Un piccolo, tenero bambino di quattro anni è intento a tracciare sulla carta alcune linee con il pastello colorato: semplici figure appaiono e si modificano in un meraviglioso gioco variopinto. L’uomo è un essere creatore, unico nei regni della natura, e una gran parte dell’umanità rischia l’abbrutimento e la malattia perché è divenuta incapace di mantenere e difendere la sua dignità e la sua essenza creatrice.
Si tratta dunque di non dimenticare il bambino, di non scordare che siamo tutti portatori di un patrimonio grandioso di immagini e colori e suoni che sono il retaggio, l’eredità di un mondo spirituale che, per nostro tramite, urge per trovare una fonte di uscita.
Questo urgere interiore è una delle sorgenti della creatività artistica: chi la ignora corre il rischio di subire una vera, subitanea ed inarrestabile alluvione di queste forze non “incanalate”, e può essere che l’anima venga assalita da un turbinio schizoide di immagini distruttive e si separino tra loro le tre facoltà psichiche fondamentali: il pensiero, il sentimento e la volontà.
Il bambino ha posato i pastelli colorati perché “qualcosa” ha attirato la sua attenzione: una lunga sottile processione di puntini neri che si snoda dalla cucina al giardino sta portandosi via alcune briciole della sua colazione. Egli la seguirà fino a scoprire il formicaio. L’uomo è un essere creatore, ma anche un essere scopritore. Non solo può e deve guardare in sé, conoscersi e realizzarsi nel mondo, ma può e deve scoprire altri mondi, altri universi, deve diventare investigatore dello spirito, scopritore di ciò che nella natura è appunto “coperto”. Lo studio della storia dell’arte ci conferma la tensione verso la “scoperta nella direzione della forma e del colore, l’“atto creatore” insito in ogni opera di grandi maestri. L’incontro armonico fra il colore e la forma, fra l’interiorità e l’esteriorità, fra l’“inventore” e lo “scopritore” ha fatto dell’arte una grande arte in ogni stadio di coscienza dell’umanità.
È necessario superare la mera esperienza percettiva sensoriale per provare a ricercare non ciò che è ma ciò che potrebbe essere, non il “reale” ma il “possibile”. Mantenere questa tensione permette di cogliere le leggi spirituali da cui sono scaturite le realtà naturali del mondo sensibile. La tendenza della vita attuale sempre piú meccanizzata e uniformata porta a trascurare, se non ad ignorare del tutto la scoperta della natura, che può avvenire solo mediante la capacità di aprirsi al mondo del bambino, pieno di meraviglia, curiosità, amore.
D’altra parte l’atto creativo, la nascita, che dovrebbe essere un frutto armonico dell’interiorità, viene quotidianamente mortificato dall’indigestione animica di immagini preconfezionate e stereotipate e il piú delle volte moralmente discutibili, che il mondo dei media, teso ad una raffinata mercificazione, fa continuamente affluire. La fame di immagini viene cosí malamente soddisfatta portando ad una progressiva passività e dipendenza, in quanto viene negata e affievolita progressivamente l’unica vera fonte di nutrimento animico: la capacità individuale interiore di creare in forma artistica.
Alla base di questa diffusa necessità di nutrire l’anima di immagini e colori sta un’importante verità spirituale: ogni uomo porta con sé, dalla sua vera patria d’origine, dal mondo spirituale, un patrimonio di immagini, di tendenze alla creazione e alla realizzazione che, dal cosiddetto inconscio, vengono ispirate su verso la coscienza di veglia, mediante una continua, anche se non percepita, attività onirica che solo in parte si fa strada nei nostri sogni ordinari.
La tendenza alla visione è alla base della creazione umana se viene correttamente nutrita e soddisfatta con una tensione, un’arte personale non avulsa dalla realtà fenomenica che ci circonda.
Chi si scorda della Natura dimentica “l’uomo scopritore” e, scrutando solo in sé, corre il rischio di presentare al mondo, anche se in modo “artistico”, solo i suoi personali vissuti animici, solo i suoi dati di “autobiografia psichica” e non un contributo alla missione cosmica dell’arte: collegare di nuovo la Terra al Cielo, fare da tramite fra l’idea e il mondo, divenire arcobaleno dell’anima di ogni singolo, ponte iridescente fra materia e spirito. È giusto, è indispensabile che l’uomo si esprima e conosca se stesso tramite l’arte, sviluppando cosí il suo angolo di mondo spirituale che vuole portare una nota cromatica nel cosmo, ma non può e non deve per questo dimenticare la Natura, l’Iside, Sofia, la Madre Universale, Maria.
Nella fiaba di Rosaspina, ricolma di cosmiche verità espresse per tenere immagini, un altissimo esempio di arte universalmente umana, si accenna in meravigliosi quadri a come la Natura condivida il destino dell’uomo, e a come, dopo la caduta luciferica in seguito al peccato originale, dopo la puntura avvelenata dell’intelletto freddo, dopo l’azione traditrice dell’ego della vecchia rinsecchita ragione, tutto il Castello condivida la sorte di Rosaspina, che diviene la Bella Addormentata. L’anima cade nel sonno della materia, e con lei tutto il creato attende di essere ridestato a nuova vita; se l’arte ignora la Natura, ciò non potrà mai avvenire. Fra il rischio di uno sterile astrattismo privo di tensione morale e quello del materialismo, che vorrebbe confinare l’uomo nella punizione della materia, riducendolo a fotografo di un’illusoria e limitata realtà che lo vorrebbe, con Arimane, dimentico di ogni realtà spirituale, ogni uomo di buona volontà ha il dovere morale di cercare nella sua esistenza un giusto mezzo, un equilibrio magari fra queste due tendenze. Il rischio è nell’unilateralità, la meta consiste nella fusione armonica dei due poli dell’essere, la quale sola può condurre alla resurrezione interiore del Cristo: l’artista che è in ogni singola anima umana.
Quale arte dunque? La pittura, arte del mezzo, del sogno, del cuore, dell’anima, potrà indicarci il cammino. Se fino all’Ottocento si è creduto che ripetere, variare o migliorare il trionfo della forma avvenuto nel Rinascimento fosse cosa giusta, i fermenti del Novecento ci hanno mostrato chiaramente come sia giunta l’ora dell’equilibrio fra il colore e la forma.

 

G. De Luca Esteriorità: l’uomo è scopritore

Interiorità: l’uomo è inventore

 

L’arte che cerchiamo avrà dunque in sé la vita, la tensione espressiva e la capacità di fare scoperte del bambino, e ciò farà sí che si avvicini a quell’ideale di bellezza che risuona da questo brano di Tommaso d’Aquino, tratto dalla sua Summa Theologica: «Per la bellezza dunque sono da congiungere tre cose. E cioè primariamente l’integrità, ovvero la completezza o perfezione. Le cose dunque, le quali sono mutilate, sono per ciò stesso brutte. Piú in profondità, le adeguate proporzioni e l’armonia delle parti. E per terminare l’irraggiare verso l’esterno ovvero la trasparenza; divengono pertanto cose le quali posseggono un colore splendente».
Dalla luce che emana da queste parole possiamo cogliere la necessità di avere in arte una sostanziale organicità, una vera e propria salute nelle varie parti componenti, una perfezione fisico-formale. Cogliamo poi la necessità di armonia e proporzione d’insieme, cioè un’atmosfera animica concorde e accordata nella sua polifonia. Quale terza condizione che completa la tripartizione, ci viene indicato il mistero dello splendore, dello spirito che riluce attraverso la materia, malgrado la materia, e su di essa trionfa elevandola ad una dimensione soprasensibile. L’arte dunque non riproduce il visibile ma rende visibile una realtà che si annuncia attraverso di essa, una forma di vita che appartiene all’Essere che nei Vangeli ci annuncia: «Il mio Regno non è di questo mondo».

Giuseppe De Luca

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