«Non chiedete di conoscere ciò che non
sapete finché non avrete messo in pratica ciò che sapete».
«Per ogni passo innanzi che cerchi di fare nella
conoscenza delle verità occulte, devi al tempo stesso fare tre passi
nel perfezionamento del tuo carattere verso il bene».
R. Steiner, L’Iniziazione
Coraggio, conoscenza, purezza
di cuore
Galahad, di Sir Joseph Noel Paton
(Dunfermline, Scozia, 1821-1901)
Londra, British Museum
L’esperienza spirituale
è un po’ come la follia, quella vera, non quella narcisistica o
recitata. Essa rompe con la gabbia degli schemi della razionalità
in cui l’uomo si sente prigioniero ma anche sicuro: gabbia dorata nella
quale esorcizza l’ignoto che lo intimorisce. Non occorre finire in una
sorta di delirio onirico: è sufficiente che il quadro generale della
realtà ordinaria esca lievemente dalla prevista connessione tra
i suoi elementi e le percezioni ordinarie acquistino una profondità
che si aggiunga come una dimensione nuova. Questa follia va affrontata
senza paura, senza cercare di razionalizzarla, bensí dandole il
tempo di rivelare la sua essenza, la sua forma e i suoi contorni, il suo
ambiente. Non bisogna abbandonarsi ad essa, per quanto pura essa sia, saltando
la testa: però la testa va superata. Il superamento va concepito
come l’ascesa di un gradino necessario, ma sul quale non si può
segnare il passo eternamente. È necessario essere disponibili all’esperienza
per averla: cioè, essere vuoti. La mente ed il cuore devono essere
vuoti del senso di sé come l’orecchio che consente di ascoltare
perché è cavo. Solo il vuoto può essere riempito:
se si è pieni di sé vi è già un contenuto che
repelle ciò che vuole penetrare in noi, venga da un altro essere
umano, venga dal Mondo Spirituale.
Non è detto che l’esperienza spirituale debba necessariamente
presentarsi in forma d’immagine: è possibile che essa di manifesti
come un pieno di consapevolezza, locuzione che vuole indicare qualcosa
che si coglie e si sa che c’è, cos’è e che ha quelle
ben determinate caratteristiche, senza per questo che vi sia alterazione
allucinatoria della percezione ordinaria. Piuttosto la percezione ordinaria
subisce una dilatazione1, qualcosa si aggiunge
ad essa e l’accompagna. Lo spirito è già qui, non va creata
una realtà spirituale separata dando vita all’ennesimo dualismo2.
E in effetti, anche gli esercizi sembrano indicare questa direzione quando
il loro risultato è un tendere ad essere piú presenti, piú
attenti, piú ricettivi nella realtà ordinaria. E, in fondo,
anche la consueta rappresentazione del mondo è un’immagine, un’immagine
di pensiero; un’esperienza spirituale che prendesse le fattezze del mondo
esteriore (esteriore?: esteriore/interiore) non concederebbe nulla alla
personalità. L’esperienza spirituale non sta fuori della nostra
immediata percezione: sia essa percezione del mondo esteriore, sia essa
percezione del mondo interiore: il grave pericolo è di supporre
una realtà – ulteriore pensiero – invece di percepirla.
Riprendendo il discorso dianzi fatto, sembra esservi una sempre maggiore
coincidenza tra il mondo esteriore ed il mondo interiore, qualora si sia
capaci di oggettività. Questo legame cosí stretto porta al
superamento di un tipo di chiaroveggenza antica, fatta di contrapposizione
tra soggetto ed oggetto. L’esperienza attuale ci riporta al fatto che il
Cristo si è unito intimamente alla Terra e ciò si vede sempre
piú. L’esperienza del mondo fisico può divenire esperienza
spirituale3. I fatti fisici non sono piú
contrapposti ma divengono un processo, un’immagine, un linguaggio da leggere
e conoscere. Ora si vive un momento in cui lo spirito preme da ogni parte
e può darsi che si riveli finanche in modi irregolari che farebbero
storcere il naso a un guardiano dell’ortodossia tradizionale. Ciò
dipenderà dal livello di coscienza delle persone, comunque non è
possibile fare troppo gli schizzinosi4:
al contrario bisogna essere desti al massimo grado, non snobbare o sottovalutare
nulla e osservare con attenzione e prendere in considerazione anche le
manifestazioni irregolari. I contenuti potranno essere errati e i mezzi
inadeguati, ma è il fenomeno stesso che importa5.
Per concludere, infine due parole sugli esercizi: poiché anche
qui si procede per tesi-antitesi-sintesi, l’errore è inevitabile
e la paura di sbagliare è comunque una paura, quindi da superare.
Può essere, perciò, una fase di passaggio quella in cui si
crea una sorta di dicotomia tra la vita di ogni giorno e i momenti di raccoglimento
dedicati agli esercizi. Il rischio è il protrarsi di una tale fase,
in quanto si finisce per proiettare l’ordinaria materialistica visione
del mondo nel campo dello spirito, dando vita, cosí, a quel tipo
di spiritualismo astratto di cui parla Rudolf Steiner in Filosofia della
Libertà6. Si aspira ad oggettivare
il mondo soggettivo secondo l’oggettività materiale e non, piuttosto,
a rendere impersonale il personale senza stravolgerne la natura soggettiva.
Come ci insegna il Dottore, all’opposto di un male vi è un altro
male: per cui alla proiezione dell’ordinaria materialistica visione del
mondo nel campo dello spirito si contrappone la proiezione del proprio
mondo interiore personale, quindi la fantasticheria spirituale, l’oscuro
visionarismo anziché la chiaroveggenza.
Un’ultima cosa. Non è possibile esercitarsi in eterno: viene
il momento in cui bisogna agire. Non va dimenticato l’antico motto: “Scire,
potere, audere, tacere”, il quale prevede appunto la fase dell’osare.
Altrimenti si opererebbe come un atleta che si esercitasse a vita nella
corsa senza mai partecipare ad una gara, senza raffrontarsi mai. La mancanza
di confronto porta a non correggere le proprie unilateralità ed
è determinata dal desiderio di salvaguardia della fittizia immagine
di sé: cosí non si corrono rischi e tutte le illusioni su
se stessi in cui crogiolarsi risultano possibili. In fondo una simile comoda
posizione è analoga a quella di chi, invece di puntare alla trasformazione
di sé, preferisce limitarsi ad arricchire la propria anima, coltivandola
come una bella aiuola fiorita o arredandola come una calda, sedativa (ma
blandamente sedativa, per carità!) e confortevole cuccia in cui
trovare quella sicurezza che Linus riceveva stringendo la sua coperta.
L’importante è di non farsi male, non rischiare, non osare, essere
“equilibrati”, laddove per “equilibrati” si intende quell’atteggiamento
di mediocrità borghese che rifiuta ogni assoluto (senza per questo
che l’assoluto debba significare il gettarsi senza cervello in qualsiasi
impresa assurda). Tutto è relativo, ogni opinione è ammessa
e sta sullo stesso piano, nulla è vero ma tutto è possibile.
Il relativismo che propone un panorama piatto senza vette né abissi
né gerarchie di sorta favorisce di evitare l’andare a fondo nelle
cose, consente di restare quelli che si è, quindi di compiacersi
narcisisticamente di se stessi e di rimanere dei simpatici, magari dotti,
chiacchieroni spiritualisti.
Non va temuto l’assoluto come fa l’intellettuale che abbisogna di una
giustificazione persino per la propria forza. La forza non deve essere
spiegata o giustificata: si giustifica per forza propria, da sé.
1 «Nel senso della
bellezza delle cose deve innestarsi il senso del mistero delle cose come
una realtà ancora oscura ma presentita. Poiché non soltanto
quel che possiamo vedere e conoscere deve agire in noi; ma anche l’ignoto
coraggiosamente affermato e sentito nella sua forza», Leo/Barriere/UR
1927.
2 «Le cosa piú
difficili da vedere sono quelle che ci stanno sotto il naso», W.
Goethe.
3 «In avvenire ci
saranno dei chimici e dei fisici, che non insegneranno chimica e fisica
come oggi vengono insegnate sotto l’influsso degli spiriti egizio-caldaici
rimasti indietro, ma che invece insegneranno: “La materia è edificata
nel senso come il Cristo la ha a poco a poco ordinata!” Si troverà
il Cristo sin dentro alle leggi della chimica e della fisica. Una chimica
spirituale, una fisica spirituale, ecco ciò che verrà in
avvenire», Rudolf Steiner, La guida spirituale dell’uomo e dell’umanità.
4 Del resto gli antichi
testi dicono che «alla fine dei tempi tutte le leggi sono infrante».
5 A proposito della destità,
Massimo Scaligero ebbe a dire che in questi tempi proprio per i ceti meno
abbienti sarebbe passata l’aristocrazia dello Spirito; forse ciò
si collega con la seguente considerazione di un poeta cieco, il quale però
ci vedeva meglio di molti altri: «Essere poveri suppone un piú
immediato possesso della realtà, un immergersi nell’originario gusto
aspro delle cose, una conoscenza che sembra mancare ai ricchi, come se
ogni cosa giungesse loro filtrata», Jorge Luis Borges, Evaristo
Carriego, Einaudi, Torino 1922, pag 22.
6 «Non importa che
uno affermi che per lui il mondo non finisce nell’esistenza puramente materiale
e che quindi egli non è un materialista. Si tratta di vedere se
egli svolge dei concetti che siano unicamente applicabili a un’esistenza
materiale», Rudolf Steiner, Filosofia della Libertà,
Milano 1966, pagg. 153-154.
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