I comportamenti giovanili
devianti, piú o meno gravi, quasi quotidianamente registrati dai
“media”, sostanzialmente configurano manifestazioni estreme di un disagio
che, con evidente difficoltà, sociologi, psicologi, educatori cercano
di interpretare e controllare, anche in questo ostacolati dal disconoscimento
sistematico di ogni fondamento spirituale dell’esistenza, nonché
delle componenti “karmiche” (1) correlate
agli eventi che si manifestano sul piano fisico. Il periodo tra il raggiungimento
della pubertà intorno ai 14 anni e la maggior età fisiologica,
al compimento dei 21 – quella legale a 18 originando da aleatoria conoscenza
dei cicli vitali (2) – risulta indubbiamente
cruciale per la maturazione della personalità. È la stagione
in cui l’anima, nella sua ricerca di modelli, tende a entusiasmarsi per
impulsi politici, ideologici, sociali, non di rado contestando “il sistema”,
attualmente bersaglio del cosiddetto “popolo di Seattle”, costituito in
larga misura da giovanissimi. Incidentalmente giova sottolineare che, pur
nel ribadire la preziosità di ogni spontanea forma di condanna dell’ingiustizia,
l’identificazione del vero obiettivo da riformare, l’asservimento inconsapevole
del pensiero alla cerebralità, presuppone per lo meno un’approssimativa
intuizione, da parte del “ribelle”, della necessità di contestare
innanzitutto la propria “forma mentis” (3);
l’esperienza personale del tragico imprigionamento del pensare, suscitatrice
di un vigoroso impulso verso lo svincolamento del medesimo, è evidentemente
preliminare ad ogni velleità trasformatrice della mentalità
dominante, pur potendo comunque risultare utile denuncia ogni civile protesta.
Nella piena consapevolezza delle macroscopiche carenze degli attuali sistemi
formativi – argomento affrontato nel numero precedente de «L’Archetipo»
– e prescindendo dalle situazioni-limite, l’universo giovanile appare riconducibile
a tre atteggiamenti fondamentali. Nel primo, un considerevole numero di
adolescenti, per convinzione o rassegnazione, sostanzialmente aderisce
ai parametri materialistici dominanti; al polo opposto vive un gruppo di
giovani di alto profilo interiore, non di rado dotati di preziosa creatività
innovatrice, la cui volontà risulta piú o meno paralizzata
proprio dall’impossibilità di ispirarsi ai valori menzionati; in
mezzo si posiziona una schiera di anime ondivaghe, influenzabili al momento.
Le ricadute sociali della
descritta situazione sono tutte indubbiamente gravi, ma nel caso del secondo
gruppo, quello dei “paralizzati”, potrebbero rivelarsi catastrofiche, venendo
meno nel tempo il loro specifico apporto di forze morali e innovative indispensabili
per la sopravvivenza della civiltà. Pur nell’evidente complessità
dell’approccio, occorre chiedersi come mai proprio i piú dotati
sul piano animico-spirituale vengano a trovarsi quasi sempre in gravissime
difficoltà d’inserimento. Innegabile il ruolo giocato da alcune
predisposizioni innate: integrità, gentilezza, nobiltà d’animo,
riservatezza e modestia, scarsamente compatibili con la brutale competizione
dei nostri giorni; profonda estraneità nei confronti della mentalità
dominante, accompagnata da una forte aspirazione verso valori immateriali,
formalmente ossequiati dalla morale ufficiale e ripetutamente derisi nella
quotidianità: spirito di sacrificio, altruismo, aspirazione alla
“verità”. Ma la circostanza probabilmente piú paralizzante
il momento progettuale negli adolescenti di una certa statura interiore,
è identificabile nell’evidente constatazione che si rivela sempre
piú problematico, se non addirittura impossibile, competere e operare
evitando di vendersi, degradarsi, cioè comportandosi nobilmente.
Un recente sondaggio demoscopico ha rivelato che la maggior parte di coloro
che cercano un’occupazione ritiene determinante la disponibilità
di raccomandazioni influenti, relegando in una sfera marginale il possesso
di preparazione idonea e qualità personali. Ed a concomitante risultato
è pervenuta una ricerca in forma anonima tra occupati, che in larga
misura hanno dichiarato di aver trovato lavoro grazie ad una “segnalazione”,
alludendo senza ombra di dubbio ad una procedura che, ben oltre i limiti
di una corretta sottolineatura di meriti non comuni o di soccorso in presenza
di eccezionali situazioni di bisogno, sta progressivamente viziando le
procedure di selezione.
Il malcostume diffusissimo
ha ingenerato nell’opinione dei piú la convinzione della inevitabilità
ormai fisiologica di onnipresenti compromessi etici. È pertanto
evidente in quale dilemma “paralizzante” venga comunque a trovarsi, con
grave nocumento personale e collettivo, l’adolescente nobilmente motivato,
come pure quanto sia imperdonabile la condotta di tutti coloro che
sciaguratamente alimentano scandali ad ogni livello. Sul tema fu posta
un giorno a Massimo Scaligero la seguente domanda: «Perché
i migliori non vincono mai?»; lapidaria la risposta: «...perché
non sono veramente i migliori!»
L’Autore de La Via della
volontà solare (4) non intendeva
certo disconoscere i meriti delle persone effettivamente dotate, preparate
e sensibili, ma, nel censurare senza appello la corruzione dilagante, additava
particolarmente a costoro l’inderogabile necessità di intraprendere
il cammino verso la piena autoconsapevolezza, quale unica possibilità
di valorizzare concretamente il loro patrimonio interiore, trasformandolo
in una sorgente di forza e creatività anziché di crescente
vulnerabilità. Sottolineava poi, con tono grave, come la drammaticità
della situazione umana richieda, soprattutto da parte dei piú svegli,
un deciso impegno nella direzione indicata, prevedibilmente ostacolato
dalla mentalità contemporanea; tra i compiti del Materialismo (5)
rientra anche quello di contrastare la naturale predisposizione
“immateriale” delle anime piú evolute affinché, per liberarsi
da una situazione sempre piú soffocante, intraprendano la ricerca
dell’agognato ossigeno spirituale, secondo una metodologia effettivamente
in grado di conoscere il problema fondamentale, la sclerosi del mentale,
e di affrontarlo con rigorosa aderenza alla costituzione del soggetto coinvolto.
Scaligero, in tutta la sua opera, ha ripetutamente dimostrato come la Scienza
dello Spirito sia l’unica “praxis” in grado di individuare e raggiungere
l’obiettivo delineato, poiché, quale vivente via occidentale, conosce
concretamente il retroscena interiore dell’uomo “moderno” e la disciplina
per la sua reintegrazione.
La rivelazione steineriana,
ricongiungendo progressivamente l’anima con la sua scaturigine spirituale
originaria, parallelamente sviluppa una graduale intuizione del destino
individuale e collettivo, preliminare ad ogni tentativo di trascendimento
nei confronti di ingiustizia e corruzione. A questa ascesi interiore, graduale
disvelatrice dell’origine del Male e della sua funzione cosmica, nonché
insostituibile veicolo di forze salvifiche nell’umano, consegue
una reale autorigenerazione, cui possono anche accompagnarsi, se spiritualmente
compatibili, positive realizzazioni individuali sul piano esteriore.
(1) R. Steiner, Le
manifestazioni del Karma, Ed. Antroposofica, Milano 1974, p. 13
(2) R. Steiner, Insegnamento
e conoscenza dell’uomo, Ed. Antroposofica, Milano 1986, p. 112
(3) M. Scaligero,
Rivoluzione – Discorso ai giovani, Perseo, Roma 1969, p. 42
(4) Tilopa, Roma 1986
(5) M. Scaligero,
Il pensiero come antimateria, Perseo, Roma 1978, p. 11
Immagine:
– …una lettera di “segnalazione” Miniatura francese di Jean Bourdichon,
sec. XVI
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