Piú difficile è dimostrare l’infondatezza cosmica del concetto di causalità. Come prima cosa dobbiamo far notare che il concetto di causa nasce da quello di fine, piú proprio all’uomo, per un processo di astrazione.
Un vasaio sta modellando un’anfora. Ciò che fa veramente sorgere l’anfora è il suo fine che vive come idea nella mente del vasaio. Ma un essere che considerasse la cosa del tutto esteriormente, potrebbe pensare che sono le abili mani del vasaio a far sorgere l’anfora. Cosí dal concetto di fine si passa quasi necessariamente a quello di causa. Questo è ancora piú astratto, perché elimina ogni realtà e considera soltanto il puro fatto accidentale. Perché è vero naturalmente che sono le mani del vasaio a modellare l’anfora, ma ciò è un puro incidente che ben poco ha da fare con la realtà essenziale dell’anfora.
Prendiamo un altro esempio. Un commerciante va a Parigi per curare i suoi affari. Siccome ha una certa fretta prende l’aeroplano. È giusto dire: la causa dell’andare a Parigi di quel commerciante è l’apparecchio che lo trasporta? No, se non si vuol dar valore a un fatto puramente secondario.
Ciò è evidente; piú difficile è far vedere l’incongruenza del concetto di causa quando si tratta di fenomeni naturali. Ma anche qui è sempre il concetto di fine che fa sorgere per astrazione quello di causa. Il ragionamento che si fa è press’a poco il seguente: il fine del seme è di diventare fiore. La causa del fiore è il seme. Il che è assurdo, perché abbiamo già visto che il concetto di finalità non è giustificato nell’ambito della realtà naturale.
Veniamo a fatti puramente fisici. Una palla è ferma sul tappeto verde del bigliardo. La urto con la stecca e la palla si mette in movimento. Dico: la causa del movimento della palla è il colpo di stecca che essa ha ricevuto. Poi, al posto della palla metto un grosso cubo di piombo, lo urto con la stessa intensità e osservo che il cubo resta immobile. Posso dire: il cubo di piombo è rimasto fermo perché l’ho urtato con la stecca? No, neanche per sogno. È rimasto fermo perché è pesante e perché tocca il tappeto con piú superficie, ciò che aumenta l’attrito.
Ma, allora, devo rivedere il mio ragionamento di prima. La palla si è mossa perché l’ho urtata con la stecca o perché è costituita in modo speciale ed ha in sé le forze del movimento?
Io so che nel far questa domanda pecco contro la logica formale, ma la realtà è piú forte che la logica e la realtà mi dice che il fisico, se vuole calcolare il movimento della palla, deve tener conto sí dell’intensità dell’urto subito, ma anche di tanti altri elementi che appartengono alla stessa palla e al campo sul quale si muove. La logica formale andrebbe bene soltanto se una palla di bigliardo potesse esistere completamente isolata in mezzo allo spazio cosmico, il che non è possibile.
Devo concludere: il colpo di stecca non è la causa unica ed efficiente del movimento della palla. Esso è un puro incidente che chiama in giuoco un complesso di fatti ognuno dei quali determina parzialmente il divenire del fenomeno.
Ad uno che mi obiettasse, secondo la solita logica formale, che il colpo di stecca è la causa unica ed efficiente del movimento della palla, perché senza il suo intervento nulla sarebbe avvenuto, risponderei ch’egli vede troppo corto. Il colpo di stecca non determina il movimento della palla, ma provoca l’insieme delle circostanze che intervengono nel fenomeno. Se anziché urtare la palla con la stecca, sollevo il bigliardo in modo da trasformarlo in un piano inclinato, la palla si mette ugualmente in moto. Qui dove sta la causa? Nel mio atto, o nella forza di gravità, o nella poca forza di adesione dell’avorio? Potrei chiamare in causa gli aristotelici e gli scolastici e, basandomi sulle loro sottili distinzioni, speculare all’infinito. Ma ciò gioverebbe ben poco di fronte alla realtà concreta. In ogni fenomeno intervengono sempre un complesso di fatti e ognuno di essi ha un suo certo valore causativo, ma del tutto esterno e accidentale.
Un vetro colpito da un sasso s’infrange. Qui dove sta la causa: nel sasso o nella fragilità del vetro? Una lastra di rame, colpita dallo stesso sasso, non s’in frangerebbe, ma darebbe un suono particolare. La causa del suono è il colpo ricevuto o la particolare natura del rame? Nell’universo tutto è sempre collegato assieme e limiterei molto la mia visione della realtà se, nel costituire il concetto di causa, tenessi conto soltanto di una successione temporale di fatti. Consciamente si fa proprio cosí: la causa è ciò che precede l’effetto. In tal modo però non si fa altro che stabilire la successione dei fenomeni.
Che questa successione ci debba essere, non è niente di straordinario, perché ogni fenomeno del mondo fisico si manifesta nel tempo, che è appunto caratterizzato dal prima e dal poi. Ciò però non mi autorizza a concludere che il prima è causa del poi. Tale conclusione avrebbe un valore puramente formale e non toccherebbe il fondo della realtà.
Si usa chiedere in modo scherzoso: c’era prima l’uovo o la gallina? Ma questa domanda può portare il pensiero a una concezione seria della realtà se lo fa accorto che tali questioni non sono giustificate. L’uovo e la gallina sono un tutto con la specie gallinacea, con il regno animale, con la terra, con l’universo. Che in questo universo qualcosa si manifesti prima e qualcosa poi, è un fatto del tutto accidentale. Ma l’universo in sé è eterno, non conosce le distinzioni temporali del prima e del poi, e quindi non ha cause ed effetti separati. È concausato in se stesso.
Facciamo un ultimo esempio. Perché ai poli fa freddo? Perché i raggi del sole vi battono con un angolo d’incidenza molto acuto. Quale ne è la causa? L’inclinazione dell’asse terrestre. E la causa di tale inclinazione?
Potrei continuare ancora con le domande, accorgendomi di due fatti.
Primo: il piú piccolo particolare della realtà è legato a tutto l’universo e non si spiega se non nell’insieme di esso.
Secondo: quanto piú risalgo da causa a causa, tanto piú perdo di vista l’essenza del fenomeno considerato. Difatti che cosa hanno da fare in realtà con l’essenza del calore gli angoli d’incidenza e l’inclinazione dell’asse? Ne permettono piú o meno la manifestazione, questo è vero, ma niente piú di questo. L’essenza di una realtà non ha mai un perché, il “perché” mi dice soltanto la ragione per cui essa si manifesta in quel momento e in quel modo.
Sto ascoltando una sinfonia di Beethoven. Da che cosa è generato quel mare di suoni? Dagli strumenti dell’orchestra? Certo. Ma che cosa ha da fare ciò con l’essenza della sinfonia? Assolutamente nulla. Essa si manifesta attraverso gli strumenti in un particolare modo e in un particolare momento. Possiamo perciò dire che gli strumenti sono la sua causa? No; ma proprio per lo stesso fatto non possiamo dire che la causa dell’infrangersi del vetro sia il sasso che lo ha colpito. Il sasso ha soltanto aperto l’adito alla manifestazione di una essenzialità, cioè della fragilità del vetro.
Ora dobbiamo trovare qualche conclusione. L’universo, come è senza scopo, cosí è senza causa. La realtà è incausata o concausata in se stessa, che è la stessa cosa. Forse per demolire questa nostra concezione qualcuno farà i nomi di due colossi del pensiero: Aristotele con le sue sottili distinzioni del concetto di causa e Tommaso d’Aquino con la sua famosa dimostrazione dell’esistenza di Dio basata su cause successive. Ci sembra che noi non contrastiamo con questi due Grandi, ma anzi concordiamo in pieno.
In alcune precedenti considerazioni abbiamo fatto la critica dei concetti di spazio e di tempo. Ci siamo sforzati di dimostrare che spazio e tempo sono concetti e non percezioni, non fenomeni della realtà. Ciò non toglie che ogni fenomeno della realtà fisica si manifesta nel tempo e nello spazio.
Lo stesso vale per quanto riguarda la causalità e la finalità. Queste due concezioni nascono dal pensiero e Aristotele le definisce, distingue e classifica appunto in quanto e come concetti.
Per il fatto che l’uomo pensa in concetti e in rappresentazioni la realtà del mondo giunge alla sua coscienza come se fosse ancorata nella causalità e nella finalità. La teoria della conoscenza deve tenere presente e spiegare perché lo spirito umano vede il mondo nella luce forse ingannevole della causalità e della finalità. Noi abbiamo dato soltanto dei cenni.
Ma non è lecito costruire una concezione del mondo fondata su causa e su fine appunto perché essi sono concetti del pensiero umano e non fenomeni della realtà. L’universo non ha causa e non ha fine. Tommaso d’Aquino, risalendo il corso delle cause, giunge a una causa incausata. Egli afferma dunque che c’è una sfera della realtà nella quale il concetto di causa non è piú valido, e chiama questa sfera Dio. Noi preferiamo chiamarla la sfera della spiritualità essenziale, ma i nomi poco importano. È invece importantissimo riconoscere che questa sfera della realtà divino-spirituale è presente dovunque e che non possiamo pervenire ad essa se non abbandonando i concetti di causa e di fine. Questi due concetti ci legano alla non essenzialità, all’elemento accidentale e temporaneo della realtà transitoria.

Fortunato Pavisi (3.)

Immagine: Aristotele e Tommaso d’Aquino

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