Il cosmo vive di dualità.
Da quella suprema, che vede confrontarsi Bene e Male, discendono altre
di cui si animano, in vari modi e forme, le realtà dei mondi. Dinamismo
che agisce in attrazione e repulsione, contiguità e lontananza,
affinità e diversità, separazione e promiscuità. Attraverso
l’opposizione e interazione di tali forze si perpetua l’ordine equilibrato
e perfetto, il fluire incessante delle cose create. Nella dimensione terrestre
è l’alternarsi di luce e tenebra, armonia e caos, amore e ripudio,
caldo e freddo, estate e inverno. Le stagioni, appunto. I due emisferi,
australe e boreale, le vivono in maniera antitetica. Mentre qui da noi
la canicola infuria, e stemperandosi gradatamente produce l’ininterrotto
giorno dell’estate artica, dall’altra parte del globo, passata la linea
equatoriale, l’inverno varia dai calori costanti delle regioni tropicali
alla notte buia e gelida del continente antartico, il Polo Sud. Qui la
temperatura scende fino a -50° e turbini feroci di vento gelido spazzano
la banchisa serrata in una morsa di ghiaccio. Le rare specie di flora sono
un lontano ricordo e le altrettanto rarefatte forme di fauna hanno da tempo
migrato verso le piú miti coste del Sud Africa, del Sud America
e dell’Australia. Condizioni climatiche proibitive scoraggiano qualunque
presenza di vita sia animale sia vegetale. Cosí almeno si è
ritenuto fino a tempi recenti.
Poi alcuni studiosi no limits
hanno fatto una strabiliante scoperta. Rimanendo sul continente antartico
in pieno inverno, hanno potuto rilevare che il pinguino imperatore, vero
pretoriano rispetto ad altri rappresentanti della sua specie, sfidando
vento e gelo resta sui ghiacci polari. Attivando chissà quali occulti
meccanismi di adattamento e sfruttando il suo prodigioso sistema circolatorio
termoregolatore, il pinguino imperatore, che può superare il metro
di altezza e raggiungere il peso di 30-40 kg, non solo rimane a lottare
contro l’inverno antartico, ma, unico animale a poterlo fare, nidifica
e cova in tale periodo. In numerose colonie gremisce il pack rappreso dal
gelo e anima uno dei fenomeni più straordinari di arte della sopravvivenza
che mai specie animale abbia escogitato e con successo praticato. Dopo
aver deposto l’uovo, la femmina migra verso le zone di pastura dell’oceano
temperato. Tornerà dopo circa tre mesi. Il maschio nel frattempo
cova l’uovo sostenendolo sulle robuste zampe palmate e ricoprendolo con
la parte inferiore dell’addome, mantenendo in tal modo caldo l’embrione.
Se l’uovo si schiude prima del ritorno della femmina con la provviste di
cibo, il maschio, che ha digiunato per il lungo periodo dell’incubazione,
alimenta il piccolo nato con una secrezione ricavata dalla propria gola.
Ma a parte queste manifestazioni
di amore paterno spinto a un totale sacrificio, come può il pinguino
imperatore superare l’estremo rigore di una regione della terra tanto inospitale?
Gli scienziati che si sono dedicati all’osservazione del continente antartico
nel tenebrore e gelo del suo interminabile inverno, hanno potuto assistere
alla scaltra ed efficace liturgia collettiva messa in atto da questi animali
al fine di neutralizzare l’assedio del blizzard e i morsi feroci delle
sue raffiche. La colonia dei maschi alla cova si chiude in una compatta
formazione circolare a piú file, una vera falange dinamica che si
muove a spirale dall’esterno verso il suo interno e viceversa. La fila
esterna, quella piú esposta al vento ghiacciato, scala ripiegando
verso il centro, dove si ritempra, e viene rimpiazzata dalla fila che le
sta dietro e cosí via. Una ferrea disciplina e la cadenza simmetrica
di tempi e movimenti ispirate da un invisibile comando naturale fanno sí
che il pinguino imperatore riesca a sopravvivere all’insostenibile inverno
antartico perpetuando la propria specie. Tra le altre sue virtú,
questo antico uccello che ha optato per la vita acquatico-terrestre annovera
la monogamia, la fedeltà al partner e l’attaccamento alla sua patria
glaciale, tanto che nidifica sempre nello stesso luogo. Si conforma cioè
in pieno al codice naturale e costituisce quindi un modello esemplare.
Immaginiamo un’improvvisa, imprevedibile
aberrazione nel comportamento del pinguino imperatore: la spirale alternante
si arresta, qualche individuo, preso da raptus egoico, decide di non scalare
piú verso l’esterno per dare il cambio alla fila piú esposta,
ma di restare in forma definitiva nel tepore del centro protetto. Quelli
lí fuori, che si arrangino, intanto lui si gode i benefíci
del comfort. Ottica furba, ma limitata. A breve scadenza l’opzione utilitaristica
appare vincente, ma alla lunga, cadute le file maggiormente esposte al
blizzard, tocca a quelle che si erano riparate dietro illusorie strategie
opportunistiche subire il vento che morde, tormenta, uccide. Inutilmente
si tenta di sostituire i caduti con mercenari richiamati da lontane banchise
con lusinghe e blandizie. Quando anche questi extracomunitari del pack
cadranno vittima del gelo, sarà la decimazione per tutti, poiché
non vi saranno piú rimpiazzi.
Ma ciò ai pinguini non
accadrà mai, poiché aderiscono totalmente al dettame naturale.
Nella sua “parata di cova” il pinguino imperatore pratica due delle tre
condizioni necessarie a costituire una società armoniosa e sana:
la fraternità, che nel suo caso è solidarietà di gruppo,
e l’eguaglianza, vale a dire la parità di funzioni e vantaggi nella
strategia di sopravvivenza. Gli manca naturalmente la libertà: è
costretto infatti ad assecondare le regole comportamentali volute da un
ordine superiore in vista di un suo processo evolutivo animico. Adeguandosi
a tale progetto, il pinguino si salva: non inventa, non crea., ma sopravvive.
L’uomo invece può godere della terza facoltà, quella della
libertà, carta decisiva per giocare la partita dell’autorealizzazione.
Egli può passare dalla condizione di oggetto a quella di soggetto
protagonista nel disegno divino che lo riguarda. Libertà la sua
che è sí chiave di accesso a tale coscienza di priorità
e di partecipazione ai misteri superiori della creazione, ma che costituisce
allo stesso tempo il varco sottile attraverso cui il Male si insinua nella
sua anima, deviandola dal compimento del progetto trascendente. Ecco allora
che l’uomo, soggiacendo all’abuso della libertà, rompe il patto
di solidarietà ed eguaglianza che intrattiene con gli altri individui
e giunge alla sopraffazione e all’arbitrio. Non solo dimentica quindi la
relazione che lo lega a ciascun membro del consesso sociale, ma piega gli
altri ai propri fini con metodi discriminanti, arrivando a ritenere che
il suo comportamento sia giustificato e che egli meriti onori e privilegi
in quanto superiore. Dimentica cosí che il proprio successo, la
fortuna e la ricchezza, la sua stessa creatività, sono dovute al
contributo altrui e alle facoltà accordategli dalle Gerarchie superiori.
Egli perviene a negare l’avvicendamento al potere, istituzionalizza la
propria supremazia, la rende intoccabile e inalienabile, persino la divinizza.
E in questa sua cecità non calcola e non percepisce quanti si sacrificano
per lui, quante file si immolano per proteggerlo dal freddo glaciale delle
difficoltà esistenziali e portarlo al caldo confortevole della riuscita
sociale.
Oltre che condannabile moralmente,
questa degenerazione nei rapporti interpersonali impoverisce nel tempo
culturalmente e qualitativamente il tessuto umano che compone una comunità.
Mancando gli scambi tra gli individui e i comparti, cadono gli stimoli
competitivi, le linfe creative si assottigliano. Impedendo la libera migrazione
da un ambito a un altro, negando persino l’accesso ai meccanismi conoscitivi,
vengono condannati a un limbo di non-esistenza talenti preziosi. Genialità
sorgive, risorse intellettuali ed espressive, vengono in tal modo relegate
nei ghetti di una clandestinità culturale e operativa. Ed è
proprio qui, da tali occulti ripudi, da queste mancate valorizzazioni delle
potenzialità individuali, che la collettività distilla i
suoi veleni di sedizione e rivolta, le pulsioni centrifughe delle sue tante
secessioni. Poiché quello cui l’uomo realmente aspira non è
l’antico panem et circenses dell’edonismo di massa, e neanche il
piú recente pane e lavoro delle istanze materialistiche. L’uomo
vuole realizzare lo sviluppo del proprio Io interiore, e per questo chiede
gli strumenti e le libertà per poterlo attuare con dignità
e prospettive di riuscita.
Cosí ci appare lo scenario
sociale obbediente alla legge biologica della forza prevalente: la parte
dotata di facoltà psico-fisiche superiori trae vantaggio da queste
sue doti native per imporsi alla parte più debole. Arduo risolvere
una simile condizione di disparità, poiché vi saranno sempre
differenze di costituzione, che a loro volta origineranno articolate e
differenziate collocazioni degli individui in seno alle comunità,
giustificheranno le gradualità gerarchiche, le prevalenze e le subordinazioni.
Ciò è nell’ordine che vuole molteplicità e multiformità
sia biologica sia animica. Pertanto la soluzione del secolare dissidio
che lacera le società umane non risiede nell’abolizione delle classi
e meno che mai nel voler imporre per codici e decaloghi la bontà
ai forti e la rassegnazione ai deboli. Valgono a rendere accettabili, dignitosi
e profittevoli i rapporti tra individui, l’aderenza senza riserve alla
legge morale e la conoscenza dei meccanismi del karma. Meccanismi che non
vanno intesi come condanna espiatoria per chi ne subisce il gravame negativo,
o come premio dall’alto per coloro che nascono sotto la buona stella. Al
contrario, il karma accorda facoltà di espiazione da un lato e obblighi
di abnegazione dall’altro, per cui, tanto è l’impegno di chi deve
smaltire il peso di colpe antecedenti, quanta è la dedizione richiesta
a chi viene toccato da una sorte benevola. Anzi, forse i fortunati e privilegiati
dal destino hanno un carico maggiore di responsabilità verso chi
subisce un karma negativo.
I pinguini, creature sagge,
si perpetuano perché aderiscono totalmente alla legge naturale,
praticando senza remore le virtù della solidarietà e dell’alternanza.
Gli uomini, che in più di loro hanno la libertà di scegliere,
dono supremo, ancora stentano a capire che la virtú conviene. Come
dice il Maestro: «Lunghe e faticose sono le vie della fraternità
e della socialità: esse non passano attraverso bruti fatti, o esteriori
provvedimenti, o meccaniche sistemazioni della cultura e della società,
che finiscono con l’uccidere insieme con l’elemento individuale la sostanza
etica dell’uomo: bensí attraverso la lotta del pensiero per il conseguimento
della sua realtà, che è realtà spirituale, capace
di recare il sovrasensibile che domina la vita, nella vita. Ma tale possibilità
non può essere il conseguimento della mera intelligenza umana, bensí
di una saggezza che ravvivi tale intelligenza»1.
Occorre pertanto capire che non esiste salvezza individuale, che ogni singolo
essere è importante e che ogni défaillance rappresenta una
sconfitta per l’intera civiltà. Tutto nel cosmo è vicendevole
aiuto, soccorrevole interazione: tutte le cose create continuamente si
sacrificano per consentire l’evoluzione degli elementi ad esse contigui.
«Ama il prossimo tuo» insegnava il Cristo, indicandoci la virtú
proficua, la dedizione che salva tanto il destinatario del Bene quanto,
e soprattutto, chi il Bene lo compie.
1M.
Scaligero, Il marxismo accusa il mondo, Tilopa, Roma 1964
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