Dal mondo immediatamente vicino a quello percepibile mediante i sensi
ordinari ci separa soltanto un velo. Si ha spesso l’impressione che basterebbe
davvero uno sforzo minimo per strapparlo ed entrare cosí, con intatta
lucidità, in un altro piano dell’essere. Ci accorgiamo però
presto che questa istintiva consapevolezza è ingannatrice. In realtà
non riusciamo mai, nel corso ordinario della vita, a lacerare quel velo
ed è già un grande risultato poterne avvertire la presenza
quando addirittura non se ne riesca anche ad avere diretta percezione.
Se, nei rari momenti di consapevolezza dell’imminente presenza di quel
mondo che si estende oltre il velo, facciamo attenzione a quanto vive nella
nostra anima, ci accorgiamo che vi è una resistenza e che l’ostacolo
al nostro irrompere dall’altra parte non è dovuto tanto ad una barriera
invisibile che ci separa da esso quanto ad una profonda, costituzionale
forma di rifiuto che noi stessi inconsapevolmente opponiamo alla nostra
aspirazione ad attraversare la soglia. Siamo immediatamente distratti dalla
potenza di apparire del mondo fisico, e i nostri piú elevati sentimenti,
cosí come la nostra piú sottile capacità di riflessione,
hanno in sé il limite che questo stesso mondo continuamente impone
alla coscienza, riempiendo della sua forza quello che a noi appare come
una nostra capacità di autonomia rispetto a quell’apparire.
Eppure sappiamo anche che proprio quell’apparire costituisce la base
per questa illusoria libertà e per la consapevolezza di noi stessi
in quanto esseri che si distinguono come entità dal mondo percepito.
Ché se questo ci venisse tolto nella sua totalità ben presto
ci accorgeremmo che pensieri e sentimenti perderebbero la loro apparente
vita e svanirebbero precipitandoci nel sonno. Siamo individui in quanto
sperimentiamo, di fronte alla potenza del mondo, la nostra capacità
di pensarlo, ma dipendiamo anche totalmente da esso perché ne facciamo
il contenuto di tutto ciò che vive dentro di noi: dalla piú
astratta formula matematica al pensiero piú nobile e pervaso di
un caldo sentire per la divina maestà dei cieli. Nella vita quotidiana
viviamo questa esperienza di pensiero senza una chiara consapevolezza di
dove questa vita si pone come una realtà nella nostra coscienza.
Adoperiamo la capacità di pensare il mondo per confrontarci con
esso nel tentativo di farne parte, perché in realtà desideriamo
la sua potenza, bramiamo ad ogni pensiero sul mondo di afferrarne la massività
e farla nostra: amiamo il mondo che ci domina. È chiaro però
a chiunque che non ci riuscirà mai di avere la potenza del mondo.
Sappiamo che non riusciremo a ripetere in noi quella forza di apparire
che il mondo fisico ci impone ma oscuramente speriamo di trovarla nel prossimo
pensiero, nella rappresentazione successiva, nell’osservazione di un ulteriore
apparire. Questa brama di diventare parte della potenza del mondo costituisce
la base di quel rifiuto profondo che vive in noi e che ci impedisce di
lacerare il velo che ci separa da un altro mondo.
In realtà, non ci accorgiamo che il mondo ci appare mediante
un percepire per il quale ogni oggetto di esso è equivalente a tutti
gli altri, mentre è quanto noi riusciamo a mettere in moto osservandolo
e ricavandone dei concetti che costituisce il punto di superamento del
suo apparire. Parimenti è inutile cercare di strappare il velo inseguendo
delle rappresentazioni che il mondo ci impone con la sua potenza distraendoci
di continuo dall’unica capacità che abbiamo di dominarlo davvero.
Non è la ricerca di infinite rappresentazioni che può svincolarci
da questo mondo per portarci in quell’altro che pure oscuramente sappiamo
esistere. Se la forza che impieghiamo per conoscere il mondo è un
fatto oggettivo indipendente da esso, sarà ritrovabile piú
facilmente in una sola rappresentazione che nell’infinita e disordinata,
spesso affannosa e frustrante, ricerca di ulteriori rappresentazioni.
Qualora vi sia in noi un’onesta aspirazione a svincolarci dalla potenza
dominante del mondo che appare, dobbiamo riconoscere che la tecnica della
concentrazione donataci da Rudolf Steiner e da Massimo Scaligero è
l’unica via percorribile per portare la nostra coscienza ordinaria davanti
a quella soglia, e qui, con un atto che impegna tutta la nostra capacità
di essere consapevoli di noi stessi, tentare di lacerare il velo. Coloro
i quali pongono questa aspirazione come la massima della loro vita, si
trovano però davanti ad una serie di ostacoli che spesso inducono
a sconforto e che possono far dubitare seriamente sulla veridicità
di quanto viene loro indicato dai Maestri. Non ci riferiamo qui al banale
prurito che ci distrae, alla mosca che vola nella stanza oppure al devastante
sorgere in un angolo della coscienza di una canzoncina alla moda. Diamo
pure per scontato – ma non è poi cosí scontato – che anni
di attività interiore ci abbiano educati a superare quegli ostacoli
che si incontrano quasi subito ma che necessitano comunque di infinito
e ripetuto sforzo per dominarli e che ancora, spesso, insorgono malignamente
a coglierci impreparati quando ci sentiamo piú maturi e piú
forti di un’illusoria maturità e di un’illusoria sicurezza.
Viene un momento nel quale cominciamo a percepire chiaramente la gravità.
Avvertiamo con chiarezza che il corpo fisico pesa. Pesando ci trattiene.
Ma non è il corpo, è la coscienza che ad esso continuamente
si vincola bramandone la consistente realtà, la potenza di esistere:
amiamo il nostro respiro che esiste anche se non lo vogliamo, amiamo sapere
che il corpo ha una sua saggia autonomia e ci affidiamo ad essa. Nell’attimo
nel quale avvertiamo questo pesare possiamo accorgerci che l’avvertiamo
perché c’è qualcosa che non pesa.
Non pesando non può essere il corpo, non essendo il corpo non può
essere qualcosa di fisicamente sensibile. Allora possiamo insistere, possiamo
sviluppare una volontà maggiore mediante la quale svincolarci dal
mondo che pesa. L’ulteriore movimento porta ad eliminare dalla nostra coscienza
qualsiasi percezione proveniente dal mondo conosciuto ed anche quanto ci
portiamo dietro, nella nostra coscienza ordinaria, come una sua ombra.
Si entra cosí nel vuoto. L’esperienza del vuoto è già
un passo avanti, ma è proprio a questo punto che ci si ferma, e
spesso per anni. La coscienza ordinaria non regge il vuoto. Il vuoto non
regge la coscienza ordinaria. Cosí siamo rimandati indietro e qui,
di solito, l’esercizio finisce. Sembra che manchi un nulla per riuscire
a superare questo vuoto, come se esso fosse rappresentabile in forma di
un precipizio della larghezza di pochi centimetri ma profondo come l’universo.
Ci coglie una paura che a tutta prima non riconosciamo come tale e che
viene scambiata per inadeguatezza personale se non addirittura con un sentimento
di sfiducia negli esercizi. Avviene però, a volte, anche qualcosa
d’altro. Insistere con assoluta dedizione sulla permanenza in questo vuoto
può portarci a intravedere cosa c’è oltre. Avviene che per
una ineffabile grazia, sempre immeritata, possiamo dare una fuggevole occhiata
dall’altra parte. Allora ci si presenta proprio il contrario del vuoto
che abbiamo sino a qui, sia pure in rari momenti, sperimentato. In un attimo
di folgorante brevità il velo si apre con l’impressione di terrore
che ci darebbe un cielo limpido che si squarciasse per rivelare un mondo
di proporzioni impensabili ed impossibili. Intravediamo un mondo che è
costituito da esseri in continuo movimento, un mondo cosí pieno,
cosí potente e consapevole di sé che diventiamo immediatamente
consci che un ulteriore passo avanti ci annienterebbe. La nostra coscienza
sarebbe spazzata via e saremmo davvero fortunati ad addormentarci.
Il mondo dei sensi quale lo conosciamo ci ha permesso, in millenni
di evoluzione, di diventare capaci di pensarlo. La sua potenza non era
tanto grande da impedirci di sviluppare la nostra autocoscienza pensante.
L’altro mondo ci risulta essere immediatamente non affrontabile dalla nostra
ordinaria coscienza. È troppo forte, troppo reale. Gli oggetti del
mondo si lasciano percepire, essi sono immobili davanti alla nostra osservazione.
Nel mondo immediatamente superiore al nostro non c’è che movimento
e il movimento è costituito dall’irraggiare di una forza che non
viene mediata dall’apparire sensibile che la rallenta, la limita, la fissa
nel tempo. Per dirla con un’immagine: non c’è nulla su cui lo sguardo
possa posarsi. Se dunque togliendoci ogni percezione sensibile ben presto
ci addormenteremmo, qui la nostra coscienza sarebbe spazzata via dalla
potenza troppo grande nella quale veniamo immersi totalmente come se fossimo
diventati interamente un organo di percezione. Siamo immediatamente rimandati
indietro. Ci troviamo dunque in un momento della nostra vita nel quale
non apparteniamo piú a nessuno dei due mondi. Il mondo fisico non
ha piú la confortante consistenza ed esclusività che aveva
nella vita ordinaria e l’altro mondo ci respinge. Nemmeno riusciamo a sostenere
il vuoto.
Non c’è un segreto esercizio per superare questo momento. Tutto
dipende infatti non dalla quantità di operazioni messe in opera
ma dalla qualità di un’unica operazione. Risulta evidente che c’è
un unico modo per superare quella soglia ed entrare nel mondo che abbiamo
potuto scorgere per attimi indicibili: rafforzare ulteriormente la coscienza.
L’ordinario pensiero riesce a reggere l’impatto con la potenza del mondo
fisico: può pensarlo ma non può sapere quanto di quel mondo
lo pervade, lo guida, lo condiziona. Il pensiero rafforzato mediante la
concentrazione può portarci fuori da questo mondo, può renderci
capaci, sia pure per infrequenti attimi, di renderci autonomi rispetto
all’apparire del mondo per farci rimanere coscienti in un vuoto che ordinariamente
ci addormenterebbe. Il mondo immediatamente superiore richiede una forza
ancora maggiore, una destità piú grande. Non ci sono qualità
da sviluppare, magismi da attuare, ma soltanto l’apparente banale rafforzamento
della coscienza sino a limiti mai prima sperimentati. Cosa mai può
rafforzare la coscienza se non lo sforzo di farla permanere davanti a quanto
vuole ottunderla, assopirla? Se il mondo oltre il velo ha la potenza di
respingerci, ebbene dobbiamo decisamente ripresentarci davanti a quella
soglia con ripetuta, coraggiosa determinazione. Come i muscoli si sviluppano
soltanto con un ripetuto sforzo, cosí la coscienza si rafforza mediante
un ritmico insistere nel punto dove essa naturalmente tenderebbe a svanire.
La concentrazione è l’unica tecnica che ci permette di sviluppare
una coscienza rafforzata. Non c’è mondo superiore che potremmo affrontare
se non mediante concentrazione: dall’immediato piano eterico al piú
alto mondo spirituale tutti richiedono una sempre maggiore destità,
una sempre piú forte capacità di pensarli: esattamente come
pensiamo il nostro mondo ordinario. Percepirli, infatti, senza poterli
pensare ci darebbe una quantità di meravigliose esperienze ma esse
sarebbero simili ai sogni e non sapremmo affatto cosa stiamo sperimentando.
Perciò possiamo affermare che non c’è Gerarchia Superiore
che non conosca il canone della concentrazione al suo livello, ché
altrimenti non sarebbe cosciente di sé e del mondo nel quale opera
e dei mondi che la sovrastano.
La concentrazione sviluppa destità, non ci porta di per sé
oltre la soglia, ma senza questa rafforzata destità inutile sarebbe
attraversarla. Per lacerare il velo ci sono altre tecniche oppure, persino,
la paziente attesa che l’evoluzione stessa ci porti ad un gradino piú
alto o, ancora, che si attui una condizione inconoscibile per la quale
ci sia concesso entrare nel mondo che ci accompagna ad un livello piú
alto. Eppure ognuno di noi potrebbe conoscere ugualmente, e con maggiore
precisione, il mondo spirituale nel quale è continuamente quanto
inconsapevolmente immerso. La destità rafforzata non ci mostra direttamente
un altro mondo, questo non appare con la sconvolgente potenza di un’immagine
oppure, piú spesso, con la forza di un’impressione totale della
sua presenza al di là d’ogni confronto con il mondo dei sensi, nondimeno
può verificarsi che la conoscenza di esso sia possibile e persino
con maggiore precisione di quanta ne avrebbe una veggenza di tipo tradizionale.
L’ascesi del pensiero, ove sia pazientemente seguita, a volte per molti
anni, porta ad un punto nel quale il pensare viene intessuto completamente
di volontà. La volontà trasforma il pensiero ordinario in
potenza, la potenza si manifesta come una forza che non può essere
confusa col pensare ordinario, col modo mediante il quale pensiamo il mondo.
Cosí, dal punto di vista del pensare ordinario, quanto si sperimenta
non è piú pensiero. Pensiero ordinario e pensiero pervaso
di volontà non possono convivere contemporaneamente nella coscienza,
uno accanto all’altro: uno sostituisce l’altro. Perché il pensiero
rafforzato possa fluire, la coscienza deve essere vuota, deve cioè
eliminare da sé ogni possibile percezione che provenga dal mondo
nel quale il pensare ordinario si forma, dal quale esso trae i suoi contenuti.
Nel vuoto rimane soltanto la capacità di percepire alla quale si
dà di contro, come una folgore, il pensiero pervaso dalla volontà,
il quale si manifesta come pura forza fluente. Il pensare-folgore viene
percepito in una frazione di tempo brevissima perché a tutta prima
non siamo capaci di volere per molto tempo il vuoto dove si manifesta.
In quella percezione però c’è già tutto. Essa è
fuori dal tempo ma può essere portata nel tempo. Qualsiasi percezione
pervasa di puro pensiero, ossia del pensare pervaso di volontà,
si comporta come il pensare ordinario si comporta nel mondo della percezione
fisico-sensibile: forma rappresentazioni. Queste rappresentazioni però,
non provenendo dal mondo fisico-sensibile, sono a tutta prima irriconoscibili
e questo spiega come la memoria ordinaria non possa portarle con sé
quando l’esperienza della quale si parla ha fine. Sembra allora che gli
esercizi non funzionino, non diano risultati. È allora possibile
che nel corso del tempo, spesso di molto tempo, queste rappresentazioni
vengano per cosí dire “tradotte” in immagini riconoscibili, in simboli,
oppure mediante immagini prese dal contenuto ordinario della memoria. Questo
è il nuovo modo di entrare nella coscienza immaginativa, la quale
dunque non è basata su visioni o percezioni sognanti bensí
su un processo interamente controllabile dalla nostra sana capacità
di giudizio. Non c’è infatti momento nel quale qualcosa sfugga dalla
coscienza, e i risultati possono essere controllati nel confronto con la
vita pienamente cosciente di ogni giorno.
Questo processo può allora costituire la base per una conoscenza
nuova, lontana dai visionarismi e dalle fantasticherie. Spesso ci si pone
delle domande tra le quali occorre distinguere quelle che hanno una realtà,
che derivano da una sana richiesta e non già da un ozioso gioco
intellettuale. Sorgono spesso, nel corso della vita, domande che hanno
in sé una propria vita, che manifestano una sana sete di conoscenza.
Per avere una risposta altrettanto viva si dovrà procedere esattamente
secondo quanto appreso dal “canone” della concentrazione. Spesso questa
ricerca occupa molti anni. Occorre acquisire la maggiore quantità
possibile di rappresentazioni che si riferiscono all’argomento del quale
ci si occupa. Chi compie un’indagine di questo tipo non potrà mai
e poi mai essere un dilettante! Dovrà necessariamente far sua una
grande quantità di rappresentazioni e di concetti, dovrà
decisamente pensare sull’argomento. Alla fine dovrà giungerà
ad una sintesi, ad un essenziale percorso di pensieri riguardanti la cosa.
Lascerà allora agire su di sé, nel silenzio della sua attenzione,
questi pensieri, queste rappresentazioni. Alla fine, ma occorrono molti
mesi o addirittura anni, otterrà un quid che potrà contemplare
in fluire di volontà sino al vuoto. Da questo emergerà poi
la risposta in forma di immediata, potente percezione.
Tra tutte le domande possibili, le piú vive riguardano la prassi
quotidiana, quanto costituisce il nostro comportamento sociale, in poche
parole il nostro essere morali. Qualora le circostanze della vita lo consentano
si procederà nell’identico modo, ma quando avvenga che le decisioni
debbano essere prese alla svelta non si potrà aspettare una risposta.
Allora occorre decisamente agire mediante un sano buon senso e partire
dall’osservazione di quello che la nostra azione ha prodotto come modificazione
del mondo che ci circonda e della nostra stessa coscienza. Questa osservazione,
portata incontro al pensare rafforzato, costituisce la base di una moralità
libera che nasce da se stessa e che non viene condizionata da nulla di
quanto possa provenire dal mondo esterno o dal bagaglio di sentimenti,
rappresentazioni e ricordi che la vita ci ha imposto nel corso della nostra
esistenza.
Immagine: Pensare il mondo dal Viridarium
di D. Stolcius von Stolcenberg, Francoforte 1624
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