Il 3 ottobre di dieci anni fa
la riunificazione tedesca proclamata dal cancelliere Kohl segnava il culmine
di quel processo di ricostruzione iniziato tra le macerie del maggio 1945.
Ancora una volta la coesione sociale, lo spirito di organizzazione, l’intelligenza
scientifico-tecnologica propiziavano la rinascita di un popolo messo in
ginocchio al termine di un immane conflitto.
E mentre lo Stato tedesco si
risollevava fino al punto di riassorbire i territori orientali occupati,
le altre quattro nazioni nordico-germaniche (Danimarca e Islanda, Norvegia
e Svezia) proseguivano nel loro pacifico sviluppo, sopperendo col calore
dell’iniziativa interiore alla freddezza di una terra contigua alle latitudini
polari.
Ma non è un paesaggio
idilliaco quello che vogliamo descrivere: tra tanta meritata ricchezza
si insinuano le piaghe di una inquietudine. L’Austria, che due secoli fa
diede i natali al piú grande Genio dell’età moderna, al Maestro
dei Nuovi Tempi, sembra aver esaurito la sua linfa, come un tronco reciso
dall’albero. La Germania stenta a ritrovare il suo equilibrio spirituale.
Nelle regioni del Nord una società cosí raffinata non impedisce
la diffusione cronica di alcolismo e droghe; e mentre la percentuale dei
suicidi raggiunge il livello di allarme, tra i giovani si diffondono suggestioni
“sataniche” attraverso una forma estrema di rock duro (il “death metal”).
Diranno i moralisti che tutto ciò è frutto del “crollo dei
vecchi valori”; ma con buona pace delle vecchie zie, che di quei valori
sono le sacerdotesse, la realtà è all’opposto: il mondo nordico-germanico
attraversa una fase di sbandamento perché non ha ancora trovato
“nuovi valori”, e non ha sviluppato ancora la forma spirituale piú
consona alla propria natura. Fino a ieri la religione tradizionale, la
scienza materialistica, le istituzioni politiche occidentali hanno fornito
un orientamento. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso questo mondo
si è appoggiato su ciò che antichi popoli hanno lasciato
come preziosa eredità del passato; ma ora è tempo che l’Europa
nordico-germanica esprima la sua anima: l’anima cosciente.
Le civiltà che si susseguono
nel corso della storia non lasciano soltanto un’eredità materiale
o meramente intellettuale: esse plasmano nell’organismo umano nuove facoltà,
che in precedenza erano presenti solo implicitamente. Ciò che Roma
ha scolpito nel marmo, ciò che antichi sacerdoti hanno operato sulle
rive del Nilo e dell’Eufrate, rimane impresso nell’anima umana e assume
un valore allgemeine Menschliche: universalmente umano. Perciò,
per comprendere la missione di una civiltà ancora “fanciulla” e,
oseremmo dire, “barbara”, bisogna indagare le profondità della nostra
anima.
Quando l’anima si apre al mondo
esterno, per gioire della Bellezza divina che fluisce attraverso i sensi,
essa sviluppa i poteri propri all’anima senziente, di cui hanno parlato
Aristotele e Rudolf Steiner. Noi italiani la conosciamo molto bene… L’interesse
per la vita dei sensi rappresenta magna pars della nostra psicologia
se è vero che il primo italiano, Dante, era uno che quando guardava
gli occhi verdi della sua ragazza si sentiva in Paradiso! (1)
L’anima senziente fu plasmata in tempi lontani, quando tra Kosmos e
uomo non si era frapposta una barriera e la vista delle Stelle non si inaridiva
in calcoli matematici. La spiritualità dell’anima senziente si esprimeva
nel rito, nelle liturgie sacerdotali, nella sapienza astrologica. Ancora
oggi vi è tra noi un residuo, privo di vita, di quella religiosità
di tipo “egizio”: è la ritualità ecclesiale con le sue forme
cosí policrome e sfarzose. Oggi noi italiani abbiamo un compito
fondamentale: superando tali forme decadenti, rivivificare l’anima senziente;
attraverso la vita antroposofica, cogliere la spiritualità (non
l’animalità!) che fluisce attraverso i sensi (2).
Ad un livello piú profondo
dell’anima la rappresentazione sensibile si tramuta in ragionamento. Il
medico moderno osserva i sintomi del paziente, “ascolta” il battito cardiaco
e attraverso un ragionamento, detto anamnesi, individua il malanno e la
terapia. Cosí anche il meccanico, il commissario di polizia, il
meteorologo, nelle loro professioni traggono dalle osservazioni sensibili
delle conclusioni razionali. Questo estrarre una “forma concettuale” dalla
materia sensibile – come ci hanno insegnato Socrate, Platone, Aristotele
– è l’attività propria dell’anima razionale. Non è
un caso che quei tre grandi pensatori siano stati greci, perché
il principale impulso allo sviluppo dell’anima razionale è venuto
proprio dalla Grecia e da Roma. Sotto l’imperium di Roma le forze
razionali umane hanno organizzato la vita sociale, e addirittura il paesaggio
naturale, in maniera travolgente. Per gli antichi Romani costruire strade
e città non era affatto un’attività profana: con quell’azione
lo spirito umano si imprimeva deliberatamente nella dura pietra! L’intelligenza
umana poneva con potenza il suo sigillo sul mondo minerale. Quando poi
Cesare conquista le Gallie e assume il potere dittatorio, la razionalità
latina governa il mondo. Vale a dire, le facoltà dell’anima razionale
diventano un “possesso per sempre” per la specie umana. Filosofia greca,
diritto romano, istituzioni civili, ideale pedagogico della Humanitas:
in tutte queste creazioni rifulge il genio dell’anima razionale-affettiva.
Come la sensazione si interiorizza
nella facoltà del giudizio, cosí anche il ragionamento può
diventare piú intimo: può rivolgersi a sé come “autocoscienza”.
Un uomo che giunto ad età matura riflette sulle proprie azioni;
un allenatore sportivo che riflette sul fallimento di un proprio metodo;
una persona qualsiasi che si chiede perché a un dato momento un
fatto nuovo sia penetrato nella propria vita coinvolgendo profondamente
tutta l’anima: tutti costoro aprono gli occhi del pensiero verso la propria
interiorità. Sviluppano cosí un altro “organo” della psiche:
l’anima cosciente. Esso ha già una “storia”; se leggiamo le lettere
di un senatore romano, Seneca, o i ricordi di un imperatore parimenti romano,
Marco Aurelio, troviamo una profonda e illuminata “coscienziosità”,
e d’altra parte proprio noi non potremmo dimenticare il comandamento del
divino Apollo: “conosci te stesso” che già risuonava nella Grecia
arcaica. Ciò non toglie che l’anima cosciente sia un organo delicato,
perché in via di formazione. Per lo sviluppo di questo terzo fiore
dell’anima, per lo sviluppo delle sue grandiose potenzialità che
filosofi e psicologi neppure immaginano quando parlano astrattamente di
“autocoscienza”, è chiamata ad operare la civiltà germanica.
Sgombriamo il campo da un equivoco.
Quando si dice “civiltà germanica” non si fa riferimento soltanto
ai tedeschi o agli svedesi. La nazione italiana, nata dopo l’afflusso di
Ostrogoti e Longobardi, Franchi e Normanno-Danesi, è una tipica
nazione germanica. Il gentiluomo italiano bacia la mano alla dama e l’ufficiale
saluta portando la mano alla visiera, perché questi sono i costumi
gentili della cavalleria. Della cavalleria germanica.
Italia, Spagna, Francia, Inghilterra
sono le nazioni in cui i popoli germanici nell’alto Medioevo hanno ricevuto
l’eredità delle antiche civiltà mediterranee e celtiche.
Questa trasmissione di conoscenze, di poteri sovrani, di impulsi artistici,
è la trama che percorre tutta la storia medievale-moderna (3).
Nel nostro tempo essa giunge a un momento culminante con il sorgere di
una corrente spirituale-solare che accoglie in sé e rinnova tutti
gli impulsi “tradizionali”; comincia cosí, tra difficoltà
(apparentemente) insormontabili, una fase avanzata della civiltà
germanica in cui essa comincia ad irradiare direttamente dalle regioni
“al di là” del limes della civilizzazione antica. Cercheremo
di scoprire i caratteri della nuova civiltà e l’apporto fondamentale
della nazione italiana alla sua fioritura.
(1) Dante Alighieri, Paradiso,
Canto I, v. 46 e ss.
(2) R. Steiner, Calendario
dell’anima, Ed. Arcobaleno, Oriago di Mira 1992
(3) Di essa fu pienamente
consapevole Federico I di Hohenstaufen, che rivendicò la consacrazione
a Imperatore Romano invocando appunto il principio della translatio
imperii. Il nipote Federico II, nella sua corte di Palermo, riuscí
a concentrare gli impulsi di conoscenza provenienti da Roma, dalla Grecia,
dal mondo celtico, dalla civiltà egizio-babilonese. Ora, ogni appassionato
lettore può constatare immediatamente come tutti questi impulsi
attirati dal Cesare di Hohenstaufen si riversino nella Divina Commedia
di Dante, il testo fondamentale della civiltà nazionale italiana.
Immagine:
– «Dante e Beatrice» Cantica I del Paradiso – miniatura
di Giovanni di Paolo, secolo XV, Londra, British Museum
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