per quanto riguarda i destini di tutti
gli uomini. La possibilità di una catastrofica caduta nella
materia può impedire all’umanità, o ad una parte consistente
di essa, la definitiva salvezza.
Facciamo ora un vertiginoso
salto in avanti. Quale riflessione, ai tempi nostri, si può ricavare
da queste antiche concezioni sul tempo? Cosa rimane di loro? Praticamente
nulla se ci fermiamo alla esteriorità delle apparenze discorsive,
moltissimo se vogliamo riconoscere la realtà dei suoi contenuti.
Contenuti che, essendo di natura religiosa e non culturale, hanno finito
per permeare non solo i dibattiti filosofici ma i comportamenti sociali,
le attitudini di pensiero e anche le concezioni politiche. Già prima
accennavo all’agostiniano afflato della Civitate Dei: credo che
possiamo accostare, sia pure arditamente, la fideistica attesa di oltre
un secolo di positivismo, tradottosi nella mistica speranza nelle “magnifiche
sorti progressive” “inevitabili”, perché scritte “scientificamente”
nella Storia, con la millenaria aspettativa della Parusia, intesa
appunto in senso storico agostiniano. D’altro lato, la concezione di un
passato comunque reviviscente, di una specie di “eterno ritorno” della
Storia, sia pure dispiegantesi in apparenze diverse, è all’origine
non solo delle arcinote teorie vichiane10,
e del già citato Nietzsche, ma è anche la ragione fondante
di quella difficoltà ad accettare il nuovo che ha costituito la
base di ogni conservatorismo. In altri casi poi il concetto di un ordinamento
luminoso originario, progressivamente corrompentesi, è stato il
presupposto di quel tradizionalismo “mistico” (Spengler, o, piú
recentemente, Evola), vagheggiante il recupero di quanto residua da una
incomparabilmente bella e perduta “Età dell’Oro”.
Fatica ad affermarsi un
terzo modello culturale e comportamentale di valori. Un modello di pensiero
che consideri il Tempo (e la Storia), come possibilità interamente
affidate alla libertà dell’Uomo, un pensiero che, volendo
sempre parlare per immagini, concepisca il tempo come una spirale, ma una
spirale a tre dimensioni, una spirale in evoluzione: che sia realmente
fondato su quel senso etico profondamente cristiano che pone le basi della
socialità nel riconoscimento di valori a-temporali e proprio per
questo intemporali, che non misconosce l’evoluzione, perché
esso stesso è l’evoluzione. In conclusione, vi è
dunque ora la possibilità dell’affermazione di un pensiero
che riconosca come evidente la necessità di una libertà
veramente assoluta, creativa, fondata sull’atto piú libero di tutti:
il Pensiero-Logos, il pensiero d’Amore. E si ricomincia dal principio:
«In principio era il Verbo».
1 H.C. Puech, En quête
de la Gnose, Gallimard, Parigi
2Platone, Timeo
3 Origene, C.
Celso
4 Origene, De
principiis
5 Tertulliano,
Contro Marcione
6 L. Cirillo,
L’Uomo interiore degli Atti apocrifi di Andrea e il nous della
visione di Mani
7J. Jeremias,
Gli Agrapha di Gesú, «Papiro di Ossirinco», Ed.
Paideia, Brescia
8 H.C. Puech, op.
cit.
9 Excerpta
ex Theodoto
10 G.B. Vico, La
Scienza Nuova, «Natura delle cose altro non è che il nascimento
di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali,
indi tali e non altre nascon le cose».
* Per una concezione del manicheismo alla luce della
Scienza dello Spirito v. R. Steiner, I Manichei, Ed. Antroposofica, Milano
1995 [n.d.r].
Immagine: Tempo cosmico —
Lambert de Saint-Omer, «De anno mundano», dal Liber Floridus,
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