Aprile è il mese piú crudele, spinge
a uscire gigli dalla morta terra,
mescolando memoria e desiderio…

Con questi versi T.S. Eliot inizia il suo poema The Waste Land, La terra desolata. È lo scenario di una civiltà logorata dal materialismo ateo, dal positivismo razionale e dall’edonismo degradato in cui l’uomo vive, anzi sopravvive, prigioniero delle sue lussurie e nevrosi. Eppure, in questa lugubre pania materica nella quale lo rinchiusero all’inizio dei tempi le Gerarchie decadute e asservite a Lucifero e ad Ahrimane, l’uomo conserva, struggente, la memoria della condizione edenica perduta e la speranza di una sua futura reintegrazione nella primitiva essenza spirituale a lui accordata dal divino.
È comune a tutte le tradizioni religiose, esoteriche e poetiche, immaginare e illustrare i tre stadi dell’esperienza spirituale della creatura umana in tale sequenza: perdita dell’Eden, espiazione della colpa originale nella terrestrità e tentativo di affrancarsi da essa con il recupero della dimensione paradisiaca. Ciò fa sí che la dimensione terrena, la “terra desolata” appunto, si riduca a una sorta di colonia penale, una valle di lacrime transitoria e gravosa, alla quale piú adeguatamente si attaglia il mito di Sisifo: una reiterata, frustrante fatica nel tentativo di spingere il masso della materia bruta su per l’erta del monte esistenziale, alla cui sommità dovrebbe esserci il premio con la liberazione da ogni tormento. Esito sempre rimandato.
C’è però una prospettiva diversa, inedita, che potrebbe far ritenere la cacciata dall’Eden, anziché una condanna, una concessione di totale libertà all’uomo da parte del divino, un atto quindi di amore, un dono senza eguali. E di conseguenza questa Terra, cosí come noi la vediamo, sarebbe un luogo non di pena e di espiazione bensí di riscatto, e il corredo materiale della natura a nostra disposizione uno strumento di elezione per realizzare l’Opera finale. Questa prevede non soltanto la riconquista della dimensione angelica, ma anche la sublimazione della materia tutta, di cui l’uomo si è servito per trasumanare.
Il mondo fisico, dunque, inteso come occasione di grazia e non di pena, è stato nel corso dei secoli il principio ispiratore di vari personaggi storici. Impegnati nei campi più disparati di attività, hanno utilizzato le risorse naturali e umane per portare a compimento il progetto di riconquistare qui e ora, senza future ipoteche e ipotesi, la dimensione ultraterrena.
John Harvey Kellogg fu una di queste figure, consapevoli del ruolo che l’uomo ha di instaurare nella realtà naturale il supremo ordine spirituale. Non troverete facilmente il suo nome nelle enciclopedie. Al pari di tutti i grandi che hanno vissuto controcorrente, la sua memoria non troneggia solenne in musei e monumenti, bensì emana bonaria e affidabile, nonché salutare e sobria, dalle scatole di fiocchi di mais, i celebri corn flakes, entrati di forza nelle abitudini dietetiche di tutti i popoli del mondo, un verbo alimentare ecumenico che ha infranto le mille barriere etniche, accomunando, nell’aura di bontà naturale, gli individui grandi e piccoli seduti a colazione.
Nacque il 26 febbraio 1852 a Tyrone, uno sperduto villaggio del Michigan nella regione dei Grandi Laghi. Quando aveva quattro anni la famiglia si trasferí a Battle Creek, una cittadina piú grande che offriva migliori opportunità. Ciò nonostante il luogo rappresentava un avamposto in quell’area sconfinata oltre la quale si estendeva la wilderness, una zona selvaggia che i coloni all’epoca contendevano alle tribú native non ancora domate dai soldati blu dell’Unione.
L’infanzia e l’adolescenza di Kellogg si svolsero prima negli echi distanti delle battaglie della Guerra di Secessione (1861-65) e successivamente in quelli piú vicini delle campagne militari condotte contro le varie tribú indiane stanziate su un vasto territorio al confine col Canada britannico, tra cui si distinguevano per bellicosità i Sioux e i Cheyenne. Un unico personaggio aveva caratterizzato entrambe le evenienze belliche, assurgendo al rango mitico dell’eroe: George Armstrong Custer (1839-76). Nella leggendaria battaglia di Shenandoah aveva comandato la brigata a cavallo del Michigan, contribuendo in maniera determinante alla vittoria unionista. Mentre piú tardi si era distinto nelle campagne contro i pellerossa, fino alla sfortunata e letale disfatta di Little Big Horn, il 24 giugno 1876, proprio l’anno in cui il giovane medico, laureato con lode al Bellevue Medical College di New York, rientrava a Battle Creek, assumendo la direzione del Sanitarium fondato da Ellen White.
Coadiuvata dal marito, Ellen White era l’animatrice del Movimento Avventista del Settimo Giorno, derivato, come la miriade di altre dottrine diffuse nelle comunità del Nuovo Mondo, dal calvinismo presbiteriano. In ossequio ai dettami della confessione di fede, vigeva nella comunità locale una certa rigidezza dei costumi, un’austerità e dignità nella vita di tutti i giorni, reminiscenti degli umori e valori quaccheri e puritani delle origini. Il Sanitarium si ispirava a tali princípi etici e religiosi, limitandosi però a diffondere semplici pratiche salutistiche, tra cui spiccava l’idroterapia applicata secondo metodi stabiliti da Sylvester Graham, un libero pensatore, igienista e naturista empirico, attivo sul finire del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento. Il dottor Kellogg assunse la direzione del Centro medico degli avventisti di Battle Creek, trasformandolo in un polo scientifico per la ricerca biologica riferita alla dietetica. Le sue innovazioni nelle colture agricole, in particolare della soia, delle arachidi, del mais e di vari altri cereali e legumi, dovevano in ultimo portare alla fondazione della Kellogg Food Company. Il suo procedimento per ottenere latte dalla soia venne adottato in vari Paesi del mondo, tra i quali la Cina, nel 1936. A lui si deve anche l’ideazione del metodo per la scagliatura dei cereali, da cui derivarono i fiocchi di mais e di avena. Kellog amava raccontare l’incidente che aveva portato alla scoperta della bontà dei fiocchi tostati. Lui e suo fratello William, che lo aiutava nella ricerca di nuovi ritrovati, avevano per distrazione lasciato cuocere troppo a lungo le scaglie di granturco. Quando assaggiarono quelle che credevano falde troppo arrostite, ne scoprirono l’insolito, gradevole sapore. Cosí fu per tutti i pazienti del Sanitarium, e in seguito di tutta l’America e del mondo. Nel giro di pochi anni, a Battle Creek sorsero quaranta fabbriche di prodotti dietetici basati sull’esito straordinario di quell’incidente.
L’ideale cui si ispirava l’opera di Kellogg è contenuto in una frase che egli pronunciava spesso: «Il mio compito in questo mondo è di creare e non di distruggere». Fedele a questo credo, si adoperò durante i lunghi anni (67) della sua permanenza alla guida del Centro medico di Battle Creek, a proteggere la vita in tutti gli aspetti, fossero anche i più selvaggi e ostici. Allevò dei cuccioli di lupo, rimasti orfani della madre, abituandoli a una dieta integralmente vegetariana, come era quella da lui praticata. Contraddicendo il proverbio secondo cui “il lupo perde il pelo ma non il vizio” gli animali adottati da Kellogg non solo ottennero col tempo un pelo folto e lucido, ma, sollecitati a nutrirsi di carne, ne provarono una incoercibile ripugnanza e, cosa ancora più eccezionale, la proverbiale ferinità caratteristica della loro specie si era tramutata in francescana propensione alla dimestichezza e alla mansuetudine.
La stessa cosa Kellogg fece con i bambini. Benché le regole della Chiesa avventista prescrivessero all’origine una dieta vegetariana e l’astensione dall’alcool, con la vita nomade dei wagoners, i pionieri che si spostavano con le lunghe carovane nella corsa a Ovest, coltivare la terra non era possibile. Si doveva sopravvivere imitando i nativi indiani che vivevano essenzialmente di caccia e pesca. All’epoca dell’insediamento di Kellogg alla direzione del Sanitarium di Battle Creek, i coloni del Michigan osservavano ormai una dieta povera di fibre vegetali, di vitamine e di carboidrati. Tra l’altro, dominante era l’opinione che una dieta carnea consentisse un miglior regime di vita nel clima particolarmente duro del Nord. Per sfatare questo pregiudizio alimentare, Kellogg per anni allevò con un regime vegetariano decine di bambini che lui e sua moglie avevano adottato. Vennero su sani e forti e immuni dalla maggior parte di disturbi e malanni che affliggevano i loro coetanei e molti abitanti della regione.
Kellogg, che prestava la sua opera al Sanitarium senza alcuna remunerazione, eseguí con successo ventiduemila operazioni chirurgiche, utilizzando tecniche innovative, ideò apparecchiature per le analisi e le terapie, inventò tra le altre cose la coperta elettrica, macchine per gli esercizi fisici e la riabilitazione. Ottenne per questo trenta brevetti a lui intestati. Scrisse cinquanta libri, uno dei quali, pubblicato nel 1929 dal titolo I ciclopi ingordi del tabacco, accusava i produttori di tabacco di rovinare i giovani d’America e riconosceva la responsabilità del fumo tra le cause principali del tumore ai polmoni, anticipando di decenni le attuali teorie sulla dannosità del tabagismo. Combatté le pratiche abortive e gli abusi sessuali e alimentari, con trattati, conferenze e articoli pubblicati dai maggiori quotidiani dell’epoca.
Era in definitiva un puritano alla lettera, consapevole che l’austerità è la radice prima della misura e dell’armonia per una sana condizione biologica, e l’elemento costruttore di una felice permanenza sulla Terra. Purificando il corpo e l’anima, affermava, l’uomo diviene sempre piú simile a quella divinità di cui è l’immagine.
Morí a Battle Creek a novantuno anni, il 14 dicembre 1943, dando prova, con la sua integra longevità, della bontà delle sue teorie e delle azioni da lui compiute per concretizzarle nell’ambito sociale, medico e spirituale.
Esiste una dimensione ideale, modulata sull’armonia suprema e sulle consonanze col divino. L’uomo ne ha reminiscenza e nostalgia. Ne conserva il crisma impresso nella propria sostanza animica profonda: è il mondo degli archetipi, che egli si sforza di catturare e rappresentare servendosi della realtà materiale. Tutti gli elementi e gli oggetti della nostra vita, dai più semplici ai piú complessi, testimoniano di tale inestinguibile anelito, anche i più umili e asserviti alla quotidianità domestica. Magari sigillati in una normale confezione di corn flakes.

Ovidio Tufelli

Immagini:
– John Harvey Kellogg
– Raccolta tradizionale del mais in una fattoria del Grande Nord statunitense
– I lavoratori della Kellogg Food Company posano su un carro a motore dei primi del secolo utilizzato per la consegna dei fiocchi di cereali

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